Capitolo 18

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Il Dance Dark non rispettò le aspettative già povere di Dianna. L'insegna del locale lampeggiava sfrigolante e, di tanto in tanto, sotto il cigolio costante della pioggia che lacrimava dal cielo cupo, qualche filo elettrico sfolgorava di un veloce bagliore, per poi spegnersi e riposare in eterno. Era addossato in uno svincolo deserto, come un locale malconcio e decadente in pietra sporca da cui proveniva un rauco e assordante ammasso di suoni e di urla ululanti.
Byron guidava esperto e difilato il piccolo gruppo all'entrata del Dance Dark, ancheggiando e dimenando i fianchi stretti fasciati da una leziosa giacca blu.
Jana, dall'altra parte, non veniva meno a dare gomitate silenziose a Dianna, ammiccando con sguardo agro alla figura di Byron. Gli occhi argento sembravano infatti scintillare. Si chinò verso Dianna in un sussurro. "Sono troppo eccitata. Guardalo! Cioé, guardalo!" Prese bruscamente tra le mani il mento della sirena e la costrinse a rivolgere lo sguardo su Byron. "È l'emblema della perfezione. Quei jeans strappati... si vedono i peli delle sue gambe e, oddio, tutto questo è così virile! È più di Achille, è più di Teseo! È... è il mio prode cavaliere!"
Dianna si sentì in dovere di intervenire. La conoscenza che aveva su simili argomenti meritava di dissentire alle parole dell'amica. Quindi, conservando la sua aggraziata femminilità e la sua linda innocenza, disse: "Perdonami per l'intrusione nelle tue convinzioni, ma devo correggerti: Byron non è davvero paragonabile ad Achille, no!"
Jana infilò il braccio nell'incavo del gomito di Dianna e allacciò la ragazza a sé. "Non contraddirmi. Conosco Byron da circa due anni, e posso assicurarti che la pubertà fa miracoli. Ecco, lui è un miracolo. Se solo sapessi quanto mi è difficile controllare, ora, i miei istinti, mi comprenderesti." Sospirò e lanciò un'occhiata a Byron per accertarsi non stesse allungando curiosamente l'orecchio nella loro conversazione. "Mi sento persino impudica a pensare a simili... questioni o porcherie -scegli tu il termine che ti sembra più appropriato-, ma davvero non è spiegabile a parole e neppure a gesti la brace della passione che bolle dentro di me in questo momento." Dopodiché, si fermò sui tacchi e alzò gli occhi al cielo, considerando le sue parole. "Oh, come mi sono espressa bene! Credo che queste mie improvvise parole di filosofa depravata debbano essere annotate." E si voltò, gesticolando verso Elena che avanzava acquiescente alle sue spalle. "Page, impugna carta e penna e riporta ciò che ho detto. Ho intenzione di rileggere i miei discorsi accalorati quando io e Byron saremo sposati."
Elena le rivolse un'occhiata che sarebbe stata capace di farla sentire una vecchia pettegola spregevole, se Jana non si fosse incamminata saltellando dentro la lunga gonna del suo abito che si piegava pertanto in dolci balze.
Dianna acconsentì distrattamente con il capo per contentare i pensieri frenetici di Jana che trovavano sfogo nel suo supporto, ma la sua attenzione era altrove: la sirena si guardava attorno. Al fianco di Byron, la figura di Kristiàn procedeva lenta ed imbarazzata tra la folla annodata all'entrata del Dance Dark e, quando spossate adolescenti dalle gonfie labbra rivolgevano lui occhiate ammalianti, Kristiàn serrava le labbra e chinava il capo, le guance arrossate e gli occhi squarciati dall'onta. Talvolta, invece, quando dita affusolate e unghie rapaci di donna si allungavano a carezzare la sua camicia, fingeva invece di rassettarsi la nuova cravatta sul petto per avere qualcosa di concreto che non fosse un seno straripante e tentatore su cui rivolgere lo sguardo.
Dianna pensò che la timidezza composta e ragionevole di Kristiàn fosse comica.
Byron spinse una mano contro la porta d'ingresso del locale: in un istante volante, una mischia confusa di voci miscelata al pompare sconnesso di una musica nervosa s'infilò prepotentemente nelle orecchie di Dianna e minacciò di intaccare l'equilibrio dei suoi sensi.
Evidentemente, l'idea di divertimento degli umani confinava con la confusione.
Dianna avanzò un passo e si strinse nelle spalle, osservando circospetta e assimilando con diffidenza i dettagli del locale: Jana aveva errato nell'innalzarlo ad un luogo degno di lode, ma parte della sua descrizione era affidabile. Infatti, solamente una flebile e claudicante luce penetrava in quell'oscurità, quindi Dianna non si sorprese quando matasse di giovani sudici e ubriachi le si spingevano addosso, inciampando sui piedi o barcollando nell'oblio.
Riuscì però ad udire la voce di Kristiàn impennare di un'ottava per sovrastare la musica rauca. "Piove, ma c'è un cielo stellato e sereno stanotte! Al paese mio si dice che ammirare il firmamento la sera della Vigilia sia di buon auspic..."
Byron lo interruppe. "Ma che diamine, Kris! Sei così ottuso? Per quale dannata ragione vuoi osservare anche stanotte le stelle con il tuo stupido binocolo e privarti di una serata che potrebbe regalarti delle sensazioni incredibili ed indimenticabili?"
"Non concordo con la tua idea di sensazioni incredibili ed indimenticabili."
Byron reclinò il capo all'indietro e infilò le mani in tasca, come se stesse cercando qualche buona parola che potesse stornare Kristiàn dal suo intento. "Ascoltami, non fare il bambino. La senti questa musica? La senti?" urlò. "È pura musica! Siamo negli anni Novanta, amico, e da che è mondo è mondo tutti i diciassettenni hanno il diritto di divertirs..." E si voltò a guardare Kristiàn, ma interruppe le sue riflessioni quando vide il suo aspetto. "Perché ti sei messo la cravatta a pois? Non devi pascolare il gregge sulle montagne."
"Mio fratello non ha mai avuto stile o senso della moda. I suoi tentativi di anticonformismo sono sempre sfociati nel risibile." Jana intervenì avanzando di un passo e accostandosi a Byron, le parole che esprimevano un silenzioso ma significativo appoggio.
Kristiàn chinò compunto lo sguardo sulla sua cravatta, considerandola. "Che c'è? Mi piace... è... particolare."
Byron scosse il capo. "Particolare sinonimo di orripilante. Non si fa colpo con una cravatta a pois viola."
"Ma io non voglio fare colpo."
"Ne sei sicuro?" Byron si chinò verso Kristiàn, parlando forse a voce un po' troppo alta per qualcosa che sarebbe dovuto rimanere segreto. Poi, posò una mano sulla sua spalla e osservò con sguardo sghembo in direzione di Dianna, che non aveva potuto fare a meno di ascoltare la conversazione, per la quale però finse di non aver colto il reale messaggio celato.
Kristiàn si schiarì la voce imabarazzato e dondolò sui piedi. "Sei tu il Don Giovanni della situazione."
Byron prese un grande sospiro. "Già, e sto gareggiando con Casanova. Stasera vedremo chi conquisterà più selvaggina. Ce n'è molta..." considerò, osservando attorno le flotte di sfrontate ed impudiche giovani che mostravano i seni con una boriosa baldanza.
Kristiàn sembrò perplesso. "Casanova...?"
"Sì, quel Tristan Waves. Ha l'atteggiamento di uno sporco bastardo perverso. Un bastardo perverso che fa girare la testa a molte fanciulle, a quanto pare, compresa la figlia del preside, Ashley. Non hai visto come lo guardava in mensa?"
"Sinceramente... no. Mangiavo."
Byron alzò la voce ed evitò un giovane che gli si lanciò addosso. "Io l'ho notato. E la cosa non mi va proprio giù. Vedremo chi vincerà stasera."
Dianna rabbrividì e, sfortunatamente, le parole di Byron le portarono alla mente la fastidiosa domanda pulsante: dov'era Tritone e quale altro complotto stava tramando appartato contro di lei?
Kristiàn replicò: "Ma Tristan non si vede in giro... e poi, lui sa di questa" imitò delle virgolette immaginarie "gara?"
"No."
"Spiegami il senso di tutto questo, allora."
"Voglio mostrargli che anche Byron McDonald sa far breccia nei cuori."
Alle sue spalle, Jana annuì segretamente.
Kristiàn continuò con tono solenne, portando una mano racchiusa a coppa attorno alle labbra per amplificare il suono della sua voce in quel trambusto. "Sei forse invidioso di Tristan? Sai, lui agli occhi delle ragazze potrebbe rappresentare... il modello della perfezione greca... insomma... ha i lineamenti regolari, occhi brillanti, spalle larghe e robuste... petto... beh, un buon petto e... e i fianchi stretti, l'atteggiamento da divo e dannato e... la voce calda, insomma... ecco... così... magari tu... magari tu sei troppo grosso, robusto... troppo muscoloso... troppo rinoceronte..."
La testa di Byron scattò in un veloce movimento felino. I suoi occhi smeraldati incediarono quelli di Kristiàn e le mani si chiusero a pugno, spremendo con foga le nocche dentro il palmo. Si fece vicino a Kristiàn, gonfiando il petto sportivo e rilevando le vene del collo in un vivo accenno d'ira e tendendo duramente la mascella. Lo sovrastò con atteggiamento preminente. "Mi hai dato del grosso rinoceronte e del troppo muscoloso?" La voce tonante. Alzò il bicipite e lo sventagliò sotto gli occhi di Kristiàn. "Vuoi assaggiare i miei muscoli, forse?"
"No, no, no, no, no, signore. Sto buono." Kristiàn si rincantucciò in un angolo e parò le mani dinanzi al volto in segno di difesa. Poi si sistemò il bavero della camicia sul collo e prese respiro. "Io vado... vado a dire al musicista..."
Jana roteò lo sguardo. "Al dj..."
"Ecco, sì, vado a dire al dj di cambiare musica... qualcosa di più, uh, più movimentato e orecchiabile..." Kristiàn finse di muoversi a tempo di musica per nascondere il tremore dato dal confronto ravvicinato con l'amico.
Byron convenne, ancora adirato e offeso. Gli indicò minaccioso la strada. "Ecco, vai." "Sì, vado."
E Kristiàn sparì tra la folla.
Dianna non poté fare a meno di sospirare. Era davvero coinvolgente assistere ai battibecchi -altra parola che aveva ereditato da Jana- tra Byron e Kristiàn, ma era altrettanto noioso rimanere pietrificata ed immobile in un capogiro di adolescenti in preda ai fumi della danza. Quindi voltò il capo. Notò Elena seduta su una piccola gradinata che portava ad un bancone di ristorazione, intenta a scribacchiare con dita tremanti su un taccuino, le ginocchia portate al petto.
Sembrava eclissata da ciò che vorticava intorno.
Sembrava racchiusa nella sua gemma di isolamento e Dianna si chiese se Elena traesse un gran piacere o una grande sofferenza nel trascorrere simili momenti altrimenti di comune divertimento appartata in solitudine in un angolo.
Schivò un paio di giovani euforiche e si avvicinò ad Elena. Si sedette al suo fianco e la guardò.
Questa alzò lentamente lo sguardo e sembrò per un attimo soppesare l'idea di alzarsi e trovare rifugio altrove, ma si limitò a chiudere velocemente il taccuino con un colpo della mano e a nasconderlo nella sua bandoliera. Elena rimase poi in silenzio e i suoi occhi, che Dianna fu certa non aver mai notato così profondi, sembrarono voltarsi titubanti nella sua direzione.
Dianna si schiarì la gola. "Che cosa stavi scrivendo?"
E seguì un attimo di silenzio.
La sirena fu certa di aver parlato con voce abbastanza alta perché potesse essere udibile, quindi attribuì a quel silenzio il desiderio di Elena di schivare l'argomento. Ma la curiosità della sirena trascendeva ogni indifferenza. "Perché non vuoi che nessuno legga ciò che scrivi?"
Elena soppesò la domanda. "Perché... è come se qualcuno strappasse... diciamo... un pezzo di te e lo mostrasse al mondo. E io, sai..." Fissò i suoi piedi, "sono già stata strappata."
Dianna era perplessa. "Che cosa vuoi dire?"
"I miei genitori sono morti alle sette e tredici della mattina del ventitré marzo dell'ottantanove, in un incidente... un incidente stradale. Mi stavano venendo a prendere a... a lezione di pattinaggio."
"Oh..."
"Avrei voluto prendermi cura di Johannes, mio fratello, ma... mia nonna materna... non aveva e n-non ha una pensione nutrita con cui mantenere due... nipoti, quindi ha scelto di tirare su mio fratello." Elena scosse le spalle e carezzò le pagine del taccuino sulle sue ginocchia. "Sai, Johannes è brillante. È molto brillante, sai... nelle sue passioni e nelle sue idee. Io... io sono solamente Elena, la taciturna e... " Prese un sospiro, "e disadattata sociale che ha rischiato di... finire in un manicomio perché vede e sente cose... che nessun umano vede e sente."
Dianna pensò che l'alone mistico delle sue parole comprendesse il tacito desiderio di non mostrare le proprie debolezze. "In che... senso?"
"Dal giorno in cui mamma e papà sono morti nell'incidente... predico tutti gli incidenti stradali dello stato del Virginia. Li sento... sai? Conosco il preciso istante in cui quelle due... o più macchine s'incontreranno in un impatto mortale... E so anche dove. Riesco a sentire i tonfi scuri degli incidenti... Poi... poi riesco a sentire anche l'odore metallico dei corpi morti incastrati negli abitacoli, proprio come se fossero qui... ecco... vicino a me." Ammiccò a Dianna e continuò. "Riesco a sentire le urla dei famigliari delle vittime che accorrono in strada... gridano... piangono... invocano quel Dio. Come se... come se fossi eternamente condannata a sentire le urla di sofferenza altrui perché sono stata io a provocare la morte di mamma e papà."
Dianna trovò un simile ragionamento assurdo e rassettò una ciocca di capelli rossa dietro l'orecchio. Alzò la voce per farsi sentire. "Ma no... non dev'essere così..."
"Sì, invece... ti dico di sì. Poi... il giorno dopo un incidente vedo Mandy nei corridoi con il giornale locale tra le mani e... e basta che piego leggermente la testa," e piegò il capo, immedesimata, "e riesco a scorgere la notizia in primo piano proprio dell'incidente che io sapevo sarebbe avvenuto. È... è una... una sensazione delirante... sì, delirante e... e un dolore cosmico." La voce apparve come quella di una bambina che racconta una favola che le incute timore. "Poi riesco a vedere le persone, riesco a sentire spesso cosa dicono... come... come se la mia mente non riuscisse a trovare tranquillità, come se fossi eternamente costretta a vivere la vita degli altri indirettamente perché non sono degna di vivere la mia."
Quelle parole furono per Dianna uno squarcio al cuore. Non aveva mai considerato il dolore di Elena celato dietro un vissuto tanto drastico, tantomeno aveva attribuito ad un viso così apparentemente infantile pensieri e riflessioni che richiamassero la morte.
Quindi, Dianna decise di riprovare, nel timore di aver fatto risorgere in Elena ricordi altrimenti schiacciati contro una pietra. "Perché ti piace tanto il Giappone?"
Elena sembrò destarsi e tornare alla realtà. Le sopracciglia scure si stesero piacevolmente sorprese sulla fronte bianca e gli occhi selvaggina inquadrarono e focalizzarono nitidamente la figura di Dianna dietro lo specchio degli occhiali da vista. Dopodiché, con un indice calcò la montatura di quest'ultimi sul naso e sembrò faticare per recuperare un gran respiro. "Perché..."
Per Dianna sarebbe stato un onore sapere che una giovane taciturna ed inspiegabilmente chiusa ad ogni rapporto con il mondo esterno riusciva a riporre il lei la propria fiducia e rivolgerle la parola.
"Perché... mi piace molto la loro concezione di natura, ne... ne hanno molto rispetto." Espirò profondamente, avvolgendo in movimenti agitati la cerniera della bandoliera attorno al dito. "I giapponesi sostengono che tutti abbiano un'anima. Hanno questo rapporto... m-molto forte e reverente con l'entità spirituale... credono nel magico e... e nel destino, nelle leggende. Ce ne sono molte, sai. Sono belle e... profonde. Leggende che sono all'apice del loro insegnamento." Annuì alle sue stesse parole. "Mi piace il Giappone perché qui in Occidente... ormai... sembra che nessuno creda più a niente, tutto è basato su qualcosa di scientifico... Il rispetto non c'è. Invece lì no... n-no, lì no, è come un posto isolato dal mondo, dove i vecchi valore coesistono ancora... È una terra dove si può ancora sognare, se così si può dire... Ti permette di credere nel destino." E concluse fissando gli aloni ombrati di gocce d'acqua che cadevano sul pavimento calpestato, dopo essere scivolate da qualche bicchiere straripante di alcolici.
Dianna portò le ginocchia al petto, affascinata dalla piega delle parole di Elena: sembravano fluire dalle sue labbra sinceramente, interrotte però solamente da una dolce insicurezza che le impediva di esprimersi deliberata. "Raccontami una leggenda giapponese, allora," urlò sopra il tintinnio delle voci e il rombo claustrofobico della musica.
"Diciamo che... la mia preferita... o meglio, una di quelle che apprezzo di più è la... la leggenda del filo rosso del destino, è piuttosto... sì, piuttosto famosa."
"Non la conosco."
Elena prese un gran sospiro e agitò gli occhietti velocemente. "Wei era un uomo che... che, rimasto orfano di entrambi i genitori in tenera età, desiderava sposarsi e... e avere una grande famiglia; nonostante i suoi tentativi era giunto all'età adulta senza essere riuscito a trovare una donna che... insomma... volesse diventare sua moglie, ecco. Tempo... diciamo... tempo dopo, durante un viaggio Wei incontrò, sui gradini di un... tempio, un anziano appoggiato con la schiena a un sacco che stava consultando un libro, sai, era... curioso. Wei chiese all'uomo cosa stesse leggendo; l'anziano rispose di essere il Dio dei matrimoni" Elena sorrise, "e, dopo aver guardato un'altra volta il libro, disse a Wei che sua moglie ora era una bimba di tre anni e che avrebbe dovuto attendere ben altri... q-quattordici anni prima di conoscerla. Wei rimase molto... molto deluso e chiese cosa contenesse il sacco; l'uomo rispose che lì dentro c'era del filo rosso... che... che disse serviva per legare i piedi di mariti e mogli. Strano... sì, è strano ma bello. Quel filo è invisibile e impossibile da tagliare, per cui... una volta che due persone sono legate tra loro saranno destinate a sposarsi indipendentemente dai loro comportamenti o da ciò che vivranno. Ma.. Wei proprio non voleva sentirne parlare... no. Voleva essere libero di scegliere da solo la donna da sposare. Quindi... ordinò al suo servo di uccidere la bambina destinata a diventare sua moglie. Il servo, obbediente, pugnalò la bambina ma... diciamo... fortunatamente non la uccise: riuscì soltanto a ferirla alla testa e Wei, dopo quegli eventi, continuò la sua solita vita alla ricerca della moglie, quella che voleva lui." La ragazza alzò gli occhi per un istante e considerò l'ipotesi di interrompere il suo racconto, ma il suo desiderio di continuare a narrare qualcosa che le stava tanto a cuore fu incentivato dal sincero cenno d'assenso con il capo di Dianna. Quindi continuò: "Quattordici anni dopo Wei, ancora celibe, conobbe una... una bellissima ragazza diciassettenne proveniente da una famiglia agiata e... e la sposò. La ragazza portava sempre una pezzuola sulla fronte e Wei, dopo molti anni, le chiese per quale motivo non se la togliesse proprio mai. La donna, in lacrime, raccontò che quando aveva tre anni fu accoltellata da un uomo e... e che le rimase una brutta cicatrice sulla fronte, che da sempre nascondeva con la pezzuola. A quelle parole Wei, ricordò l'incontro con il Dio dei matrimoni e l'ordine che dette al suo... al suo uomo... il suo servo, insomma. Poi, confidò alla donna di essere stato lui a tentare di ucciderla." Elena sospirò. "Pazzesco, vero? Ma... una volta che Wei e la moglie furono a conoscenza della storia si amarono più di prima e vissero contenti... felici... vissero il loro finale da favola."
Dianna notò una nota di triste rassegnazione nel tono di Elena e credette persino di aver visto brillare una lacrima dentro il suo sguardo selvaggina. La notò afferrare le sue collane e stringerle tra le dita con possessività, come se ne ricavasse il nutrimento per la sua energia. La sirena fece dunque per ribattere, ma fu interrotta.
"Ecco perché mi piace il Giappone, capisci? È... sai... queste storie fanno sognare... ed è bello sapere che qualcuno crede ancora nei sogni, quando i tuoi sono andati in frantumi... puf." E mimò una grande esplosione con le braccia, improvvisamente immersa nella veridicità delle sue parole. "Ed è anche bello credere nell'amore."
Dianna aggrottò la fronte, sorpresa. "Tu credi nell'amore?"
Elena si avvicinò alla sirena, l'espressione perplessa. "Come? Non ti sento, c'è confusione!"
"Tu credi nell'amore?" ripeté Dianna.
"Oh... io sì. La leggenda del filo rosso del.. del destino dimostra proprio la valenza di questo... sai... sentimento. Tutti siamo legati a qualcuno. Prima o poi... la nostra anima gemella, la persona che dovrà accompagnarci nella nostra vita ci verrà a cercare e ci troverà."
Dianna fu scossa da un improvviso e inspiegabile tremore a cui non seppe dare giustificazione. "Non credo si debba cercare con insistenza ciò che già il fato ha scritto che ci spetta."
"Ma spesso le persone... le persone inciampano nella nostra vita. E non riescono ad alzarsi. Forse perché non vogliono. Vogliono... rimanere incollate ai nostri piedi. Anche quella è una forma d'amore." Elena alzò la voce, tanto credeva fermamente nelle sue parole. "Qualcosa che sembra un caso è... è in realtà la decisione di un destino a cui noi siamo subordinati. Avere la possibilità di andare via, via... ma decidere di rimanere perché si vuole cercare quel legame profondo di cui tanti poeti hanno scritto. Non è anche questo, forse, amore?"
Dianna rifletté. Non poteva negare la sottile vena di speranza nel discorso di Elena e non poteva neppure negare la fiducia che le sue parole sembravano d'un tratto infonderle nel cuore. Per un istante, credette che Elena fosse ancora stregata dai lieti finali delle storie di fantasia e titubasse nel ritorno alla vita reale. Ma c'era qualcosa, c'era qualcosa in quella apparentemente piccola e fragile ragazza che le faceva credere le sue parole fossero, invece, robuste come la pietra e basate su un solido fondamento.
Dianna rispose. "Oh, io non credo all'amore."
"Bugia."
"Come?"
"Io ti guardo, sai?" Elena voltò il dolce viso nella sua direzione e sorrise: le labbra rosate si stesero sulla pelle bianca illuminata da una pallida luce lontana. "Io osservo le persone. E poi scrivo di loro. E tu hai proprio gli occhi di chi... perderebbe il senno qualora si innamorasse. E io, io ti dico che quel giorno" scrollò le spalle "non è lontano."
A quel punto Dianna, scossa da un capogiro dovuto alle troppe domande con cui continuava a trastullare i propri pensieri, si alzò e portò le mani alle tempie, cercando di riordinare i sensi. "Io... va bene, sì, grazie, belle... belle le tue parole, ma devo andare," balbettò.
Proprio quando si voltò, la camminata veloce simile ad una sontuosa ritirata, incontrò il petto di qualcuno.
"Ti va di ballare?" Dianna riconobbe la voce tentennante ed imbarazzata di Kristiàn.
Pur di sfuggire alla solitudine che poteva corrodere negativamente i suoi pensieri che avrebbero potuto iniziare a farfugliare, Dianna annuì.
Forse, accettò l'invitò anche per un'altra paura.
Quella che la portava a domandarle dove si fosse nascosto.
Lui.
"Però stai vicino a me. La sala è davvero molto buia e non si riesce a vedere nulla. Stringimi la mano." E Kristiàn allungo un braccio, tastando insicuro il vuoto, per cercare le dita di Dianna.
Quando le trovò, la sirena rispose flebilmente alla stretta.
La sua mano era fredda.
"Aspetta un attimo." Kristiàn le urlò sopra la folla e si sporse verso il suo viso, agitando il ciuffo platino. "Vado a chiedere al dj se... se può far partire un pezzo lento... insomma, meno brutto. Aspetta..." Kristiàn arretrò e la sua sagoma si plasmò nel buio. Allungò un braccio e la indicò. "Aspetta un attimo, torno subito." E si voltò.
Dianna rimase immobile nella sala e nel vortice di danzatori accalorati per una manciata di secondi. O di minuti. Non lo sapeva, non contava lo scorrere del tempo. La sua mente era troppo stanca. Era come se le parole di Elena l'avessero indebolita.
Poco dopo, una mano si strinse alla sua.
"Allora? Il... il dj ha esaudito la tua richiesta?" Dianna si voltò e si scontrò con un petto.
"Certamente."
"Oh, bene. Credevo mi avresti lasciata qui da sola." Dianna sfogò una risata nervosa, chinando il capo imbarazzata. "Non avrei davvero saputo come uscire da questa mischia, non si vede null..."
"Non faccio mai aspettare le donne."
Dianna sobbalzò. Le sembrò che la voce di Kristiàn fosse diversa. Molto diversa. Più.. suadente, calda, energica. Ma, probabilmente, era solo un'illusione dettata dalla musica raschiante nella sala.
"Oh. Byron sembra averti influenzato..."
"Non ho bisogno dei suggerimenti di Byron." E la mano fece pressione contro la schiena di Dianna, che fu costretta ad allacciare le braccia su quel petto.
Dopodiché, le dita che la stringevano si spostarono delicatamente sul suo polso e lo portarono sull'incavo di una spalla.
"Ecco, una mano deve stare qui... E una qui..." E strinse le altre dita.
Dianna soffocò una risata. "Sembri davvero esperto nei balli. Non l'avrei mai detto, Kristiàn."
La voce suonò calda, bollente, e nascose un ghigno. "Ho avuto molto tempo per imparare."
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Okay, forse questo capitolo è troppo lungo, ahahahah.
Che ne pensate dei battibecchi tra Byron e Kristiàn? E di Elena (che finalmente parla, yeeeee)? Chiaramente, le sue parole nascondono dei riferimenti ai comportamenti di Tristan. Insomma... forse lei vede il futuro degli incidenti stadali... ma magari anche quello dell'amore, chissà...
E per quanto riguarda Kristiàn che chiede a Dianna di ballare? Inizialmente tutto okay... ma poi? Non c'è qualcosa di strano? Vedremo...
Votate e commentate!
Grazie a tutti!

L'inevitabile attrazioneDove le storie prendono vita. Scoprilo ora