Capitolo 36

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Importante. Troppo importante. Dianna continuò a ripetere quelle parole nella sua mente come un mantra. Eppure, più che uno spunto per una riflessione, sembravano più simili a coltelli affilati che colpiscono sempre sulla stessa ferita, sino a farla divenire emofilica.
Guardò Tristan negli occhi, incapace di pronunciare una sola parola o di far uscire una minuscola sillaba dalle sue labbra. Il suo sguardo oceano saltava su ogni dettaglio del volto teso, eppure apparentemente sincero di Tritone: gli occhi ghiaccio sbarrati, le ciglia scure che serravano impercettibilmente lo sguardo quando questo diveniva offuscato da lucide gocce simili a lacrime, la bocca carnosa che sembrava sul punto di cercare la sua, e quel ribelle ed indomito ciuffo di capelli che scivolava sulla sua fronte ogni qualvolta Tristan era agitato.
Dianna schiuse le labbra per un istante, lasciando spazio ad un conciso sospiro che poi si dileguò nel vuoto, per poi richiuderle.
Dalla carezza delle mani di Tristan sul suo viso spirava un calore assassino, che Dianna credette persino potesse mandarla in fiamme.
Le sue dita erano tremendamente calde.
Dopo attimi trascorsi ad osservarsi e a studiarsi, Tristan fu il primo ad arretrare di un passo, a sciogliere la presa attorno al viso di Dianna e a lanciare una breve occhiata alle proprie scarpe, prima di voltarsi e di intimare tacitamente alla sirena di seguirlo.
E Dianna lo fece.
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Giunsero alle lugubri celle dopo pochi istanti, perché Dianna aveva dovuto sostenere la camminata frenetica di Tristan e tentare di mantenere lo stesso passo. Ci aveva provato, forse vi era riuscita, ma ora era sopraggiunta dinanzi alla porta della cella con un affannoso respiro.
"Sdraiati," disse Tristan entrando, per poi stendere una coperta al suolo.
Dianna annuì, senza proferire parola, poi, alzando timidamente lo sguardo per notare il volto dell'altro lottare per stendersi in una morsa più tranquilla, si accovacciò sulla coperta, sfilando con pudore la giacca dell'uniforme e la cravatta, decidendo però di rimanere a dormire con la camicia e la gonna, perché mai avrebbe avuto il coraggio di spogliarsi dinanzi a Tritone.
La sua dignità glielo impediva.
Dianna allungò dunque un braccio dietro la schiena per reggervisi e seguì la figura di Tristan raggiungerla sulla coperta e sedersi. Lo vide portare le mani alle ginocchia, agganciarle e guardare fisso dinanzi a sé, sebbene non ci fosse nulla di particolarmente attraente per un occhio meraviglioso come il suo, se non una serie di grate arrugginite che interrompevano la visione di un mezzanino rabbuiato.
Il silenzio che li circondava era più denso della luce della prima luna che irrompeva come una falce attraverso la piccola apertura nel muro, e che scivolava sulle loro schiene attraversando i tessuti delle camicie bianche.
Quel silenzio fece tornare alla mente di Dianna lo stesso che vigeva poco prima, successivamente allo sproloquio di sfogo di Jana, pertanto non poté evitare di ripensare alle parole dell'amica.
Era più che evidente, ora, che Jana condannava un sentimento come l'amore perché aveva nutrito troppe aspettative in esso, ricevendo poi solamente grandi delusioni.
Dianna sollevò lo sguardo su Tristan e, inconsapevole del suo gesto, si sporse verso di lui, spostandosi con l'ausilio delle mani. Ora le loro spalle si toccavano.
Lo guardò e lo vide quasi trattenersi dal rivolgerle un'occhiata, come se avesse timore che questa potesse spaventarla.
Ma Dianna, in quel momento, era più deliberata che mai, e, con una voce che contraddiceva il tugurio spento e adombrato della cella, chiese a gran voce: "Ti sei mai innamorato?"
"Che cosa?" La voce di Tristan decollò di un'ottava.
Dianna non ebbe alcun ripensamento. "Hai mai amato?"
"Perché me lo domandi?" Tristan parlò con voce rauca, prima di schiarirsi la gola e tornare a rivolgere parole intrise di un tono caldo. "Ero certo che ai tuoi occhi il mio cuore fosse troppo di pietra per esserne capace."
"Non è vero, non hai un cuore di pietra."
All'unisono, si scambiarono una dolce occhiata, poi Tristan chinò lo sguardo sui propri piedi, annuì leggermente e prese un gran sospiro, prima di mormorare: "Sì, mi sono innamorato."
Scossa da un turbine di sentimenti, Dianna chiese: "Di chi?"
"Te lo dirò a tempo debito."
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I giorni trascorsero con la stessa velocità con cui un uccello migra verso luoghi più caldi: in una ricerca disperata verso la felicità. E così, anche quel manto color piombo sembrava ricercare la propria spensieratezza, rincorrendo i giorni e ghermendo tra le dita annuvolate un cielo più sereno, ceruleo.
Le mattinate s'alternavano tra ore di sole -la cui luce splendeva stranamente agli albori del primo febbraio- e tra ore di miseria, povertà, dove la bellezza svaniva in uno sciabordio lontano, lasciando spazio ad un'atmosfera vecchia, deprimente e cupa.
Ma per Dianna, ogni giorno, oramai, era uguale ai precedenti, perché aveva finalmente imparato l'arte del non farsi sottomettere da un cielo triste. Inoltre, la frequenza con cui osservava l'esterno dalle imposte del dormitorio era diminuita, perché non vi attribuiva più importanza. Era stanca di cercare il proprio posto in un mondo lontano: ora la sua vita languiva nel Massbury Institute, e l'unico suo compito era trovare uno spirito gaio con cui affrontare tale consapevolezza.
Ogni sera si rifugiava tra le buie celle dell'istituto, ma con la protezione di Tristan il compito appariva meno spaventoso. Così era solita abbandonare la propria stanza, congedandosi con un sorriso da Elena e Jana. La prima annuiva ogni volta, per poi lanciare una fugace occhiata luccicante alla sua macchina da scrivere, forse tentata ad incidere su carta la storia di Dianna; la seconda, invece, ammiccava maliziosamente, collegando quelle fughe notturne ad un possibile legame intimo con Tristan.
Ma tra Dianna e Tritone non vi era nulla di più della semplice complicità. Lottavano entrambi per un unico obiettivo: la sopravvivenza. Però avevano deciso di intrattenere quei comuni attimi di attesa con parole e racconti: ogni sera, infatti, stretti l'uno tra le braccia dell'altro -o forse dolcemente abbracciati- si scambiavano aneddoti, storie avvincenti, riflessioni e confessioni. Tristan, da parte sua, sembrava sempre ligio a ricercare nelle parole di Dianna la morbidezza della sua voce vellutata di sirena, l'occhio talvolta sognante quand'era perso sul suo viso candido; Dianna, invece, aveva tramutato il fatto di dormire tra le braccia di Tritone in un'indifferente abitudine, e non le dispiaceva affatto -doveva ammettere- di sentire la protezione di quelle braccia gagliarde e la compagnia di quel respiro caldo che fluiva sul suo viso. Anche lei, come lui, si mostrava interessata alle loro conversazioni, che includevano le esperienze passate di Tritone -come le volte in cui, nel 1897, era solito salire nei vagoni di prima classe di treni parigini per origliare le conversazioni di nobiluomini e nobildonne, appuntarle su un taccuino e assorbirne gli scandali più piccanti per riportarli in un giornale locale gestito da gruppi segreti di spie- e riflessioni riguardanti l'arte, la filosofia e la musica greca.
Ma per Tristan, il momento più riscaldante della serata, arrivava quando Dianna si addormentava tra le sue braccia nel bel mezzo di un racconto. Così rimaneva ad ammirarla nella penombra, sino a quando non si obbligava a scostare lo sguardo nella convinzione che le sensazioni che sembravano galoppare sul suo cuore l'avrebbero ben presto ucciso.
Quel dì, era la mattina del 7 febbraio e lo stato del Virginia zoppicava verso la speranza in un'ipotetica primavera imminente.
Jana attendeva Dianna al crocevia tra il corridoio del primo e del secondo piano, la bandoliera in spalla, lunghe calze bianche sportive a fasciarle le gambe e i capelli raccolti in un distratto intreccio sulla nuca. In una mano reggeva una strana mazza di legno, che Dianna osservò con diffidenza, quando le si avvicinò e le chiese, ammiccandovi: "Cos'è?"
"Oggi Mr. Valentine ha deciso di allenare la classe nel cortile. Sai, è da tanto che non facciamo del vero sport. Sicuramente i ragazzi disputeranno una partita di basket o..."
"Basket?" Dianna era perplessa.
"Sì, quell'insulso sport in cui lanciare una palla dentro un cerchio è il tuo obiettivo di una vita."
"Oh."
"Insomma, spesso noi studentesse rimaniamo sedute sulle panchine sgangherate dell'istituto ad osservare i ragazzi che sudano, che sputano a terra e che gioiscono per un canestro, e non trovo che questa sia una forma di uguaglianza!" Jana corse lungo un dedalo di scalinate strette, saltando euforica su ogni gradino. Poi si aggrappò al corrimano e si espresse in una veloce piroetta. "Il mondo sottovaluta noi donne. Credono che non siamo in grado di praticare sport. Ma oggi dimostrerò loro che non è così. Infatti proporrò a Mr. Valentine una partita di golf interamente al femminile."
Dianna si immobilizzò per un istante sulle scale, chiudendo gli occhi, quasi scettica. Poi li riaprì e osservò l'oggetto nella mano di Jana. "Con quella mazza?"
"In realtà non è una mazza." Jana soppesò l'aggeggio. "È il bastone di una scopa che custodisco in camera da quando, un anno fa, dopo che ebbi istigato gli studenti del Massbury ad una rivoluzione contro il sistema, Mandy mi ha ordinato di pulire tutte le camere. Però ti confesso che è stata una bella esperienza. Ho trovato tanti ritagli di giornali di donne nude nelle camere maschili e da quel momento in poi sono sempre cresciuta con la convinzione che anche dentro un minuscolo cervello di uomo si nasconde una grande distesa di perversione."
Dianna annuì e seguì Jana lungo il loggiato, i cui archi sembravano racchiudere i lembi di un simile paesaggio spento come piccole finestre. Jana avanzava sicura, il mento alto e lo sguardo fiero, facendo piroettare attorno al proprio polso il lungo bastone, costringendo così alcuni studenti di passaggio a cederle il passo per evitare di essere decapitati. Dianna, invece, proseguiva a capo chino, mantenendo la gonna di rigore ancorata alle proprie gambe stringendo le braccia lungo i fianchi.
Non impiegarono molto tempo per giungere nell'ampio spiazzo dietro l'istituto, dove l'erba svettava alta come miriadi di braccia che spuntano dal terreno per implorare aiuto, e dove i raggi del sole scivolavano obliqui, illuminando così sono un lato del cortile, lasciandone un altro in penombra.
Mr. Valentine stava radunando i primi studenti e, nel richiamarli all'attenzione, i suoi denti colpivano il vecchio e scordato fischietto che reggeva tra le labbra, come un vecchio sigaro.
Tra la folla di studenti, Dianna riconobbe Tristan che, come gli altri, indossava una sportiva maglia bianca con un profondo scollo e un paio di calzoni neri, che lasciavano scoperte però le gambe erculee, virili e sode. Egli teneva le braccia incrociate al petto, lo sguardo duro e l'equilibrio che si spostava una volta su una gamba, una volta su un'altra. Nello stesso istante in cui Dianna si chiese a cosa fossero dovute quelle occhiate rabbiose, ebbe già la risposta: poco lontano, ad un'estremità della folla studentesca, Eryx e Ippotoo correvano sul posto.
La tensione tra i tre ragazzi era densa come la bruma di novembre.
Jana tirò Dianna sotto un velo d'ombra, conficcando il bastone di legno nel terreno, come un antico imperatore che consacra come proprio un luogo appena conquistato. Poi sospirò, avvicinandosi all'orecchio della sirena e parlando con voce sommessa: "So che non dovrei dirlo. So che dovrei arrendermi. So che ancora soffro, ma guarda Byron. Posso sembrare indiscreta e poco femminile, ma quelle gambe pelose sono quanto di più sensuale ci sia al mondo."
Dianna le rivolse un'occhiata fulminante e non poco sorpresa. Avrebbe voluto rivolgerle parole finalizzate a placare lei e i suoi istinti ardenti, se non fosse stata interrotta dalla voce tonante di Mr. Valentine poco lontano.
"Signor Kalsington, cosa avrebbe intenzione di fare con quel pallone sgonfio sotto braccio?"
Uno studente chinò il capo imbarazzato, si arrese e lasciò scivolare a terra un pallone sporco dalla rivestitura ingrigita.
L'uomo riprese: "Oggi vi allenerete nella lotta libera. Possibilmente senza uccidervi."
Dianna era sicura che la sua non fosse un'illusione, perché distinse chiaramente, anche in lontananza, gli sguardi di Tristan ed Eryx allacciarsi sfidanti, come quelli di due generali prima di una battaglia.
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Di chi si sarà mai innamorato di Tristan? Chiaramente è una domanda di cui sappiamo già la risposta, eheheheh.
Sto provando ad immaginare Tristan versione spia nel 1897. A me piacerebbe essere spiata da un ragazzo così!
Jana, come vedete, sembra essersi ripresa, quantomeno in apparenza. È una ragazza forte!
E -tan tan tan!- la lotta! Pronte a vedere Tristan adirarsi come un montone infuriato contro Eryx? Okay, sto esagerando.
Nel prossimo capitolo, oltre alla lotta tra Eryx e Tritone, Jana prenderà una decisione che riguarderà tutta la comitiva di amici.
Siccome, per essere più tranquilla, mi avvantaggio con i capitoli, vi comunico che ho già scritto la scena del bacio, quindi -tranquille!- arriverà. Però non vi dico quando perché sarà una sorpresa, spero.
Un'altra cosa (poi la pianterò di essere asfissiante, promesso): nella seconda parte della storia, lo scenario cambierà molto.
Votate e fatemi sapere cosa ne pensate nei commenti!
Grazie mille a tutti!

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