Epilogo

8.9K 549 398
                                    

Tristan alzò lo sguardo e pensò che, qualora si fosse voltato, ogni suo sforzo sarebbe stato vano, e, dato che la sua voglia d'amare era più forte della sua tentazione di cedere, puntò uno sguardo vibrante d'odio e di sfida su Semaj e mosse le labbra in una smorfia distorta. Dunque, dalle sue labbra, con suoni che avevano alti e bassi, uscì un sommesso: "Bastardo... non mi ha mai vinto nessuno... vuoi farlo tu?"
Dianna, alle sue spalle, rimase interdetta, e sul suo viso non si scorse alcuna reazione, forse perché era invasa da talmente tante sensazioni, che queste si mescolavano e le dipingevano sugli occhi e sulle labbra un'espressione indecifrabile. Era certamente soddisfatta, ma, più di tutti, commossa. Sotto quel blu, i suoi occhi erano lucidi e la bocca pareva ambire ad un sorriso di sollievo, ma il buon senso e la prudenza la frenavano dal manifestare alcun tipo di emozione che potesse mutarsi poi in illusione. Aprì le labbra per dire qualcosa, ma da esse non uscì alcun suono.
Semaj osò inarcare le sopracciglia. Arretrò, facendo strada. "In realtà, mi piacerebbe vincerti." La voce era ancora metallica.
"Ah," Tristan si rialzò dal suo stato di torpore e tornò a drizzare la schiena, con un sommesso gemito di dolore, "obiettivo irraggiungibile. Ritenta."
"Io non credo," contestò il bambino, inclinando leggermente il capo e socchiudendo gli occhi. "Tu stesso hai sfidato un obiettivo irraggiungibile: l'Ade."
"Oh, nulla è irraggiungibile per un dio."
Scambiandosi sguardi molesti e più eloquenti di mille parole, da una parte Tristan riprese a camminare, seppur con qualche difficoltà a sigillare dentro di sé il suo desiderio di voltarsi e gettare un'occhiata a ciò che si lasciava dietro, mentre Semaj percorreva con lo sguardo il corpo dell'avversario che aveva innanzi per scorgere un qualsiasi indizio di un suo indugio.
Dianna, invece, proseguiva alle spalle di Tritone. Preferiva non stargli troppo vicino: sapeva che lui, dominato com'era ora dai ricordi e dai sentimenti, ad una distanza ravvicinata avrebbe percepito il suo profumo, e questo avrebbe potuto trarlo in fallo. Dopodiché, la sirena strinse le braccia attorno alle proprie spalle e si racchiuse in se stessa, talmente il gelo le perforava pelle e ossa come la punta di un metallo che si insinua fredda nella carne. Anche il suo abbigliamento, già malconcio dal principio, presentava un aspetto trascurato e trasandato, e Dianna si chiese come esso riflettesse il suo viso: era forse questo emaciato? Smagrito? Scavato? Erano i suoi occhi spenti e adombrati? E la sua pelle? Era secca e sporca? Dianna confidò nel destino e nella forza dell'uomo che amava: presto avrebbe rivisto la luce, si tranquillizzò. E presto si sarebbe specchiata negli occhi suoi, ed ecco che si sarebbe sentita bellissima.
La lunga galleria che conduceva fuori dall'Ade pareva non avere mai fine, o, se ce l'aveva, il tempo era calcolato secondo un'altra clessidra: i secondi sembravano minuti, i minuti ore e le ore anni interi. Le pareti si fecero meno buie e più levigate, la breccia che calpestavano cedette il posto ad un terriccio rinsecchito e l'aria iniziava a saporare di fresco. Dianna quasi ansimò per il nuovo e ritrovato contatto con quell'ambiente pulito e lindo che la colpì come un mare in burrasca: quel fresco le faceva pizzicare la pelle così come gli acidi purificano dolorosamente una ferita.
Poi, d'un tratto, la luce. Si vedeva da lontano, diffusa, che serpeggiava tra le insenature nella roccia, si appoggiava alle pareti come un'edera rampante e strisciava rosata e pallida distendendosi come una mano fantasma. Era evidentemente l'alba, lì fuori.
Anche Tristan, seppur con i pensieri confusi che premevano contro le pareti della sua testa come mani inermi che battono contro una scatola di vetro, si sentiva giunto alla vittoria, quella più grande della sua vita, pertanto accelerò i passi, affondando i piedi nel terriccio. Tra le sue dita si sgretolò una sottile polvere scura.
Semaj, però, nel suo stoicismo, fece nuovamente breccia. Con una rapida alzata del mento puntò alle spalle di Tristan. "Vedo solo le tue orme sul terriccio."
"Stai mentendo."
"Forse, chi lo può sapere?"
"Taci."
"Forse non sei destinato ad averla."
Tritone voltò di scatto il viso nella sua direzione e contrasse la mascella. Preferì abbandonarsi ad una sottile vena ironica, piuttosto che pensare, anche per un solo istante, alla possibile veridicità delle parole del bambino. "Si può uccidere un morto?"
"Non suona bene la frase. È un po' contorta. Inoltre, è un peccato ancor più grave nuocere ad un bambino."
"Ho sempre parteggiato per l'uguaglianza. Non faccio distinzione di razza o età. Se mi intralci ti uccido alla stessa stregua di altri." Tristan sputò queste parole tra i denti, sperando che lo intimorissero abbastanza da lasciarlo libero di proseguire il restante percorso senza cadere in tentazione.
Così sembrò: il fascio di luce si fece sempre più ampio e circolare, sino a che l'alba non si proiettò sul terreno, lasciandolo risplendere di una sottile brina di prima mattina. Si scorgeva persino qualche stelo d'erba piegato dall'ira del vento, rimasto lì, sempre fermo in quella posa strana, obliquo e morbido, come pietrificato.
Semaj rimase in silenzio mentre Tristan, distendendo un braccio per reggersi a una delle pareti della caverna, si avvicinava sempre di più alla luce.
Dianna, alle sue spalle, trattenne il respiro.
Tritone, invece, sentiva nelle orecchie il tonfo sordo del suo cuore che batteva veloce.
Fino a che non furono fuori. L'Ade era oramai lontano, alle loro spalle, sommerso nello sconquassante rimescolamento di voci, suoni e paure, e davanti agli occhi di Tristan si dispiegava solamente il verde di quelle colline italiane, avvolte nell'aureola rosata del primo mattino. Il cielo era terso, velato all'orizzonte solamente di una leggera foschia che si allontanava sempre di più sotto la spinta di un delicato venticello.
Tritone sbarrò gli occhi e rimase un istante a pensare se ciò che lo circondava era solamente un'illusione o la realtà. Se fosse stata la prima e si fosse voltato, avrebbe perso. Se fosse stata la seconda, era riuscito a vincere. Quel breve momento di razionalità, però, non durò a lungo e Tristan si ritrovò ancora preda dell'istinto.
E si voltò.
La vide. Lì. In piedi. Dietro di lui. Con un accenno argentato di lacrime appollaiate sul ciglio dei suoi occhi mare. Con occhiate veloci percorse il suo corpo, perché se Dianna fosse stata una visione si sarebbe ben presto dissolta nel nulla e lui voleva mantenere un vivido ricordo della bellezza del suo volto candido. Invece la sirena rimase lì a lungo, il tempo necessario perché lui le guardasse i contorni del viso, che conservavano ancora, nonostante il travaglio, una dolce rotondità. I capelli erano malmessi, sembravano persino più corti da quant'erano scarmigliati ed intrecciati: le ciocche ondulate non c'erano più, il rosso arrivava fino alle spalle, ma lei era ugualmente meravigliosa nel suo disordine. Il viso, a differenza delle braccia e delle gambe ricoperte di lividi, era pallido, come se una lavandaia esperta avesse più volte strofinato e strofinato sulla sua pelle sino a renderla bianca e trasparente. E su quel volto spiccavano gli occhi blu. Quelli non erano cambiati. Erano puntati su di lui e sembravano ritornati alla vita. Dopodiché, Dianna lasciò ricadere le braccia sui fianchi, come se si dovesse mostrare nella sua debole nudità.
Rimasero a guardarsi. Lui era scettico, inerme, privo di forze, lei invece stava gradualmente ritornando alla passione, dato il luccichio improvviso nel suo sguardo.
Infine, fu la sirena a muoversi. Gli corse incontro come una saetta e si lanciò tra le sue braccia, soffocandolo con il suo amore agitato. Dovette trascorrere qualche momento prima che anche Tristan la stringesse. E la percepì di nuovo tra le sue braccia, reale e in carne. Era viva e vera. Affondò il viso tra i suoi capelli fiammanti e l'attrasse a sé con talmente tanto vigore che avrebbero potuto fondersi assieme. Tristan strinse gli occhi, ma non aveva lacrime per commuoversi.
Ma lei sì.
Infatti, poco dopo Tristan sentì le proprie guance bagnate dal pianto di lei, e solamente a quel punto si scostò da Dianna per prenderle il viso tra le mani e seguire con i pollici il percorso curvo delle sue lacrime lungo il suo viso. Aprirono gli occhi all'unisono e ognuno ritrovò negli occhi dell'altro il proprio riflesso.
"Sapevo che saresti venuto a riportarmi indietro."
Tristan non parlò, ma avrebbe voluto dirle che non aveva avuto altre alternative e che si era ritrovato davanti ad una strada senza bivi e che aveva deciso di imboccarla pur non conoscendone i rischi e i pericoli, pur di riprendere lei. Dunque sorrise, le parole morenti in gola.
In seguito, Tritone alzò lo sguardo oltre Dianna e vide Semaj poco distante, in piedi accanto all'uscio della grotta, che li guardava assorto. Sospirò e gli rivolse uno sguardo fiero.
Dianna intercettò lo sguardo di Tristan e gli prese il volto tra le mani affinché lui la guardasse: "Non badare a lui. Non ha più importanza. Ora abbiamo importanza solo noi."
----------------------------------
"Perché oggi hai pianto?"
"Perché mi hanno sempre emozionata le promesse d'amore." Dianna, distesa sopra Tristan, nuda sul suo corpo ma avvolta da un lenzuolo bianco, gli accarezzò il petto e salì con il dito fino al punto in cui il suo torace si gonfiava sotto alle clavicole.
"Anche io so fare le promesse d'amore." Tristan sorrise malizioso e le scoprì le spalle. "Sono molto più bravo di Kassandros."
Quella mattina, l'ipparco e Roda si erano sposati, in una cerimonia non troppo fastosa ma degna di essere ricordata dalle menti dei due amanti, e gli occhi di Dianna avevano assorbito ogni sfumatura delle occhiate che Kassandros rivolgeva alla sposa, fino a sfociare in un pianto commosso.
"Su questo non ho dubbi," rispose Dianna.
"Oh, sì che li hai." Con un movimento veloce, Tristan ribaltò la sirena e si posizionò ingerente sopra di lei. Poi, con una voce flautata, le si accostò all'orecchio e ne morse il lobo mentre le sussurrava: "Ma sappi che conosco tutte le poesie di tutti i poeti che scrivevano d'amore."
Dianna rise e il suo viso si tinse di rosso. "Così come conosci il principio di attrazione e repulsione strofinando un'asta di vetro contro una camicia e così come saresti in grado di mostrare il fenomeno dell'elettricità statica?"
"Ricordi ancora quella scena?"
"Sì. È stato in quel momento che ho capito che la tua presenza sortiva effetti strani su di me."
"Viva la chimica, allora." Tristan tese le labbra in un sorriso e si chinò a baciarla dolcemente, posando una mano sulla sua gamba e accarezzandole la pelle nuda, bramoso e arroventato nello spirito dalla passione pungente.
Ma Dianna lo fermò, posando le mani sul suo petto. Era seria. "Perché Bentesicima non c'era al matrimonio? Mancava solo lei."
Tritone aggrottò la fronte come se non credesse di aver sentito davvero quelle parole. "Come puoi chiedermelo? Ci ha rovinato l'esistenza. Non è stata invitata. E l'avrei di buon grado uccisa appena fatto ritorno dall'Ade, se non avessi pensato a come si sarebbe sentita mia madre nel perdere una figlia."
La sirena notò sul volto di Tristan un accenno di risentimento e vide come addentava l'interno della propria guancia facendo scattare le sopracciglia in tremanti linee oblique che rendevano il suo sguardo minaccioso e rapace.
"Io la perdono," mormorò Dianna.
"Che cosa?" La voce di Tritone salì di un'ottava.
"Sì, la perdono," ribadì lei. "Che cosa otterrei odiandola, quando so che qualunque malignità ella metta in atto, tu sarai sempre e comunque mio?"
"Tu hai troppo buon cuore."
"A stare con un lupo..." Dianna lo indicò con un'occhiata, "si impara ad essere agnelli."
Tristan sorrise e tornò a baciarla.
---------------------------------------
Osaka, Giappone, 1994, due anni dopo.

L'inevitabile attrazioneDove le storie prendono vita. Scoprilo ora