Capitolo 49

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Lyenth Cox era cambiato. Alloggiava in solitudine in una piccola e recondita stanza nell'imponente palazzo reale, sorvegliato da due guardie appostate agli stipiti della porta e strette in un'ufficiale divisa rossa. Le pareti di pietra erano spoglie, il pavimento di marmo imbrattato di gesso bianco e un grande candelabro con applicazioni in bronzi di Corinto era l'unica nota di ricchezza nella stanza.
Dianna aveva trovato il padre quasi ridotto in macerie: appena aveva varcato la soglia e lui ancora non aveva notato la sua presenza, lo aveva visto camminare con il capo chino preso tra le mani, le unghie che graffiavano la nuca ora glabra e lentigginosa, il petto sudicio e le squame della coda che avevano perso la loro robusta e originaria compattezza. La sirena non era riuscita a scorgere i suoi occhi sino a che nel riconoscere la flebile voce della figlia, Lyenth non aveva alzato gli occhi: a quel punto, Dianna aveva visto una sofferenza inumana incastonata dietro i lineamenti di un volto che sembrava essere appassito, buio, grezzo, vecchio. Solamente i piccoli occhi chiari conferivano una parvenza di decenza al suo aspetto, ma chiunque avrebbe detto che, in quell'uomo, il sangue e la vita non collaboravano più alla sua sopravvivenza.
Eppure, alla vista di Dianna, il cuore del tritone gli era balzato in gola; aveva sbarrato gli occhi e le sue palpebre avevano iniziato a tremare convulsamente. Quando aveva focalizzato l'immagine della figlia, il suo volto sembrava aver riacquistato la luce, come una rosa che non attende maggio per sbocciare, ma si accontenta dei primi bagliori del sole che sorge dietro i monti in una mattina di marzo.
I due si erano abbracciati, avevano ritrovato la gioia di condividere assieme attimi e sospiri, e Lyenth non aveva tardato a raccontare a Dianna l'indecenza con la quale aveva trascorso i tre mesi in sua assenza, rinchiuso in un'angusta cella del regno, costretto ad assistere giorno e notte alle orge del dio Poseidone, che soggiogava al suo cospetto bellissime fanciulle dalla pelle di ceramica, vestite ad imitazione delle amazzoni, con tuniche corte e faretre a tracolla, con fiori d'arancio ad ornare i capelli di sole, che iniziavano danze peccaminose attorno ai banchetti del dio, allietando i suoi pasti e denudandosi ad ogni volteggio.
Lyenth le aveva raccontato di come, in parte, quelle aggraziate fanciulle gli avessero suscitato il ricordo della figlia, ma le aveva raccontato anche di come era stato abile nell'allontanare quel pensiero, sapendo la figlia probabilmente al sicuro da simili sacrilegi alla purezza.
Ma Dianna era rimasta altrettanto sorpresa quando il padre le aveva sussurrato, dopo aver lanciato occhiate furtive tutt'intorno, che era stato Tritone, al suo ritorno, ad ordinare alla servitù di spostare l'uomo in una stanza più degna e a chiamarlo in colloquio con la figlia.
A quelle parole, era stato il cuore di Dianna a balzare nel petto, traboccante di gratitudine e di una gioia rinnovata e rifiorita a tal punto che la sirena ne era stata investita, come se una forza a lungo repressa fosse stata scatenata d'improvviso e l'avesse dominata completamente.
E, ora, Dianna sorrideva, perché Tristan aveva mantenuto la sua promessa e, il mattino seguente, come deciso, aveva mandato al suo servizio due umili ancelle che si erano occupate di scortarla fuori dagli abissi e di accompagnarla in un piccolo alloggio vicino al campo di addestramento messo in piedi appositamente per lei, dove le serve le avevano preparato un bacile per le abluzioni -nel quale Dianna aveva immerso più volte la testa- e le avevano acconciato splendidamente i capelli in un intreccio di forme che aveva messo in luce la bellezza delle sfumature naturali dei suoi capelli rossi, mentre qualche ciocca era stata fermata con una sottile fascia argentata stretta attorno alla sua nuca. Ad avvolgere le sue forme nude di sirena era stato un peplo ionico ricamato e un mantello giallo e fulgente come il sole dietro la foce dell'Asopo che le lasciava solamente scoperto il braccio destro.
Quella stessa mattina, al sorgere dell'alba, centinaia di carri avevano sopraggiunto le coste di Eretria per portare le armature dell'esercito richieste da Tristan, e Frikerikos, stanco e insonne, si era accasciato a terra in un attimo di sosta, come una statuetta d'argilla ancora umida che si scioglie al sole.
Di una bellezza greca che rasentava la perfezione e con la pelle che profumava di seduzione, ora Dianna guardava, sotto l'ombra spiovente di un grande albero, Tristan che, al fianco del suo fedele Kassandros, osservava e dava disposizioni ad una parte dei suoi uomini. Indossava un chitone bianco e le gambe tornite e nude avevano assorbito dal sole un lieve colorito bronzeo.
Lo vide camminare sul campo, avanti e indietro, l'andatura lenta ma minacciosa, rigida ma raffinata, con la sabbia che intaccava i suoi piedi.
"Vedete quel promontorio?" Tristan allungò un braccio e le teste dei suoi guerrieri si mossero in simultanea. "Voglio vedervi percorrere in corsa tutto il campo, costeggiare quella pianura recintata poco lontano, per poi risalire sul promontorio e correre lungo il primo terrazzamento e scendere " Si voltò e indicò ciò di cui parlava con la mano "dove i massi si sgretolano verso la costa." Poi tornò a rivolgersi ai suoi uomini e li osservò con uno sguardo tanto profondo quanto perlustratore. "Credete di esserne capaci?"
L'esercito levò un urlo stentoreo e annuì vigorosamente. Quando gli uomini fecero per voltarsi, per mettersi disciplinatamente in riga e assolvere il loro compito, però, Tristan infranse la tensione del momento: sul suo volto sbucò un sorriso quasi cinico e superbo e disse: "Prima, però, toglietevi i sandali."
Gli uomini si voltarono scettici verso il loro comandante: alcuni fecero per dire qualcosa, ma furono coscienziosi nel ritirare ogni contestazione, altri osservarono Tristan supplichevole, altri si abbandonarono alla rassegnazione e si chinarono per sciogliere le stringhe dei propri sandali dalla loro presa e alcuni, invece, voltarono gli sguardi assetati e affamati verso Dianna, sperando in un suo intervento.
La sirena uscì dal suo riparo sotto l'ombra e camminò con eleganza verso Tristan, avvertendo sulla pelle il calore del sole e la lucentezza del giorno che oramai viveva splendente nel cielo. Si alzò sulle punte e si sporse verso l'orecchio di Tritone: "Perché li vuoi scalzi?"
"La sabbia brucia. Il sole della Grecia è cocente. E chiunque correrebbe più veloce su un terreno bollente." Tristan assottigliò lo sguardo e alzò un lembo delle labbra in un sorriso. Fece un passo in avanti e si mostrò come un valoroso comandante qual era davanti all'esercito e, quando vide gli uomini sprovvisti di sandali, spiegò le braccia e li invitò ad avanzare. "Vediamo chi arriva per primo."
Alcuni guerrieri sembrarono averlo sentito e, piegati su se stessi, le mani sulle cosce e i piedi che di tanto in tanto battevano a terra per correre sul posto e prepararsi allo scatto della corsa, si voltarono verso Tritone con occhio competitivo.
Poi, partirono.
Un piccolo gruppetto composto da circa cinque uomini, di cui quattro dal petto tonico e dalle braccia massicce e di cui uno dal fisico esile e dal viso allungato, si distinse in velocità ed energia. Le loro gambe si mossero rapide verso il promontorio e le loro braccia vi si aggrapparono. Dopodiché, con un balzo felino e qualche grugnito che accompagnava barbaricamente la loro impresa, si issarono sulle rocce del piccolo monte e atterrarono in ginocchio sulle brecce pungenti del primo terrazzamento. Mugolarono per un istante e poi si rialzarono, tossendo e incespicando sui loro passi ma riacquistando fulmineamente l'equilibrio dapprima precario. I cinque uomini si scambiarono occhiate in cagnesco. Uno di questi tentò di accelerare, tanto strinse le braccia piegate sui fianchi e serrò la mascella, ma un altro -notato quell'arduo desiderio di sfida- allungò un braccio e lo spinse da parte. Tra i due fiorì rivalità, sfida, competizione e concorrenza.
Tristan osservò la scena soffocando una risata, poi arretrò di un passo, alzò un sopracciglio in direzione di Dianna, si rintanò nella falce ombrata dell'albero e, chinandosi, afferrò un piccolo stelo d'erba che cresceva accanto alle poderose radici dell'arbusto e lo infilò tra i denti, masticandolo deliziosamente. Dopodiché tornò al sole, accanto a Dianna e a Kassandros, intrecciò le braccia al petto e sollevò il capo in direzione del promontorio.
Il sole non sembrava bruciargli gli occhi, offuscargli la vista. Sembrava piuttosto lasciarlo risplendere come un'aquila dirigente, uno sparviero minaccioso.
La sirena si voltò e sospirò perplessa quando intravide alcuni uomini ancora sul punto di partenza, la pelle arsa dal sole e le gambe troppo deboli, troppo prive di energia per muovere passi sotto quella calura asfissiante dell'Eubea; altri, raggiunto il promontorio, nel tentare di issarsi sul primo terrazzamento, caddero sulla sabbia e l'impatto inaspettato bastò a strappare dalle loro voci grevi urla terrorizzate; alcuni, invece, riuscirono a salire sul terrazzamento, innalzarono panegirici di ringraziamenti agli dei guardando il sole e sussurrando il nome di Apollo, ma un istante dopo si ritrovarono costretti ad aggrapparsi alla cinta rocciosa alla loro destra per reggersi sulle gambe; altri ancora, seppur in visibile minoranza, si accasciarono a terra e alzarono le braccia, agitandole convulsamente per indicare il loro stato tra la vita e la morte.
"Per Zeus, questi non sono uomini..." Kassandros schiuse le labbra, vi lasciò uscire un lieve sospiro sconfortato e scosse il capo con rassegnazione.
Tristan si voltò verso di lui, lo osservò per un momento sbattendo gli occhi, poi si tolse lo stelo d'erba tra le labbra di rugiada e disse: "Lo diventeranno. Perché, come esercito di Tritone, possono tutto."
Kassandros fece per ribattere qualcosa, in un primo momento. Poi guardò chino, sembrò ripensarci, e poi alzò nuovamente lo sguardo. "Tritone, cerca di agire con diplomazia. Ragiona, per l'Olimpo! Che giovamento trarrai dall'addestrare uomini senza addome, senza spalle robuste e senza gambe agili e scattanti?"
"Non hai fiducia in me?"
"Ti sbagli, il nocciolo della questione non è questo e..."
"Strano..." Tristan avanzò con atteggiamento beffardo, si pulì teatralmente gli angoli delle labbra e poi disse. "Perché io ho molta fiducia in me stesso."
"Lo vedo." Kassandros riconobbe negli occhi dell'uomo che gli sostava dinanzi quelli del suo vecchio amico e un sorriso gli errò sulle labbra. Poi avanzò e gli si parò di fronte. "Ma quello che voglio dirti, è che questi non sono guerrieri, Tritone. Sono uomini prelevati senza giudizio. Dobbiamo reclutare combattenti forti, esperti e..."
"No." Tristan tuonò con furia: ora le sue sopracciglia s'incrinarono sopra gli occhi ferini e la sua espressione si tese, pungolata, l'animo risvegliato nel parossismo. Allungò un braccio verso gli uomini che correvano lungo il promontorio e si espresse in un sospiro per sottolineare l'enfasi nelle sue parole. "Non li vedi, Kassandros? Mancano di energia e di forza perché nessuno ha mai risvegliato in loro quella rabbia, quell'adrenalina che li spinge verso la guerra. Mancano di velocità e di impeto perché nessun generale è mai stato abile nell'addestrare le loro persone. Ma io sono Tritone, e riuscirò in questo e in altro. E se tu non credi in me, Kassandros, allora ritirati dalla guerra, perché non combatterò con chi non è motivato, tienilo a mente." E lo indicò, gli occhi chiusi a fessura e le labbra che si contraevano sotto gli spasmi. Tristan deglutì e si voltò.
Kassandros gli venne incontro e tentò di afferrare il suo braccio. "Io credo in te, però..."
"Però cosa? Quale obiezione hai da sollevare? Kassandros, tu non capisci." Tritone portò le mani alle tempie, chiuse gli occhi, massaggiò il capo per riacquistare il senno e poi riprese: "Guerrieri non si nasce: si diventa." Poi si fermò e aggiunse con voce più ironica. "Con la sola mia eccezione. Loro," disse indicando un paio di uomini che si avvicinavano verso il primo terrazzamento, "loro hanno bisogno di vedere la luce in fondo alla galleria per poter oltrepassare l'oscurità. E io li aiuterò. Farò capire loro che la guerra non è solamente un campo di lerciume, sudore, letame e sangue, ma è anche un momento per riscattarsi, per mettere in mostra le proprie forze, la propria virilità. Chiaramente, le due possibilità di conclusione le conosciamo tutti: i più forti vincono, gli altri giacciono morti e insepolti a terra. Ma se non rischi, Kassandros, non conoscerai mai la tua sorte. Lasciamo i vigliacchi ai Titani. Io voglio uomini. Li voglio coraggiosi. Voglio uomini disposti a lanciarsi verso ostacoli più grandi del loro corpo perché la parola arresa non è incisa nei loro pensieri." Tristan sospirò e congiunse le braccia dietro la schiena, iniziando a camminare in circolo attorno al nobile ipparco. D'un tratto, era un conte settecentesco dentro abiti di Achille. "Un grande uomo della storia, un giorno, disse che l'unico modo per sconfiggere la morte è vincere la paura." Si sporse verso il viso di Kassandros, inclinò il capo e lo soppesò, scrutatore. "Tu sei pronto a rischiare? Io sì." Ammiccò agli uomini. "E anche loro lo saranno."
Le parole di Kassandros gli morirono in gola. Chinò il capo e il suo sguardo tradì consenso: tacitamente, il suo cuore approvava il discorso dell'amico. Annuì e increspò le labbra, probabilmente deluso per non essere stato abile nel dissuadere Tritone, ma al contempo umile per accettare che, la ragione, ora, era tra le mani del figlio di Poseidone.
Da lui tutto era nato e da lui tutto sarebbe dipeso.
Non restava altro che rischiare.
Dianna sorrise, ma tacque.
I cinque uomini che precedentemente si erano distinti in velocità discesero il terrazzamento, saltarono sulla sabbia del campo reggendosi a qualche masso spiovente e, alzando lo sguardo per sollevare un sorriso vittorioso, strinsero i denti per percorrere l'ultimo tratto che li avrebbe portati al traguardo. Quando le loro gambe guizzarono un'ultima volta, si assieparono accanto a Tritone e si piegarono su se stessi, posando le mani sulle ginocchia e sputando respiri di drago.
Il loro confuso ansimare, tutt'assieme, creava una soffusa melodia mistica.
Tristan prese a girare attorno a loro, lo stelo d'erba che danzava tra le sue mani avvolgendosi attorno ad un dito e poi ad un altro, e il mento alto che gli conferiva una suprema aria dirigente. Poi si chinò verso gli uomini, posò loro le mani sulle spalle e strinse le mani attorno alle loro clavicole. "Voi," disse, "sarete parte della seconda fila della falange. La vostra velocità vi ha premiato. Dovrete scattare fulminei verso il nemico quando i guerrieri della prima fila cadranno."
Kassandros, alle spalle del giovane, non reagì: si limitò piuttosto a sospirare con atteggiamento irrequieto e a posare le braccia lungo i fianchi, finché Tristan non si voltò nella sua direzione e, con gli occhi agghiacciati racchiusi dietro palpebre strette a fessura, disse: "Voglio altri quarantamila uomini."
"Che cosa?" La voce di Kassandros tremò per un istante.
"Hai capito bene." Tritone osservò il sole per un momento e la sua voce tuonò con più lucidità. "Reclutali in tutta la Grecia: Attica, Laconia, Messenia. Li voglio sopra i diciott'anni e con un coraggio così fervente che li porti a combattere anche con la consapevolezza di poter morire."
"Ma Tritone..."
"Va', ti ho detto."
Kassandros drizzò il busto e rimpolpò la possanza delle spalle per replicare: "Quarantamila uomini, Tritone? Ragiona. Non puoi strappare alle famiglie greche mariti e padri. La gente lì fuori" e indicò un punto indistinto in lontananza oltre il promontorio, "ha una vita ed è estranea a queste antiche discordie. Prova... prova ad agire con diplomazia!"
"Non si soffocano i Titani con la diplomazia, Kassandros." In tutta risposta, Tristan troneggiò nella sua sicurezza e la sua stazza massiccia creò una larga ombra sulla sabbia. "A volte serve il sangue."
"Anche il sangue di innocenti?"
"Sì."
Kassandros annuì e guardò i propri sandali. Chiuse gli occhi per un istante, calmò i tumulti del suo cuore e la sua voce si riaccese per dire, sporgendosi verso l'amico. "E se lei" Kassandros ammiccò silenziosamente a Dianna poco lontano, "fosse la madre dei tuoi figli? Sopporteresti le sue urla straziate e il suo cuore infranto qualora ti vedesse lì, sul campo di battaglia, pugnalato dalla guerra, senza più un'anima? Sopporteresti la visione di lei, della donna che ami -perché oh, so che è così, Tritone- che intinge il suo corpo nel tuo sangue per sentirti ancora vicino? Hai mai immaginato la situazione opposta?" Kassandros, capendo di avere oramai in pugno l'attenzione di Tristan e vedendo la determinazione di questi scemare, batté la mano sul petto dell'amico per riscuoterlo. "E tu, Tritone, avresti il coraggio di sfidare la morte correndo il rischio di non vederla per il resto dei tuoi giorni? Correndo il rischio di non poterla amare più?"
Le parole dell'ipparco risvegliarono in Tritone un'umanità così intensa che chiunque, nel vederlo lì, debolmente in piedi, gli occhi ora umidi e le labbra tremanti, avrebbe letto nel suo corpo la sua instabilità. Tristan sbarrò gli occhi, le sopracciglia aggrottate sulla fronte si stesero e volse lo sguardo per non incontrare la verità negli occhi di Kassandros.
Dianna, sebbene lontana di qualche passo da lui, lo vide barcollare, camminare su lame acuminate e roventi con il cuore scoperto.
Ma spesso, l'orgoglio di Tristan nascondeva la debolezza dei suoi sentimenti. Quindi egli si riscosse da quel torpore fuggente, guardò Kassandros e, con voce controllata ma con sguardo fedele, gli disse: "Fa' come ti ho detto, perché tutto ciò che hai descritto non accadrà." E osservò Dianna. "Chiunque oserà sfiorarla o respirarle minacciosamente sulla spalla vedrà la mia vendetta."
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(Ho ricevuto dei messaggi da alcune lettrici, le quali mi hanno detto che spesso non arrivano le notifiche degli aggiornamenti dei capitoli. È un problema di Wattpad, non mio. Io pubblico con costanza. Non so se ci avete mai fatto caso, ma pubblico un capitolo ogni 3 giorni: se pubblico, ad esempio, di lunedì, faccio trascorrere martedì, mercoledì e giovedì e pubblico di venerdì. È sempre stato così, fin dal capitolo 1. Quindi, se in futuro per più di 4 giorni non dovesse arrivarvi la notifica, sappiate che io, in realtà, ho pubblicato. Ve lo dico perché vorrei evitare di sembrare una che aggiorna una volta ogni morte di papa e perde lettori a causa di un problema dell'applicazione. Spero mi capirete.)
Detto ciò, questo è un capitolo di passaggio. Ho raccontato in breve l'incontro tra Dianna e suo padre e ho descritto Tritone che addestra una parte degli uomini. Come vi sembra? È abbastanza rigido? Forse alcune delle sue parole sono eccessivamente violente, come la necessità del sangue di innocenti, ma è preso dalla foga del momento. Vi piace il rapporto tra lui e Kassandros? Quest'ultimo a volte mi ricorda un po' Tata Lucia ahahahah.
Ci saranno altri capitoli dove verranno descritti gli addestramenti... anche di Dianna che userà il suo potere! Chissà, magari contro Tristan stesso...
A volte mi dite che il rapporto tra Tritone e Dianna è un po' in ombra. È vero, ma ho dovuto descrivere il loro ritorno negli abissi, la famiglia di Tristan, Kassandros, le armi e ora gli addestramenti. Spesso risulta confusionario inserire tutto insieme, ma a breve ci saranno scene più intime tra i due. E andremo a far visita a Jana e co. Vi mancano?
Nel prossimo capitolo (che pubblicherò giovedì 10 settembre) ci sarà un viaggio nel tempo: Dianna scoprirà qualcosa di abbastanza sconvolgente sul passato di Tritone.
Fatemi sapere che ne pensate! Votate e commentate!
Grazie mille e perdonatemi per il papiro :)


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