Capitolo 8

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La mattina del giorno successivo il Massbury Institute pareva aver risucchiato tra i suoi artigli ogni strepito. Era una domenica molto silenziosa, eccessivamente silenziosa. Dianna sdraiava sul letto, imballata fino al collo tra le lenzuola, guardando oltre la piccola finestra lo sciame lento degli studenti che arrancava verso la cappella. Li vedeva procedere con le mani congiunte al ventre, i visi smorti e una rassegnazione scialba arroccata in viso. Anche Jana, Elena, Byron e Kristiàn dovevano trovarsi sballottati in quella folla, pensò. Ma Dianna, quella mattina, aveva finto un malessere improvviso, quando Jana l'aveva catapultata fuori del letto per trascinarla nella piccola chiesa. Così Elena le aveva silenziosamente procurato un impacco di acqua fresca e glielo aveva posato sulla fronte con un sorriso quasi materno, per poi dileguarsi al fianco di Jana.
E ora, con la pelle arrostita dall'aria rafferma e arroventata della stanza, era costretta a rimanere sigillata sul letto con lo sguardo rivolto verso la porta. Poco prima, infatti, questa era stata spalancata da Mandy, che aveva fatto irruzione nella camera per accertarsi Dianna non avesse simulato un malore per assentarsi dal culto. Poi aveva avvicinato il seno giunonico al letto e, notato il colorito bollente delle guance della ragazza, aveva annuito. La sirena non aveva avuto il coraggio di confessarle che il bruciore ardente sul suo volto era dovuto al caldo asfissiante che regnava tra le lenzuola.
Quando chiuse finalmente gli occhi, la mente di Dianna corse fastidiosamente dietro all'oscillare cadenzato delle lancette della sveglia, quindi alzò un braccio e schiacciò il marchingegno contro la faccia del comodino, mettendolo a tacere.
Sospirò.
Come avrebbe voluto strisciare fuori da quella camera, da quell'infimo istituto e ritornare a trastullare la sua anima negli abissi marini! Come avrebbe voluto allietare la vecchiaia di suo padre con la sua dolce voce! Come avrebbe voluto cantare le lodi alla bellezza mentre sdraiava su uno scoglio al plenilunio! Ma ogni sua certezza, ora, tergiversava. I suoi pensieri tentennavano e Dianna vide il filo sottile che separava i suoi desideri dall'impossibilità di esaudirli.
Poco prima che le sue palpebre tornassero a serrarsi, però, qualcuno bussò alla porta. Dianna spalancò gli occhi e afferrò la sveglia. Le lancette avevano di poco oltrepassato le dieci e le parve impossibile Jana ed Elena avessero fatto ritorno così presto. Considerò la possibilità che fosse Mandy, ma ricordò come la sgraziata custode dell'istituto aveva da molto tempo rimosso la grazia di bussare alle porte dalle sue abitudini. Quindi balzò fuori del letto e la sua lunga veste bianca si chinò sinuosamente a baciare il pavimento come il velo della sposa più deliziosa. I capelli, mal rassettati e lasciati aggrovigliare sopra le spalle, parevano i dardi focosi del sole in un mezzogiorno d'estate.
Ma Dianna era bella, bellissima, anche con la capigliatura scomposta.
Quando aprì la porta, i suoi occhi si paralizzarono, però, sulla figura di Tristan Waves.
Egli teneva le braccia intrecciate al petto, la chioma bionda scarmigliata sulla fronte e gli occhi indagatori che squarciavano il ghiaccio delle sue iridi come potenti lampi di sole. La cravatta rossa dell'uniforme ciondolava disfatta sulla sua camicia e le brache scure si stringevano attorno alle gambe erculee. Dianna, istintivamente, lasciò vagare lo sguardo sul suo petto giovane, ma fu costretta ad alzare lo sguardo, quando avvertì un lieve bruciore pizzicarle le guance.
Tristan spostò l'attenzione sul corpo sinuoso della sirena e considerò con occhio bramoso come la vestaglia le si radicava peccaminosamente attorno alle curve di donna. Un istante dopo, sfoderò un sorriso sghembo, quasi beffardo, e si inumidì le labbra. E poi tornò agli occhi oceano della ragazza.
Tacque.
Dianna si affrettò ad afferrare una felpa e ad avvolgersela attorno alle spalle. Non riusciva a reggere quello sguardo. Sembrava trapanarle i sensi. "Buongiorno. Non... non sei in chiesa?"
Tristan si limitò solamente a scuotere il capo.
La ragazza chinò lo sguardo e rientrò in stanza, lasciando il giovane all'uscio. "Prego, entra. Sono certa ti servirà una lucerna. Si dice che qualche studente abbia frantumato le lampadine delle lanterne della corsia. Ed è piuttosto difficile addentrarsi al buio nel corridoio..."
"Risparmiati la fatica. Non sono qui per questo."
La voce di Tristan era ancora dura, profonda, cupa, tonante.
"Oh... allora ti serviranno gli appunti di storia. Mi sembrava fossi... assente giovedì. E sai, Mr. Lucif ha fissato il test. Non sembra molto... indulgente." Dianna soffocò una sommessa risata nervosa e prese a rovistare sulla scrivania tra un cumulo di fogli e carte imbrattate da inchiostro. "Dovrebbero essere qui e..."
"Non ho bisogno dei tuoi appunti. Conosco molto bene la storia. Più di chiunque altro..." Ora, Tristan, a passi lenti, entrava nella stanza.
In qualche modo, Dianna rabbividì.
Eppure, la sirena si obbligò a guardarlo in volto, mentre uno strano vento fresco le si faceva strada tra le gambe nude, alzando prepotentemente la vestaglia che lasciava ben poco spazio all'immaginazione. "E allora... quale ragione ti ha portato... qui, Tristan?"
Il giovane avanzò. Dianna indietreggiò. La sua mole pareva rivestirlo di un'aurea solenne e la luce tremolante del sole si allungava soffusa a vezzeggiare la sua pelle bronzea. Dopodiché allungò il braccio e afferrò la forchetta dal piatto sul vassoio sporco che Jana aveva lasciato incustodito la sera prima.
E la conficcò sulla scrivania.
La forchetta tremò sotto quella spinta brutale.
Dianna pensò a quanto somigliasse ad un tridente.
Fu a quel punto che Tristan alzò lo sguardo lancinante e lo posò su Dianna. "Oh, chiamami pure Tritone."
Dianna sobbalzò. Poi si pietrificò. Un'esplosione roboante riecheggiò nella sua mente e sputò nelle sue vene una lama acuminata che squarciò ogni percezione del mondo attorno a lei. D'un tratto, la campana di vetro che la teneva soggiogata e protetta dalla vita reale si frantumò, e Dianna riuscì a sentire l'eco terrorizzante dei passi che la morte e la vendetta avanzavano verso di lei.
Ecco, ora lo avvertiva. Avvertiva il pericolo, il suo odore, il suo grido, i suoi artigli, il suo sorriso.
La vendetta era dinanzi a lei.
La morte la guardava.
Il pericolo aveva gli occhi ghiaccio.
Prima che il sangue riprendesse a vorticare furiosamente nel suo corpo e prima che la sirena avesse l'audacia di arretrare, Tristan si era già avventato su di lei. Le afferrò un lembo della veste da camera, la sollevò da terra e scaraventò la giovane contro la parete accanto alla finestra. Dianna gemette: riusciva ad avvertire il sangue rugginoso scivolare tra i suoi capelli. Ma aprì gli occhi. E vide la rabbia in tutta la sua magnificenza.
Il viso di Tristan era ad un soffio dal suo respiro e i suoi occhi la inchiodavano con una viva superbia. Dianna studiò la linea della sua mascella tendersi in una morsa ferrea e le sue sopracciglia incurvarsi guerriere sugli occhi raggelati. La guardava.
La sirena provò a divincolarsi, ad agitare i piedi nel vuoto, ma con un movimento veloce Tristan incastrò le gambe della ragazza tra le proprie.
Dianna sentì il calore del suo petto, la sua vicinanza bollente.
La pelle del giovane emanava il profumo del mare.
"E così sei russa... di Mosca... ma -oh!- povera indifesa, non ricordi la tua lingua madre... Forse la tua infanzia è stata così cupa e nera che hai deciso di rimuoverla dai tuoi ricordi, non è così?" Tristan parlò ad un soffio dalle labbra della ragazza, l'espressione balorda ed il tono della voce canzonatorio.
Dianna non riuscì a replicare. Aprì le labbra, annaspando boccheggiante. L'aria, d'un tratto, le mancava.
Il ragazzo rinforzò la presa attorno al bavero della vestaglia e rise. "Povere le tue amichette ignare! Ti offrono compagnia, amicizia, ospitalità, e tu? E tu rendi pariglia sputando menzogne. Oh, non si fa. Non si dicono le bugie, bambina. La mamma non te lo ha insegnato?" Allo sguardò truce di Dianna, finse di correggersi. "Ah, giusto, dimenticavo. Tua madre è morta. Mio padre aveva preteso lei giacesse nel suo letto, perché era davvero un gioiello la tua cara madre. Ma lei? Oh, lei rifiutò. E si sa, sfuggire all'ira di Poseidone non è mai stata una bazzecola per nessuno." Poi, Tristan prese ad esaminare la giovane. Inclinò il capo, socchiuse lo sguardo e studiò il volto pallido, freddo e cereo.
Parlò di nuovo, mentre gli occhi di Dianna si offuscavano dietro il timore. "Tu e il stupido e vecchio padre! Hai creduto davvero che sparire potesse essere la soluzione? Hai realmente creduto che sottrarti furtivamente ai tuoi impegni di serva potesse salvarti la vita? E allora lasciami dire che, ora, la vita cui sei tanto affezionata è lì lì, in bilico," pronunciò con voce lenta, impregnando di enfasi ogni singola parola. Si avvicinò al volto della ragazza. Ora le labbra sfioravano la sua guancia. "E sarò io a decidere se riportarti lungo la retta via..." Pausa, "o se spingerti nel vuoto."
Dianna tremò, navigò in un abisso di paura, terrore, e i suoi pensieri brancolarono titubanti nella morsa del panico.
Le parve che la camera vorticasse nauseabonda.
Riusciva a sentire il respiro di Tritone sulle labbra. Era caldo, un aroma rovente. Una ciocca dei suoi capelli dorati, ora, scivolò sulla sua fronte.
I suoi occhi erano la maledizione più accecante.
Osservava Dianna con lo stesso sguardo di un cacciatore che piega le ginocchia, allunga il fucile e stana la sua preda. Era acceso di rivalsa, un cielo ghiacciato di nubi vorticose.
La sirena credette di poter sparire sotto la sua presa, sbriciolandosi; era certa che il pugno del ragazzo stretto attorno alla sua vestaglia bastasse a frantumare il suo gracile corpo in insulse schegge di polvere, scacciate poi via dal vento.
Erano così vicini che le loro ciglia riuscirono a sfiorarsi.
Tristan allungò l'altra mano e si aggrappò ad una grata della finestra. Dianna vide i muscoli del suo braccio guizzare prepotenti e rilevarsi come un tifone furioso sotto la carezza del sole. "Tu non hai idea di che cosa sono capace. L'Olimpo mi venera, le sirene cantano a me le lodi più dolci e mi allietano con il loro fascino. Con il mio corno di conchiglia so placare le tempeste del mare, ma so anche scatenarle. La mia daga è la più affilata di tutti gli eserciti, la mia faretra è la più gonfia di tutti gli arcieri e le mie freccie bruciano più della folgore di Zeus. La mia vendetta è più acerba di quella di Apollo e la mia furia giunge più rapida del piede di Achille," pronunciò tra i denti. "Il tridente di mio padre è uno scettro spietato che infligge le pene più aspre e, forse, cara fanciulla, ti viene meno ricordare che le punizioni del sovrano degli abissi sono le più memorabili. Tuo padre è già in lista, sarà il prossimo. Ma pover uomo! Una fine così orribile! Voleva essere un vegliardo, un eroe che accorre in difesa della figlia, ma già vedo il suo gracile e avvizzito corpo ardere nel tripode." E poi, rise.
Dianna tremò. I suoi occhi si spalancarono, inermi, annebbiati, mentre i suoi capelli corallo s'insecchivano come spighe rapprese.
Suo padre! Era forse in pericolo? Oppure le sue frustrazioni avevano cessato il loro bollire con la morte?
La giovane spaurita fece per aprir bocca e parlare, ma Tristan le posò un dito sulle labbra e scese poi sulla sua mandibola, a delinearne i contorni con occhi affamati. "Stt, non interrompere un uomo che parla. Sai..." mormorò, passando in rassegna le labbra di Dianna con il pollice, "se tu non fossi così indispensabile... se il tuo fevior non fosse così utile nella guerra contro i Titani che stanno risorgendo, probabilmente mio padre ti avrebbe già fatta ardere e di te sarebbe rimasta solo una poltiglia da sbattere nelle correnti dell'oceano. Ma io... -oh!- io gioco meglio di mio padre. So sfruttare le carte in tavola. D'altronde..." Le sue labbra si fecero più vicine, "sono sempre stato abile con le sirene." Sciolse la presa attorno alla veste di Dianna e allungò un braccio verso la parete per reggersi. "Soprattutto se belle come te..." Poi, la mano che teneva aggrappata ad una grata della finestra scivolò e s'insinuò con superbia sotto la vestaglia di Dianna, salendo a carezzare la pelle nuda delle sue gambe, con una venerazione tale che un fuoco dirompente si fece strada tortuoso dentro di lei.
Nessuno l'aveva mai sfiorata così prima d'allora.
Nel suo tocco c'era una sicurezza plateale, un'esperienza che trascendeva i limiti e Dianna tentò di divincolarsi.
Ben presto, la mano di Tristan raggiunse il tessuto delle sue mutandine: lo prese tra le dita, lo tirò, e poi lo rilasciò, facendolo schioccare contro la pelle di latte come la corda tesa di una fionda. Continuò a salire, andando a tastare i suoi seni. Le sue dita presero ad accarezzarle i capezzoli e una scia di brividi corse lungo il corpo della ragazza.
Prima che Dianna potesse armarsi del coraggio necessario per ribellarsi, la bocca di Tritone era già sulla sua.
Un assalto all'innocenza.
I loro respiri si fusero e l'ardente desiderio nelle labbra del giovane avvampò.
La sua bocca era esperta, curiosa, calda, quasi bollente, e, quando afferrò le redini, la sua lingua vagò a duellare in una sfida senza eguali con quella di Dianna.
Il respirò della sirena si lacerò in gola. Ogni forza le si mozzò. E, ora, l'unico suono che riusciva a percepire era quello dei loro ansimi e del proprio boccheggiare ansioso alla ricerca della libertà.
Perché le labbra di Tristan erano una prigione. Forse la più piacevole, si ritrovò a pensare.
"Sei più dolce dell'ambrosia, piccola sirenetta..." Quando la bocca del ragazzo si staccò dalla sua, scivolò lungo il collo di Dianna e ne divorò il sapore, aggrappando le proprie unghie alla pelle delle sue cosce in un morsa possessiva e rapace.
Fu a quel punto che Dianna riuscì a divincolarsi e a spingerlo via.
Con uno schiaffo.
Infatti, la sua mano si alzò lesta e colpì la guancia di Tristan senza pietà.
Il roboante eco del colpo suonò nella camera come la vibrante nota grave di un contrabbasso.
Tristan rimase immobile, il volto chino e la guancia in fiamme.
Deglutì.
Serrò i pugni.
Il suo petto s'intrise d'ira.
La rabbia iniziò a stendere le radici sul suo viso.
Poi, alzò lo sguardo. "Я покажу вам черт возьми."
Dianna increspò la fronte, non capendo.
Tristan parlò e la sua voce lacerò il silenzio. "Che in russo significa: ti farò vedere l'inferno."
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Tan tan! Un incontro "bollente" e teso tra i due!
Cosa accadrà ora? Cosa intende Tristan con "ti farò vedere l'inferno"?
Siete curiose? Spero di sì.
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