"Friderikos, procurami un gesso nero," ingiunse Tristan accostandosi improvvisamente allo scriba e tendendogli il palmo aperto, in attesa.
L'esercito stava godendo di una pausa tra un esercizio ed un altro: gli uomini più fortunati sostavano al riparo della grande quercia solitaria, gli altri dovettero accontentarsi di inumidire i piedi in riva al mare poco lontano.
Friderikos, seduto su uno sgabello al limitare dell'ombra proiettata dalla quercia, alzò lo sguardo: "Ma, sire, sto annotando la quantità di provviste per il viaggio come mi avete detto di fare." Poi, mentre una goccia di sudore indice di un'improvvisa paura scendeva lungo la sua fronte, disse: "Sto sbagliando qualcosa?"
"No, per l'Olimpo, dammi un gesso nero!" Tristan, lievemente infastidito, agitò il palmo aperto.
Lo scriba si chinò verso una cassetta di legno accatastata ai piedi dello sgabello, l'aprì e scelse tra le diverse forme di stilo un lungo gesso nero che porse al suo comandante.
Tristan lo prese tra le mani e lo spezzò, conservandone una metà dentro il pugno sinistro e rigirandone l'altra tra le dita della mano destra, abile. Dopodiché, posò una mano sulla spalla di Friderikos con una tale energia che lo scriba comprese che gli stava tacitamente ordinando di alzarsi e di cedergli lo sgabello. Distrattamente, Tristan borbottò: "Va' a bagnarti i piedi in riva al mare con gli altri. Va'."
"Davvero, sire?"
"Lo devo ripetere?"
"No, no, certo... vado." Incespicando sui suoi passi e sulle parole, Friderikos di drizzò e camminò arretrando senza voltare la schiena al proprio superno per qualche passo, dopodiché si voltò correndo e sparendo tra la folla di uomini.
Tristan si sedette allo sgabello, recuperò un foglio di papiro dalla scorta di Friderikos accanto alla cassetta di legno, lo posò sulle ginocchia e, mentre il sole picchiava superbo sul suo occhio destro -mettendo in luce la trasparenza del suo sguardo- e l'ombra oscurava il suo occhio sinistro, Tritone guardò Dianna: era in piedi, diritta di profilo, poco lontana, dinanzi a lui; guardava il promontorio a settentrione e la distesa verde che ne seguiva, nascosta dalla brillantezza della luce del mattino che accecava. Tristan indugiò per un momento e si immobilizzò, pensando fosse bellissima -la creatura più degna di essere guardata nello stesso modo in cui ora, lui, la guardava- e pensò anche di volerla stringere tra le braccia, ma si limitò ad osservare come la sua folta criniera di capelli rossi -ora in parte puntata e intrecciata attorno ad una grande conchiglia sulla nuca- ora scendesse in morbide onde sulla sua schiena.
Tristan inclinò il capo, assorbendo ogni dettaglio della sua figura e ammirando la rigidità con cui restava immobile, come se in realtà non esistesse e la sua figura fosse solamente uno spirito scolpito dalla sua immaginazione. Ma poi la vide muovere impercettibilmente i grandi occhi blu verso il mare, in silenzio, mentre rassettava con le dita agili la cordicella che le teneva stretto il peplo bianco in vita.
Solo a quel punto, dopo averla elogiata con la massima e meticolosa attenzione ai dettagli, Tristan tornò con lo sguardo al foglio di papiro e, impugnando il gesso, iniziò a ritrarla.
Come un falco che scruta la sua ingenua preda prima di sferrarle un attacco, lui sollevò ancora lo sguardo verso di lei e, focalizzandosi sul suo viso, cominciò ad imprimere sul foglio leggeri graffi neri. Prese a disegnare velocemente la sua fronte, poi il profilo delle sue ciglia ricurve, il suo naso sottile, la sua bocca rosa e piena e infine la linea delicata della mascella, con movimenti veloci ma precisi.
In lui, ora, viveva un artista che sentiva maledettamente il bisogno di ritrarre la sua Musa ispiratrice.
Dopodiché, incrociando i piedi e chinandosi lievemente verso il gesso -ora più concentrato- Tritone passò ai suoi capelli e mosse il polso con deboli scatti per incidere su carta le numerose forme e le numerose onde in cui i suoi capelli si plasmavano. Poi passò al collo e al dolce seno di profilo, descrivendo forse con qualche difficoltà le infinite increspature in ombra del peplo, ma riuscì a terminare il veloce schizzo perché aveva avuto dalla sua parte la fortuna di avere una modella -inconsapevole di essere tale- che era rimasta sempre immobile, sigillata nella sua perfezione.
Tristan allontanò di un poco il papiro per osservare con sguardo critico il risultato finale, mentre si inumidiva le labbra con la lingua, e prima che potesse autovalutarsi sobbalzò per la sottile potenza della voce alle sue spalle.
"Che fai?" Dianna era già dietro di lui con la sua voce ingenua.
Tristan si voltò e un ciuffo biondo gli cadde sugl'occhi. Rimase in silenzio ad osservare più da vicino ciò che aveva appena ritratto e si beò della meraviglia del rossore delle sue guance, delle sue labbra, e le porse il foglio.
Dianna lo ricevette perplessa e sorpresa allo stesso tempo e lo guardò schiudendo leggermente la bocca in un moto di stupore, mentre stringeva gli angoli del foglio scossa da un impeto di commozione. Continuò ad osservare il disegno, ma non disse nulla.
Tritone addentò il proprio labbro inferiore, temendo improvvisamente che non le piacesse e le sussurrò all'orecchio: "Non dici nulla?"
"Mi vedi davvero così?" Dianna quasi balbettò.
Tristan sorrise alla sua innocenza e alla sua sorpresa, che pensò derivasse da una passata mancanza di attenzioni, e si domandò anche come fosse possibile non amare ogni suo dettaglio. Le prese la mano e la condusse verso di sé, facendola sedere sulle sue ginocchia. Le scostò i capelli e le accarezzò la guancia. "Ti vedo così come sei: bella e pura."
Ancora una volta, Dianna non rispose, troppo innamorata di quel disegno, di quello schizzo a gesso. Era come estranea ad ogni senso, al mondo. "Vedi qualcosa di così bello in... me?"
"Non sono molto bravo a parole, Dianna."
"Ti prego, dimmelo." La sirena si voltò, gli prese le mani con supplica e sfiorò la sua fronte con la propria.
"Per capire come siamo realmente, a volte, serve sapere come ci vede un'altra persona. Ed io ti vedo così, come se..."
"Come se...?" incalzò lei emozionata.
"Come se fossi ciò di più bello al mondo," concluse lui, forse con un debole sforzo, ma si leggeva nel suo sguardo, che ora si illuminava, la sincerità. Dopodiché Tristan si alzò, adagiò Dianna sullo sgabello e si chinò per baciarle le labbra, osservando gli effetti che le sue parole avevano avuto su di lei. Poi tornò ai suoi uomini, con un sorriso.
Dianna era frastornata e sentì le lacrime salirle agli occhi. Strinse il suo ritratto al petto e pensò che lei, invece, non era abile a disegnare, ma credette di essere anche lei capace, in qualche modo, di scolpire lui: nel cuore.
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Due guerrieri, dagli ampi torsi tozzi ma robusti esposti al sole del mezzodì, spingevano l'uno contro le spalle dell'altro, mantenendo i capi chini incassati al petto, i muscoli delle gambe tesi per guizzare, le unghie conficcate dietro il collo dell'avversario e le mascelle serrate, dove le ossa si intrecciavano pronte a sciogliersi dai loro legami.
I loro sguardi, che si seguivano febbricitanti, erano bollati di un'ira che minacciava di esplodere.
Più i loro corpi si spintonavano a vicenda e le loro braccia si piegavano sotto una forza che faceva ingrossare le loro vene come gropponi di cavalli in corsa, più le loro fronti si congiungevano feroci, raschiando l'una contro l'altra sino a creare ferite che vomitavano sangue scarlatto.
Uno dei due uomini sospirò pesantemente quando vide il pericolo: l'avversario aveva preso piede e stava spingendo verso di lui allungando le gambe e mettendo a rischio il suo equilibrio. Così, rispondendo in difesa, stava tentando di arrestare la sua avanzata respingendolo con colpi di ginocchia, ma ogni azzardo fu vano: poco dopo egli cadde sulla sabbia con un uggiolio dettato più dalla rabbia che dal dolore.
Quando i due corpi si separarono, tra il varco creato apparve la figura di Tristan: egli era stato sempre lì, dietro i due guerrieri, ad osservare la loro lotta con le gambe piegate e le mani sulle ginocchia.
Però, non aveva parlato.
Era rimasto piuttosto immobile come un vecchio osservatore: solo i suoi occhi erano guizzati veloci come aquile da un corpo all'altro.
Ora, però, che uno dei due guerrieri era steso sulla sabbia, inetto ad ogni movimento o tentativo di attacco, sormontato dal rivale che aveva iniziato a sferrare calci, pugni, ginocchiate e colpi assestati all'addome, Tristan si rialzò nella sua posizione autorevole e gli camminò vicino. Poi si accovacciò nuovamente accanto a lui e lo osservò. "Sai, nel mondo degli umani ho conosciuto un animale che si chiama scoiattolo. In questo momento me lo ricordi molto."
Il guerriero alzò lo sguardo per rivolgere al giovane comandante dell'esercito un'occhiata indecifrabile, ma prima di schiudere le labbra per replicare ricevette un colpo di nocche alla mandibola e il suo capo sembrò svenire dolorante sulla sabbia.
Tritone borbottò spazientito e si chinò verso l'uomo, osservando come il sangue iniziava a vibrare in grandi gocce dal suo naso per poi macchiare i denti irregolari. "Rialzati! Fai sentire anche a lui come brucia un pugno in pieno viso, fagli assaggiare la forza brutale delle tue braccia!" lo spronò, e la sua voce uscì con enfasi dalla sua bocca.
Il guerriero, sotto il suo incoraggiamento, dopo aver tratto un profondo sospiro che gli rinvigorì il cuore e gli gonfiò il torace, premette con le mani contro il petto dell'avversario stridendo parole farfugliate tra i denti serrati.
Tristan scosse il capo dissidente, ruotò lo sguardo esasperato al cielo e ribadì: "Battiti da uomo. Non sei un serpente, non devi essere schiacciato, devi trionfare." La sua voce risuonò minacciosa. "Come credi di uscire indenne da una guerra con i Titani se non riesci a mettere a terra un tuo simile? Non riesci ad assestare un pugno ad un tuo avversario, come pensi di poter essere in grado di sfilarti la spada dal petto quando ti punteranno la sua lama dritta nel cuore?"
Quelle parole, nel vento improvvisamente caldo e arido dell'Eubea che profumava di salsedine, risvegliarono una nuova forza nell'animo dell'uomo, che piegò le gambe per posizionare le ginocchia contro l'addome del rivale. Vi fece una pesante pressione, ma la mole robusta dell'altro continuò a mantenerlo a terra.
Un pensiero si risvegliò in Tristan. Si piegò ancora verso il guerriero. L'azzuffa mosse i granuli di sabbia che s'alzarono verso le guance di Tritone, incastrandosi tra le sue ciglia, ma la vista temporaneamente annebbiata non gli impedì di dire: "Non conosco il tuo nome, uomo. Ma probabilmente lo conoscerò se saprai batterti come un leone."
"Cadmo."
Tristan annuì. "Ebbene," poi pausò, "Cadmo, devi sapere che a volte non sono necessarie gesta formidabili per sbaragliare il nemico. Spesso bisogna agire d'astuzia." Un granulo di sabbia s'incollò alle sue labbra e Tritone vi passò un indice sopra per toglierlo. "Colpi ripetuti su ferite ancora slabbrate bruciano. Ed il tuo avversario ha una ferita suppurata lì, sul collo, dove le armature non arrivano."
Cadmo recepì il consiglio e, prima che l'altro guerriero potesse scostarsi, allungò una mano, piegò le dita e le sue unghie presero a raspare con barbarie sulla carne viva dell'uomo. Il suo avversario trasalì, gettò il capo all'indietro e l'istinto lo indusse ad allontanarsi, agitando freneticamente la massa scura dei capelli e schiaffeggiando le mani dell'altro, alzandosi.
Nei brevi ma intensi istanti che intercorsero, Cadmo ebbe modo di rialzarsi, seppur con qualche gemito mugolato e, dopo aver lanciato un'occhiata -forse di gratitudine o forse di vanto- in direzione di Tristan, caricò un pugno e il colpo esplose come una bufera sul volto del rivale. Quest'ultimo crollò sulla sabbia, una mano tremante sul collo e una davanti al naso stillante sangue misto a sudore bollente.
Cadmo guardò Tritone. "Grazie." La sua voce era possente, grave e dura. Risuonava di virilità.
"Ringraziamenti accettati." Il tono di Tristan, invece, pur sfoggiando allo stesso modo sicurezza e autorità, era più vellutato. Si rialzò, ma non gemette come il suo adulto allievo: le sue gambe erano forti. Dopodiché, guardò l'avversario di Cadmo ancora starnazzante sulla sabbia e lo squadrò, considerandolo per un momento: "Tu, però, hai una buona mira. Sai dove mettere le mani. Ti voglio come arciere." E poi, voltandosi, camminò lontano.
I raggi del sole seguirono con deferenza il suo tragitto come un tappeto che si srotola al passaggio di un imperatore e, poco dopo, Tritone raggiunse un gruppo di cinquanta cavalieri intento ad allenarsi su salti ad ostacoli mediante l'utilizzo di barriere poggiate su pilieri in legno.
Come di consueto, rimase ad osservare dapprima in silenzio la scena e sembrò quasi che il movimento con cui inclinava armoniosamente il capo sulla spalla sinistra lo aiutasse nel descrivere in maniera accurata e critica ciò che accadeva dinanzi ai suoi occhi.
Dopodiché, si avvicinò ad un cavaliere in procinto di prendere lo slancio per saltare uno degli ostacoli e lo fermò dicendogli: "Postura diritta. Ci vuole eleganza nelle cose. Non siamo ciclopi."
L'uomo a cavallo non riconobbe con immediatezza la voce che lo aveva sorpreso, ma quando si voltò e scorse Tristan che batteva una mano sul fianco dello stallone, spalancò gli occhi e si prodigò in continui cenni d'assenso con il capo. Sbatacchiò le redini sulla cresta dell'animale e, con un secco colpo di sandali contro il suo ventre, il destriero mosse gli zoccoli in corsa. Riuscì a saltare l'ostacolo, seppur con un movimento poco aggraziato, e lasciò che il cavallo convertisse la rotta verso Tritone.
Quest'ultimo aveva posato le mani sui fianchi ed era rimasto in un'osservazione raccolta, mentre un leggero vento che spirava da settentrione sollevava vampate di aria mista a sabbia.
I granuli che attecchirono alle ciocche di Tristan resero i suoi capelli color bronzo. "È un cavallo, non un topo. Devi domarlo. Non lasciare che sia lui a domare te."
Tritone camminò oltre e dinanzi alla sua avanzata i musi scuri di ogni cavallo sembrarono prostrarsi in un rispettoso cenno del capo. Quando giunse sotto un riparo ombrato da un basso leccio, si avviò velocemente verso una tenda da campo dalla quale provenivano voci sommesse. Quando vi entrò, tutto ammutolì. Tristan guardò Kassandros: "Fai squillare le trombe dell'adunata. Voglio i soldati della prima linea della falange schierati in perfetto ordine. L'addestramento non può limitarsi a cavalli, sarisse e spade."
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La battuta di caccia iniziò nel primo pomeriggio, quando il sole stava progressivamente avvicendandosi verso Occidente. Luci oblique e distorte fendevano l'immensa radura verde costeggiata da un lungo filare di alti alberi, proiettando un gioco di luci ed ombre che irretiva gli sguardi dei soldati. Un grande recinto circolare racchiudeva lo spiazzo d'erba.
I guerrieri erano disposti su tre file, vestiti di leggeri clamidi e di sandali di pelle di cervo, le spade chiuse nelle faretre e le sarisse alla mano. Altri, invece, disponevano di archi a doppia curvatura e frecce. Sulla loro pelle, accaldata dal sole, erano ancora visibili i resti di giovani e vecchie ferite che si raggrumavano come velli increspati, mentre le croste insanguinate marchiavano le loro ginocchia come sigilli reali.
Ai piedi di ogni albero, a racchiudere le radici che correvano sotto il terreno, erano raccolti fuscelli di legno scortecciato e qualche foglia verde si staccava dal suo ramo per oscillare effimera nell'aria quasi primaverile.
Poco dopo, quando i fanti furono messi in posizione -con gli occhi che volgevano inconscienti in ogni direzione- tutto tacque.
Nella radura risuonò solamente il lento camminare di Tritone, che, invece, avanzava oltre il recinto diretto verso un varco rabbuiato tra due alberi.
Dianna, discostata di qualche passo dai soldati, lo osservò con occhio perplesso, ma tacque, prendendo i lembi del suo chitone tra le mani e brillando con lo sguardo sotto il flebile sole dell'Eubea.
Quando Tristan si scostò e si mosse lateralmente di qualche passo, un ruggito squarciò la pace e un leone venne allo scoperto, proseguendo lentamente verso la radura posando una zampa dopo l'altra in un atteggiamento letale che presagiva la morte.
L'esercito trasalì e sembrò latrare, mugolando terrorizzato e arretrando spaurito.
Alcuni uomini si diedero alla fuga e il grande maschio felino ringhiò loro dietro.
Gli astanti parevano non avere più occhi per guardare, tanto le orbite erano solcate da vene sottili iniettate dal sangue del terrore. Alcuni mormorarono frasi sconnesse, altri addirittura lanciarono silenziose maledizioni a Tritone, altri ancora affidavano le loro anime a Zeus.
Tristan aprì la piccola porta della recinzione e il leone vi entrò quasi obbediente. Poi, però, quando si voltò verso i soldati, l'animale aprì nuovamente le spaventose fauci sfoggiando due lunghi e affilati canini giallastri che pendevano come cunei verso una lingua rosata che oscillava sotto il vento di quell'alito chimerico ed infernale. Il muso era contratto dallo sforzo del ruggito, ma due spaventosi occhi gialli rilucevano su una fronte alta e pelosa. La criniera era ispida e pungente, ma bella come il sole del tramonto.
Dianna, dopo essersi ritratta spaventata, si chiese come potesse un animale tanto feroce, assassino e brutale possedere una bellezza tanto fantastica.
Kassandros, che occupava il posto sull'estrema destra della prima fila dei soldati, rizzò il busto e farfugliò qualcosa in direzione dell'amico: i suoi occhi tradivano dissenso. Poi sospirò rassegnato.
Tristan camminò attorno alla staccionata con passo cadenzato e congiunse le mani per poi socchiudere gli occhi e osservare una ad una le reazioni dei suoi soldati.
Poi spostò lo sguardo verso Dianna: bruciava di amore e di elogio.
Ma durò solamente un istante, perché poi riprese a camminare. Parlò dicendo: "È un leone maschio che sta seminando terrore nei boschi della lontana e vecchia Macedonia. E proprio per questo l'ho fatto catturare e portare qui." Alzò il mento con fierezza. "Voglio vedere chi di voi saprà ucciderlo."
Alcuni soldati gonfiarono i petti, orgogliosi di poter essere messi alla prova con una sfida tanto ampollosa, degna solo di eroi magnanimi quali Eracle e Achille. E nei loro occhi si leggeva una brama di vittoria che i canti omerici avrebbero innalzato con la loro melodia.
"Avvicinatevi."
Le tre file di guerrieri si mossero in avanti e si distribuirono attorno alla recinzione. Quattro soldati iniziarono ad allungare le sarisse dentro la palizzata, tentando di colpire il fianco del leone, ma questi, con zampate tremende, spezzò le lunghe lance e morse la loro punta di ferro in segno di vittoria.
I quattro uomini si ritrassero.
Altri cinque soldati, invece, compirono gli stessi movimenti, ma -forse per una maggiore abilità e un maggior impegno- riuscirono a ferire la fiera strisciando le lame della sarissa sulla sua groppa.
Il leone ruggì di dolore e iniziò a sferzarsi i fianchi con la coda, ma non cadde a terra.
Gli uomini iniziarono a sospirare impazienti e ad arretrare rassegnati e abbattuti, spesso conficcando ciò che rimaneva delle picche spezzate sull'erba e allontanandosi con respiri grossi come ronfi.
Solamente un guerriero, il più lontano, con armato coraggio, mirò la bestia e, dopo aver teso il suo grande arco, scoccò.
Tuttavia, la freccia, forse deviata dal vento, cadde sulla zampa del leone e non lo colpì. In risposta, il grande animale alzò la testa e ruggì presuntuoso, umiliando il robusto uomo audace.
A quel punto, Tritone alzò le mani e ogni spada, ogni sarissa e ogni arco ricaddero sui fianchi dei guerrieri.
Solamente un uomo avanzò e si distinse dal gruppo: camminò verso Tristan e gli posò una mano sulla spalla. Era Kassandros. "Che cosa vuoi fare?"
"Lo vedrai." Tristan, ora, si mosse verso Dianna. Le prese la mano e la sirena divenne silenziosa. Le baciò le dita e le mormorò: "Vieni. Ammira quella fiera da più vicino."
Assieme, si avvicinarono alla staccionata, ma ad ogni passo la sirena avvertiva i ruggiti del leone schiantarsi contro le sue orecchie facendole balzare il cuore in gola.
I battiti erano talmente accelerati che neppure avvertì le mani di Tristan che si posarono sui suoi fianchi. "Non è forse un animale bellissimo?"
Dianna annuì, ma la testa le vorticava e i suoi sensi iniziarono a confondersi.
La sua mente era talmente annebbiata e stordita, che si accorse troppo tardi che Tristan aveva aperto la piccola porta della recinzione, aveva spinto la sirena al suo interno e l'aveva richiusa alle sue spalle.
I soldati farfugliarono allibiti e alcuni, improvvisamente eroici, si sfilarono i lunghi chitoni per accorrere in aiuto di Dianna, ma Tristan allungò una mano nella loro direzione e li fermò con un'occhiata di ghiaccio. "Fermi."
Kassandros balzò sul posto e, scrollando per le spalle l'amico, lo costrinse a guardarlo negli occhi. Prese ad indicare la scena e il leone che si avvicinava a Dianna. "Sei impazzito, Tritone? Vuoi mandare la donna che ami in pasto alla belva? Per Zeus, falla uscire prima che..."
"Guardala, Kassandros." Tristan, invece, si chinò con un sorriso ammaliato verso la staccionata. Vi si appoggiò e incrociò le gambe, osservando Dianna. "Ha vinto contro di me, figuriamoci contro un leone."
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Vi avevo promesso che avrei inserito un momento dedicato solo a Dianna e Tristan e l'ho fatto ad inizio capitolo. Che ne pensate? È anche un artista! Che dite, è abbastanza dolce? *-*
Dell'addestramento con gli uomini cosa pensate? Poveri scoiattoli, così calpestati nell'autostima! Comunque tenete a mente Cadmo, comparirà di nuovo.
E della fine?! Cosa pensate? Tristan che spinge Dianna in un recinto con un leone per metterla alla prova. Come reagirà la sirena?
Povero Kassandros, vorrebbe continuare a fare il baby sitter ma non ci riesce!
Per anticipi, per sapere quando pubblico e altro, passate dalla pagina Facebook dedicata alla storia: "Alexandra-writes on Wattpad".
Fatemi sapere che ne pensate del capitolo!
Votate e commentate!
E buon rientro a scuola a tutti gli studenti come me ❤
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L'inevitabile attrazione
FantasyUna tremenda battaglia infuria nelle profondità del mare, dove le acque giacciono meditabonde. Dianna Cox, giovane sirena dalla bellezza fiammante, è costretta a rifugiarsi in un istituto della Virginia, quando Poseidone dichiara guerra alle vecchie...