Capitolo 44

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"Stendi il braccio." Tristan reggeva un cerotto tra le mani, il volto chino illuminato dalla debole luce dell'insegna del discount dai contorni appannati oltre i finestrini.
Dianna fece come le era stato ordinato, senza venir meno ad osservare i movimenti di Tristan. Lo vide prenderle il polso, girarlo e allungare una mano verso il proprio sedile e agitare il flacone di disinfettante. Dianna osservava quasi con fascino quelle mani muoversi e agitarsi abili. Si chiese dove Tritone avesse imparato a medicare le ferite, ma si rispose poco dopo assicurando a se stessa che egli aveva molta più esperienza di lei in quel mondo -ai suoi occhi- ancora estraneo. Dopodiché, Tristan fece saltare il tappo del flacone, ne versò qualche goccia sulla ferita e la sirena fu investita da un fitto bruciore che le trasmise l'impulso di ritrarre la mano indietro. E così fece, ma la presa di Tristan era più salda dei suoi istinti. Il ragazzo allungò una mano dentro la busta ancora posata sulle sue gambe e vi estrasse un panno bianco, con il quale tamponò le gocce di disinfettante che la ferita non aveva assorbito e che ora scivolavano lungo il polso di Dianna, biforcandosi come artigli. Solo a quel punto, Tristan applicò il cerotto sulla ferita, premendo leggermente ai suoi lati affinché il materiale aderisse alla pelle della sirena. Rimase per un istante ad osservare il polso di Dianna e poi lo accarezzò lievemente con l'indice.
La sirena alzò timidamente lo sguardo su di lui e lo vide lottare contro se stesso per impedire che il senso di colpa velasse i suoi occhi ancora una volta. Dianna parlò, accennando un sorriso e ammiccando alle buste. "Hai comprato l'occorrente o lo hai rubato sfoderando qualche sotterfugio o sguardo divino a cui gli umani non possono opporsi?"
"Questo non ha importanza." Tristan sospirò, scostò i capelli incollati alla fronte di Dianna e alzò la mano verso il suo collo. Con le dita lo sfiorò, lo considerò per un istante. Poi posò la mano sul suo mento e le voltò il viso, in modo da avere dinanzi agli occhi e al suo attento esame visivo la ferita che correva pericolosamente sulla sua giugulare. Tristan deglutì, quasi avesse timore di toccarla. Anche per questa, seguì lo stesso procedimento, sino a che Dianna non sibilò tra i denti un forte mugolio di dolore, iniziando a dibattersi per sfuggire alla sua presa. "Basta, per favore." La sua voce era un lamento insostenibile.
Per impedirle di dimenarsi, Tristan le posò una mano sul fianco e l'attirò a sé, fino a che i loro visi non furono tanto vicini da permettere ad ognuno di avvertire il respiro dell'altro. "Ferma. Non divincolarti."
"Brucia!" Dalle labbra della sirena sfuggì un pesante gemito.
Il tono di Tritone fu iniettato da una dolce nota comprensiva. "Lo so, ma devi sopportare il dolore."
Dopo aver tamponato il graffio e aver sfoderato un altro cerotto, le dita di Tristan corsero con una leggera carezza sul viso di Dianna. Su quest'ultimo vi sostò per un lungo istante. Lo prese tra le mani e massaggiò con delicatezza e premura le sue mandibole, come se stesse sfiorando un diamante, una gemma, una corniola. Quando lo sguardo di Dianna si alzò tentennante, egli sembrò scorgervi dentro le sfumature del lapislazzulo più raro che bruciava la notte con la sua luce.
Il dito di Tristan accarezzò la ferita sul suo zigomo, rasentandone i margini che sembravano stentare nel cicatrizzarsi.
Dianna sussultò e il suo petto fremette; chiuse gli occhi e li strinse, per sorreggere il dolore.
Tritone scostò il dito e afferrò il panno per raccogliere le gocce di sangue che stillavano dalle ferite ancora aperte sulla fronte, sulle gote, vicino alle labbra e i suoi occhi manifestarono brama di vendetta, ma tacque. Ne seguì lo stesso procedimento e, quando ebbe terminato, Tristan addentò il proprio labbro inferiore. Dianna pensò stesse reprimendo il desiderio di accarezzare ancora una volta le sue guance. Ma la mano di Tritone, dopo aver indugiato ancora un poco sopra i capelli della sirena, si scostò e si diresse ai lembi della vestaglia malandata di Dianna. La sirena trasalì pudicamente, posando le mani sul petto con un vivo senso di dignità. "Che stai facendo?"
"Ti sto spogliando. Non credo sia salutare indossare sempre la stessa veste, soprattutto se così malridotta." E la vestaglia di Dianna scivolò dal sedile, immergendosi nell'oscurità dell'abitacolo.
Con le poche forze ancora incastonate nelle sue ossa, Dianna tentò di coprire con le mani la propria biancheria intima, evitando di alzare lo sguardo su Tritone per notarlo allungare occhiate trepidanti, per poi deglutire per mantenere un autocontrollo equilibrato.
La mano di Tristan s'immerse nuovamente dentro uno dei due sacchetti. Vi tirò fuori un paio di stivali neri e un lungo abito di lana grigia. "Alza le braccia."
Dianna fece come ordinatole e, poco dopo, il tessuto caldo e avvolgente della lana si plasmò attorno alle sue curve, donandole quella protezione della quale -da molto tempo- sentiva la mancanza. Nonostante ciò, il tessuto pesante si scontrava con le sue ferite ancora calde, agitandole i sensi in un leggero pizzicore che, però, tentò di ignorare.
Premurosamente, Tristan si chinò verso di lei -così tanto che la sirena poté avvertire la morbida carezza dei suoi capelli biondi solleticarle la guancia- e afferrò un lembo di una cintura che pendeva dalle cuciture del vestito e, con abili movimenti delle dita, la intrecciò attorno alla vita della sirena in un grande fiocco. Poi mormorò. "Infila gli stivali. Dovrebbero essere più o meno del tuo numero."
"Che significa?"
"Niente. Infilali e basta."
Dianna odiava come spesso non ricevesse risposta alle sue domande più banali, ma non osò alzare nuovamente voce in capitolo, perché, dopo simili sventure, ciò che doveva a Tristan era solo gratitudine e obbedienza. Quindi si chinò e calzò gli stivali. Dopodiché, fece per adagiarsi sullo schienale del sedile sospirando sollevata, improvvisamente rigenerata nello spirito, ma le mani di Tritone si mossero nuovamente verso di lei. Tra le dita reggeva il largo pettine dai lunghi denti. Le prese i capelli rossi nel pugno e iniziò a spazzolarli dolcemente, con movimenti lenti e armonizzanti, massaggiandole ogni fibra, ogni percezione.
Un bacio alle sue sensazioni.
Di tanto in tanto, le dita di Tristan le sfioravano sbadatamente il collo e -quando accadeva- la sirena si ritrovava a domandarsi quale fosse la sensazione più piacevole, nonostante conoscesse già la risposta.
I lunghi capelli ricaddero sulla sua schiena in morbide onde, ma Tristan sorresse ancora le ciocche ed iniziò ad intrecciarle abilmente, con le dita che si muovevano delicatamente, esperte, come un pianista con il suo pianoforte.
"Che stai facendo?"
"Una treccia."
Dianna avvertì una lieve pressione sui capelli. Dopodiché, un piccolo nastro le chiuse la treccia. Tristan sfilò una piccola ciocca dall'intreccio e questa ricadde leggera sulla fronte della sirena, percorrendole la morbida curva del viso. Poi le accarezzò la guancia e abbozzò un sorriso, ritirandosi sul proprio sedile.
Dianna lo guardò, senza proferire parola: lo vide muovere le dita attorno ai bottoni della propria camicia, che lentamente si biforcò sul suo petto, rivelando un addome scanalato in un fitto e sinuoso intreccio di muscoli e un torace solido e robusto, sul quale pendeva una lunga collana nera. Avvampando vistosamente, Dianna volse lo sguardo sulle proprie mani in grembo, le guance roventi. Notò solamente di sfuggita come Tristan lanciò la camicia sui sedili posteriori ed estrasse da un sacchetto un ampio maglione color rame, che infilò rapidamente. Il profondo scollo dell'indumento mise sfacciatamente in mostra il torso bronzeo. Dopodiché, Tritone si passò una mano tra i capelli biondi e ne scompigliò le ciocche selvagge, che s'aggrovigliarono indomite sulla nuca.
Dianna si voltò verso il finestrino, ma vi scorse il riflesso di Tristan, quindi fu costretta a chiudere gli occhi.
Mentre girava nuovamente le chiavi nel blocchetto d'accensione dell'auto, Tritone ammiccò nella direzione della sirena, appagato dai suoi tentativi di rimanere indifferente dinanzi a quell'ostentazione di impeccabile bellezza giovane e virile. "Ciò mi lusinga, ma respira, ti prego."
"Tristan..." Dianna si voltò fulminea e la sua treccia balzò sulla sua spalla.
Le labbra piene del ragazzo si stesero in un sorriso compiaciuto. Poi posò una mano sul volante, lanciò un'occhiata allo specchietto retrovisore e s'immise nella carreggiata dissestata. I suoi bicipiti si tesero sotto la spinta che diede al cambio marce. "Ora dormi. Jacksonville è lontana."
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Era da poco trascorsa la mezzanotte quando Dianna si svegliò di soprassalto sul sedile e spalancò gli occhi, rimembrando ora più nitidamente le parole di Tristan.
Jacksonville.
Jacksonville.
Rivolse un'occhiata oltre il finestrino. Il cielo sopra la North Carolina Highway 11-S si era squarciato in un lenzuolo freddo, buio, nero e meditabondo. Poco lontano si intravedevano alcuni monti, dalle vette smussate ma dalle rocce impervie, mentre le colline incolte scivolavano verso campagne avvolte dall'alone cristallino di fine febbraio. La sirena deglutì e si voltò verso il ragazzo alla guida, il volto paonazzo e i meravigliosi occhi blu aperti in un moto di stupore. "Perché stiamo andando a Jacksonville? Perché stiamo percorrendo la Carolina del Nord?"
"Perché stiamo scappando."
"Ma..." Le parole di Dianna avanzarono claudicanti, "scappando ci mostreremo solo come dei vili codardi."
Tristan strinse le mani attorno al volante e sorpassò con un rombo sicuro un lungo veicolo dai vetri incrostati e appannati. "Lo so. Io avrei potuto affrontare quei bastardi, ma tu no. Non voglio esporti al rischio più di quanto non abbia fatto già. E preferisco far credere a quei disgraziati di essere un vigliacco, piuttosto che permettere loro di muovere ancora un dito verso di te." Gli occhi di Dianna sorrisero. Avrebbe dovuto avere paura, avrebbe dovuto nutrire timore dell'ignoto, ma al fianco di Tristan ogni terrore si annullava, anche il più aspro. Rimase ad osservarlo: la luce dei fanali delle altre vetture pulsava sul suo profilo, svelando i lineamenti tesi e le labbra che di tanto in tanto si schiudevano per assorbire un piccolo respiro. Dianna parlò: "E Jana? Ed Elena? E Byron e Kristiàn? Li abbandoniamo così?"
"So bene che ti sei affezionata, ma per me ci sei prima tu. Devo occuparmi di te, della tua vita, della tua incolumità, non di Byron."
Dianna sospirò amaramente. Si chiese come si fosse concluso l'incontro tra Jana e Byron, cosa stesse scrivendo Elena e quale stella stesse osservando in cielo Kristiàn. Non aveva dato loro neppure l'ultimo saluto. Segretamente, sperò non fosse un addio. "E perché andiamo a Jacksonville?"
"Lì la costa crea una rientranza naturale. È un luogo protetto, scavato, chiuso." Tristan accennò con il capo ai sedili posteriori. "Al discount ho comprato una tenda, qualora dovessimo accamparci lì per necessità. Dopodiché, quando le acque saranno calme -in senso letterale- partiremo."
"E dove andremo?"
"Torneremo a casa, Dianna."
I pensieri della sirena corsero a suo padre e il suo cuore perse un battito. Pensò che fosse macabro chiedersi se egli fosse ancora vivo.
Trascorse qualche minuto. Il manto tenebroso del cielo si addensò e, in lontananza, si spensero anche le ultime luci degli appartamenti delle cittadine contigue all'Highway, come una catena di lucciole stanche. Per contro, gli occhi di Dianna non erano stanchi di osservare Tristan: talvolta, egli addentava l'interno della sua guancia, per poi muovere convulsamente gli occhi verso il finestrino alla sua destra, come se ricercasse in quei monti lontani quello che non c'era. Lesse una profonda agonia nel suo sguardo, per la quale incolpò se stessa e la sua imprudenza. In qualche modo, quella sottile e nascosta preoccupazione le ferì l'anima.
Abituatasi alla vista di un Tristan sicuro, rude, perentorio ed energico, non credeva possibile vi potesse essere un rovescio della medaglia: ora vedeva un Tristan apprensivo, disperato, in guerra contro se stesso e contro il mondo.
Per lei.
Nei suoi occhi vide brillare l'amore.
Il mondo di Tritone, ora, vorticava attorno a lei e Dianna si sentì così tremendamente lusingata che non riuscì a controllare il proprio impulso di dire: "Accosta."
Tritone la osservò confuso. "Che cosa?"
"Accosta."
"Perché?"
"Fallo e basta."
"Non ti senti bene?" Il tono di Tristan era carico di ansietà.
Dianna non rispose e attese che egli facesse quanto richiestogli.
Quando Tristan svoltò velocemente verso la corsia di emergenza e spense il motore, Dianna si slacciò la cintura e scavalcò il cambio marce ed il freno a mano.
Tritone, intanto, la osservava con occhi sgranati.
La sirena gli si accovacciò in grembo, le ginocchia portate al petto e le braccia allacciate al suo collo. Posò la testa sulla spalla di Tristan e chiuse gli occhi.
Ecco qual era la sua casa.
Ecco chi era la sua casa.
Tristan rimase interdetto, immobile per un istante. Dopodiché la strinse a sé e con le braccia le circondò la vita, accarezzandole quel lembo di pelle delle gambe che il vestito, sollevandosi e increspandosi, aveva lasciato scoperto.
I loro volti erano vicini, troppo vicini. In un piccolo movimento, le loro labbra avrebbero potuto sfiorarsi.
Lo sguardo di Dianna descrisse la meraviglia di quel viso di giovane uomo: ora riusciva a scorgere in quegli occhi che aveva sempre creduto ghiacciati alcune sfumature color cenere, e in quelle labbra che aveva sempre creduto marmoree e bollenti come il fuoco qualche dolce screpolatura.
La sirena gli accarezzò il viso e Tristan osservò i suoi movimenti: con le dita sfiorò le sue basette, poi scese alla sua mandibola, imprimendo sotto i polpastrelli le curve scolpite del suo viso.
I loro sguardi si ricercavano furiosamente.
E i loro occhi -l'intreccio tra il ghiaccio e il blu lapislazzulo- creavano un oceano.
Le dita di Dianna si mossero verso le labbra di Tristan. Con il pollice, le accarezzò delicatamente. La mano sinistra, invece, s'allungò verso i suoi capelli dorati, constatandone la morbidezza e seguendo con le dita le onde delle sue ciocche. Lasciò che le sue mani si ubriacassero di quel biondo. Il cuore di Dianna pulsò d'attrazione.
Al loro fianco, le automobili sfrecciavano lungo la carreggiata, susseguendosi come soldati al reclutamento. Ma Tristan e Dianna si guardavano e le loro orecchie non sentivano null'altro se non una soffusa melodia spirata dall'intenso legame che ora li univa.
Dianna si strinse a lui. Sistemò una mano sul suo petto, mentre le dita della sua mano destra erano ancora sulle labbra di Tritone. Si chinò e posò la fronte contro la sua.
I loro nasi si sfioravano.
Ma le loro bocche, sebbene fossero vicine, erano ancora incerte nei movimenti, immobili.
Dianna sussurrò: "Tu mi hai salvato, Tristan. Senza di te sarei morta, il mio nome non esisterebbe più, sarebbe solamente un ammasso di lettere al vento. Eri venuto per distruggermi, invece hai impedito che fossero gli altri a farlo. Mi proteggi e non sai quanto io ti sia grata per questo."
Tristan sospirò, silenzioso.
La sirena continuò: "Perché lo fai? Perché ti prendi cura di me?"
E, sotto le proprie dita, Dianna avvertì le labbra di Tritone schiudersi e muoversi in queste parole: "Perché ti amo."
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URLIAMO DI GIOIA, YEEEEEEE!
FINALMENTE! *fuochi d'artificio*
Chiaramente a me piace che sia il maschietto a fare il primo passo, quindi ho fatto dichiarare prima Tristan :3
Che ne pensate delle sue parole? E di come l'ha curata, pettinata e vestita?
Come ha già detto Tristan, si ritornerà in Grecia, e spero davvero di fare del mio meglio per descrivere il mondo ellenico.
Come reagirà Dianna?
E SO CHE ASPETTATE QUEL MOMENTO!
(Vi ho fatto sudare 44 capitoli per questa scena, mi sento in colpa.)
Votate e commentate!
Grazie mille a tutti!

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