Capitolo 13

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Nella confusione asfissiante della sua mente oramai naufraga di un insuperabile scoramento, Dianna aveva notato la schiena gagliarda di Tristan brillare di un'aurea bronzea sotto la pallida luce del mattino; aveva esaminato anche la linea massiccia delle sue spalle, le cui curve si allungavano verso le braccia nerborute; i bicipiti turgidi e le vene gonfie di rabbia si intrecciavano come lacci d'argento sulla sua pelle.
Il passo lento e letargico del giovane evidenziava anche il dimenare sinuoso dei suoi fianchi stretti, fasciati dall'elastico dei calzoni da bagno zaffiro che aderivano forse troppo superbamente alle sue gambe aitanti.
E poi, era sparito.
I tumulti del suo cuore, però, non cessavano e Dianna si ritrovò a posare una mano sul petto, tentando di recuperare il respiro che sembrava d'un tratto marcire altrove.
Quel dio aveva il potere di renderla schiava delle sue stesse sensazioni, soggiogata dal terrore di cadere vittima del suo volere egoista.
"Dianna, resisti, sto arrivando!" La voce di Kristiàn, dapprima lenta, si fece suo malgrado più vicina, ma la sirena era ben distante dal desiderio di essere presa tra le braccia e vittimizzata per un nonnulla, quindi allungò una mano tremolante verso il ragazzo e scosse il capo, intimandogli tacitamente di arrestare la sua frenetica nuotata.
Se solo Kristiàn avesse saputo dell'eleganza con la quale Dianna si snodava tra le onde più burrascose!
Dopodiché, la sirena si spinse verso l'orlo della vasca e, con quel soffio di forza che aveva la fortuna di avere ancora incastonata tra le sue braccia, scivolò fuori dall'acqua.
Kristiàn sembrò deluso: era chiaramente vitale, per lui, dimostrare la propria virilità ed il proprio soccorso accorrendo in aiuto di Dianna, e gli parve umiliante come una sconfitta chinare il capo e sospirare ancora una volta, il viso paonazzo.
Indifferente dinanzi al chiocciolio di voci ammassate in quel luogo dallo stantio pesante e umido, Dianna corse verso gli spogliatoi, destreggiandosi abilmente tra le decine di ciabatte bagnate appollaiate sopra le piastrelle. Con le braccia a coprire il suo petto oramai esposto alle occhiate altrui -data la visibile trasparenza della camicia madida- la sirena traeva piccoli respiri frettolosi, cercando di sputare i rivoli d'acqua che le bagnavano le labbra.
I lunghi capelli fuoco sembravano piangere, tanto erano gocciolanti.
E forse, anche lei avrebbe voluto imitarli.
Avrebbe voluto piangere sino al più completo sonno: si augurò infatti di crollare addormentata lì, su una di quelle piastrelle, pur di non continuare ad affliggersi per un destino che oramai correva controvento.
Dianna raggiunse gli spogliatoi femminili e lodò l'Olimpo quando li trovò vuoti.
L'umidore nella stanza non favoriva i tentativi della giovane di riacquistare un calmo respiro, ma, se non altro, era sola, anche se la compagnia assillante dei suoi pensieri non era ben accetta.
Chiuse la porta alle sue spalle e si accosciò sul pavimento, portando la testa tra le ginocchia e stringendo i capelli bagnati tra le dita in ciocche intrecciate.
Come desiderava sparire, dissolversi nell'aria, e scegliere una vita fatta di polvere, piuttosto che guardare altra polvere offuscare la sua vita!
Lo spogliatoio fu pervaso solamente dal costante ticchettare delle gocce d'acqua sul pavimento.
Era quasi rilassante immergersi in quel suono monotono.
"Che sciocco che sono! Credevo che avresti sguazzato un po' nell'acqua, ma...-ahimé!- non hai un costume adatto!" Una voce fece capolino da una cabina doccia ancorata dietro una colonna.
Non fu necessario che Dianna alzasse lo sguardo per intuire chi fosse stato a parlare: sarebbe apparso come un sacrilegio confondere la sottigliezza di quella voce.
Ma la sirena scattò in piedi, balbettando. "Non... non dovresti essere qui! È lo spogliatoio delle donne!"
Tristan, con il petto coperto solo dal panno di un asciugamano bianco posato distrattamente su una spalla, inclinò il capo con fare perplesso. "Oh, e tu non dovresti proprio essere qui, in questo mondo. Dovresti piuttosto allietarti negli abissi con la tua pinna glauco. Inoltre, non ti corrucciare." Sorrise balordo. "Sono piuttosto abituato ad ammirare le donne nella loro naturale bellezza."
"Un'abitudine degna di un buon dio, suppongo." Dianna sputò le parole, con un disprezzo ilare dipinto nella voce. Non seppe per quale ragione, ora, un impulso irrefrenabile la spingesse a sfidare il suo nemico.
"Esattamente. Ma devi sapere che il mondo mi conosce in una vasta gamma di sfaccettature." Tritone si avvicinò, inumidendosi le labbra e prendendo a camminare attorno al corpo infreddolito di Dianna. "Potrei citarti un esempio, ti va?"
"Purtroppo non sono nella posizione per rifiutare di ascoltare ancora la tua voce."
Tritone sembrò trasalire. Era evidente il pensiero che correva nel suo sguardo: quella ragazza lo stava sorprendendo, e non poco. Gli pareva d'un tratto assurdo ed inimmaginabile che ella avesse tramutato la sua precedente paura in una sfacciataggine così invereconda. Forse, non le incuteva abbastanza timore?
A quel dubbio, Tritone seppe di dover affilare ancor meglio la sua daga. Quindi chinò il viso perfetto e sogghignò, portando una mano sotto il mento e sostando imperioso alle spalle della giovane. "Umh, lunghe storie avrei da raccontarti! Prometto che un giorno le conoscerai tutte. D'altronde, abbiamo l'occasione di trascorrere molto tempo assieme, dato che non hai colto l'opportunità di fuggire anche da qui, da questo Massqualcosa, e dunque non mi hai dato la possibilità di rincorrerti e di vanagloriarmi ancora una volta quando fossi riuscito ad acciuffarti. Oh, ecco. Iniziamo con una bella storiella." Poi sorrise e fece aderire il suo petto glabro e magnifico alla schiena bagnata di Dianna e le afferrò i polsi, impedendole ogni movimento.
Il respiro di Tristan, ora, era sul collo della sirena, e vagava sempre più su, ad accarezzare i lobi morbidi, per poi prenderli tra i denti e mordicchiarli sensualmente, forse inconsapevole del formicolio eccitato che, purtroppo, era in grado di scatenare nel corpo di Dianna.
Quest'ultima trattenne il respiro e chiuse gli occhi: d'un tratto le parve di riuscire a cogliere l'energia necessaria dal lieve soffio caldo del meschino seduttore sulla sua pelle. Un istinto ignoto la spinse a reclinare il capo e a posarlo sulla spalla di Tristan, ma rimase ferma nella sua immobilità.
Sentiva il petto del dio modellarsi sopra le curve magre della propria schiena.
Dianna prese nuovamente coraggio. "C'era una volta..."
"Oh, no, questa storia non inizia con quella banale formula. Anche perché" Tristan rise, "io c'ero una volta, ma ci sono anche ora, e credimi, sei molto fortunata: le ristrettezze di questo ventesimo secolo non mi permettono di fare di te ciò che io voglio." Poi sciolse la presa attorno ai suoi polsi e vagò a slacciare lentamente il primo bottone della camicia di Dianna, per poi insinuarsi impudicamente con le dita a carezzare le coppe intirizzite dei suoi seni. Baciò il suo collo, esperto, le labbra bollenti. "Era il 1754. Ero a Mosca. Per una volta, non fu il volere di mio padre a portarmi nel mondo di questi umani, pupazzetti manipolati, no. Per una volta fui io a decidere cosa fare della mia esistenza. Volevo divertirmi. Perché gli abissi, a volte, possono essere così monotoni e spenti. E invece, nel diciottesimo secolo, questo mondo pullulava di bei volti..." Addentò repentinamente la pelle della gola di Dianna, stringendo ora la morsa attorno ai suoi fianchi e attirandola contro il suo bacino, possessivo.
"Trist...an..."
"Stt, buona, lasciami finire," replicò. "Trovai Mosca una città affogata di vita, una coltre di colori, raffinatezza ed eleganza. Persino quelle dannate e scomode parrucche che ogni esponente della società era solito rifilarsi in testa avevano il loro fascino. Quei modi... quelle parole... quella poesia... quella musica... quegli abiti e quell'educato distacco che vigeva in ogni relazione... mai -e dico mai- ho trovato qualcosa di più sorprendente del Settecento," sibilò tra i denti, con enfasi.
Dianna, intanto, tentò di rimanere stoica, immobile ed impassibile al suo felino attacco che le faceva brancolare le gambe.
Tritone continuò: "Era una sera di dicembre. La vigilia di quello che l'Europa chiama Natale, sì, qualcosa del genere. In un piccolo borgo appena fuori Mosca, in un viottolo acciottolato che pareva sospeso al giudizio degli dei, c'era un piccolo teatro. Nulla di esaltante, ma io sapevo e so cacciare e mirare la mia preda ovunque. Assistei alla commedia. Tragica. Così dannatamente tragica che la mia indole poco romantica stentava a sopportare. Romeo e Giulietta." Ora fece scorrere il naso tra i capelli fiamma di Dianna e posòuna mano sulla sua gola, obbligandola a reclinare il capo per donare a lui il piacere di baciare quella pelle illibata. "E che Giulietta! Dio, era così graziosa! La ammirai durante tutti gli atti. Era quasi dolce il lieve pallore che le si plasmava sulle guance su quel palco. Solo Eros può sapere quanto io abbia lottato contro me stesso per trattenere quell'impulso maschile che mi urlava di sradicare quel palco e di farla mia, davanti a tutti i presenti. Quindi aspettai, tamburellando le dita sulle braccia incrociate. E, finalmente, la graziosa attrice uscì fuori del piccolo teatro, una volta terminata la commedia. Vuoi conoscere il finale della storia, sirenetta?" La sua voce tuonò superba e perversa, mentre le mani continuavano a perlustrare il corpo della ragazza.
"N-no..." balbettò Dianna.
"Uh, bene bene." Tristan allungò le mani verso le labbra della sua preda e le carezzò con il pollice, notevolmente incantato dalla loro morbidezza. "Ti dico solo questo. Si chiamava Agatha. Ma io credo che Dianna suoni molto meglio sulle mie labbra... Chissà se suona altrettanto piacevole sulla mia pelle..."
Lo sfogo d'ira della giovane si riversò tumultuoso nella stanza. Incurvando le sottili sopracciglia e divincolandosi impaziente dalla sua stretta, scivolò via dalle braccia di Tritone e gli si parò davanti con mento alto, nonostante il suo equilibrio fosse precario dinanzi al viso di quel dio.
Le risultò impossibile dedurre che quegli occhi e quel sorriso che tanto temeva fossero stati a lungo alle sue spalle sino a qualche manciata di secondi addietro.
"Dimenticati il mio nome! Dimenticati di mio padre! Dimenticati il mio viso e trova un altro giocattolo sconcio con cui allietare le tue noie," urlò, con una viva paranoia pulsante in testa. "Ho vissuto diciassette anni nel regno di tuo padre ed ero -ahimé- affranta al pensiero di non aver mai incrociato lo sguardo del mio re e di suo figlio. Ma, ora, che mi trovo davanti a quest'ultimo, rimpiango la mia pace ingenua e solitaria e maledico quel desiderio sciocco di conoscerti!"
Tristan parve colpito, ma celò ben presto la sua sorpresa dietro un occhio vispo. "Non hai idea di quante sirene, ninfe, anfitridi e dee vorrebbero essere al tuo posto, ora."
"Cedo ben volentieri loro il seggio per lo spettacolo, allora!"
"Peccato non sia tu ad aver scelto lo spettacolo, ma io lo spettatore."
Dianna sembrò tentennare. Per quanto avesse tentato di marciare sulla propria paura sostituendola con una buona dose di coraggio, le repliche pronte di Tristan la spiazzavano sempre, ancora. "Rimpiango solo di aver ubbidito al volere di mio padre. Se fossi rimasta negli abissi, avrei preferito accettare di morire in una battaglia interna, piangendo sul corpo senza vita di mio padre per poi morire affianco al suo, piuttosto che vivere ora qui, incerta sulle sue condizioni di vita e davanti a te, che non sei altro che un messaggero del volere di Poseidone!"
Tristan avanzò. Dianna indietreggiò. Quando la ragazza si appoggiò alla parete dirimpetto, lui continuò a camminare nella sua direzione, fino a che non posò un braccio affianco al capo della sirena e si chinò sul suo viso. "Ti sbagli. Sono stato io a scegliere la penitenza che meriti."
Dianna fu sul punto di piangere. D'improvviso, le sembrò avventato e imprudente oltraggiare nuovamente un nemico tanto acerrimo contro il quale non poteva vincere. Quindi strinse le labbra in una linea sottile e ricacciò indietro gli accenni di lacrime che le brillavano nello sguardo, la mandibola tremolante.
Quel viso era ancora troppo vicino al suo ed il suo corpo era bloccato nella ferma presa di quell'addome.
Tristan continuò: "Bada bene alle tue parole. Sei solamente una donna e da tale devi la tua identità e il rispetto che ricevi dalla figura maschile da cui sei accompagnata. E solo Zeus conosce la vera ragione per la quale io non ti abbia già presa con la forza e riportata indietro. Dovrei trucidarti per le tue parole infami ed ingiuriose. Eppure, dannata, nascondi dietro il tuo dolce viso di fata una prontezza di spirito tale che fa scemare i miei sensi. Tu..." Spinse contro il corpo della ragazza e chinò il viso sul suo, sfiorandole le labbra con le proprie, "sei forte... Nessuna donna mai è riuscita a tenermi testa a lungo," disse. "Voglio vedere dove arrivi tu."
Poi si voltò e la sua schiena vigorosa sparì, ancora una volta.
Dianna sospirò faticosamente: aveva recitato troppo a lungo.
Se solo quel diavolo avesse saputo le reali sensazioni che provocava in lei!
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Ta dan! Credo che in questo capitolo ci siano molte frasi... sexy, diciamo, di Tristan. Ad esempio "Peccato non sia tu ad aver scelto lo spettacolo, ma io lo spettatore"... non so come mi sia saltata in mente, ma se qualche Tristan Waves lì fuori esiste, sappia che mi deve aspettare perché ho già ordinato il biglietto per lo spettacolo.
Ho voluto inserire le parole di Tritone relative all'età settecentesca perché il diciottesimo secolo è la mia grande passione, la mia grande fissazione e la mia grande malattia che ho voluto trasmettere al personaggio.
Vi anticipo che ben presto Tristan placherà la sua ira e che tra poco la storia si concentrerà sul fiorire dei loro sentimenti d'amore reciproci. Ma dobbiamo aspettare qualche capitolo.
Passate dalla pagina Facebook dedicata alla storia "Alexandra-writes on Wattpad".
Fatemi sapere che cosa ne pensate del capitolo nei commenti e votate in tanti! Grazie mille a tutti.
Ps: Non so se la storia, dal cellulare, vi appare distanziata e con molti paragrafi, ma Wattpad è cambiato e fa sempre più schifo. Ho tentato di risolvere.

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