Capitolo 38

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Tutto era pronto: i risparmi di Jana avrebbero finanziato il lungo viaggio.La partenza per Miami era stata fissata per le cinque del mattino, prima che l'alba colorasse il cielo cadaverico e prima che qualche passero solitario -dalle ali incollate dall'umidità- cantasse un flebile inno di gioia.
Per questa ragione, Dianna, Jana ed Elena si trovavano oltre i cancelli del Massbury Institute, le valigie alla mano e lo sguardo di profonda attesa. La sirena era ancora assonnata: le sue palpebre si rattrappivano sugli occhi come due vecchie saracinesche; Elena, contro ogni aspettativa, poteva dirsi risvegliata da una strana euforia per il fatto di poter finalmente raccontare qualcosa di memorabile nei suoi scritti, dato lo sguardo che correva con elogio sul cielo cupo; Jana, invece, tamburellava le dita sulla maniglia della sua valigia, per poi gonfiare il petto con un grande sospiro e ammirare l'orizzonte con fiducia, distaccandosi dall'immagine che Dianna aveva di lei: d'un tratto non somigliava più ad un'adolescente indocile e rivoluzionaria, bensì ad una dama ottocentesca in attesa del proprio conte. In effetti, neppure i corridoi solitamente tetri dell'istituto, quella mattina, avevano adombrato il volto di Jana, i cui pensieri erano solamente diretti a quella che sembrava prospettarsi come una gita da fuorilegge che donava l'eccitazione del proibito.
Nonostante i numerosi tentativi del pomeriggio precedente, Dianna non aveva saputo dissuadere la compagna dalla decisione oramai presa, forse per mancanza di carisma o forse per carenza di spirito di persuasione. Quindi, ora la sirena si ritrovò a fissare le valigie accatastate contro le inferriate dell'istituto: le cerniere s'incastravano tra cumuli di vestiti e magliette sgualcite, e Dianna era certa che se avesse chiesto a Jana la ragione di tanto disordine, ella le avrebbe risposto con tono burbero che Byron non poteva attendere la felicità e che lei era stata disposta a lavorare in tutta fretta pur di vederlo nuovamente gioire alla bellezza della vita.
Byron arrivò poco dopo, fendendo un velo di nebbia che gravava sull'istituto come un lenzuolo di morte. Aveva un borsone caricato sulla spalla, un paio di occhiali da sole aggrappati al bavero della camicia, i capelli scombinati sulla nuca e lo sguardo che pregava per un'altra ora di sonno. Alle sue spalle, Kristiàn reggeva un binocolo in mano e allungava il collo per studiare la limpidezza del cielo, mentre Tristan camminava disinvolto, le braccia lungo i fianchi e lo sguardo che cercava Dianna. Quando la vide, le rivolse un'occhiata carica di raccomandazione e si fermò al fianco di Byron. Quest'ultimo non badò al il sorriso svenevole di Jana nella sua direzione, ma, girando attorno all'indice un mazzo di chiavi, indicò un'auto dalla laccatura azzurra ancorata sul ciglio della carreggiata, facendo cenno agli altri di seguirlo.
Dianna intervenne titubante: "Ma... credevo andassimo a piedi..."
Byron, che stava attraversando il viale sterrato puntando il mazzo di chiavi contro il cofano della vettura, si voltò con uno sguardo lancinante. "Io credo tu non abbia la concezione di distanza."
"Miami è distante da qui più di mille miglia," aggiunse Jana docilmente.
"Oh."
Jana aprì il bagagliaio dell'automobile e vi depositò frettolosamente le valigie, per poi spalancare le portiere posteriori e avvinghiarsi su uno dei sedili, seguita da Dianna, Elena -la quale fu costretta a sedersi sulle gambe di Jana per la mancanza di spazio- e Kristiàn. Quest'ultimo abbracciò il suo piccolo zaino in pelle di daino, per poi voltarsi verso Dianna. Fece per aprire bocca e rivolgerle la parola, ma lo sguardo minaccioso e truculento di Tritone -che stava girando attorno all'automobile per raggiungere il sedile del passeggero- lo distolse da ogni intenzione.
Byron saltò sul sedile del conducente e reclinò il capo sul poggiatesta con una tale beatitudine che Dianna credette egli potesse svenire per l'eccessivo rilassamento; dopodiché prese un grande sospiro, tese le braccia verso il volante e rabbrividì di adrenalina, quando infilò le chiavi nel blocchetto d'accensione e l'auto sbadigliò in un grande rombo.
Dianna avanzò una domanda: "Di... di chi è quest'auto?"
"Di Mr. Warren. E' una Chevy Camaro del 1967, un gioiello d'antiquariato che sa ancora sorprendere. Sentite come romba il motore! Un vero razzo! Appartiene alla prima generazione delle Chevrolet Camaro e ha un motore V8. Inoltre ha un certo stile come coupé..."
Dianna evitò di chiedere cosa significasse quella strana parola e si appiattì contro il sedile.
Byron continuò la sua spiegazione, mentre premeva il piede sull'acceleratore e partiva zoppicando lungo il viale, contorcendosi per afferrare la stringa della cintura. "Ho recuperato le chiavi in un cassetto dell'aula di chimica."
"Ma è reato! E' furto!" esclamò Dianna.
Byron sfociò in una risata e strinse la presa attorno al volante. "Sai quanti studenti lo fanno? Mr. Warren vive ai piani alti del Massbury, dopo la morte della moglie ha deciso di non avere una casa, e dal 1988 questa meraviglia" ammiccò alla Chevy, "è lasciata a marcire accanto ai marciapiedi. Fortunatamente noi studenti la utilizziamo regolarmente. Mr. Warren non si è mai accorto di nulla. Oramai la sua Chevy è di nostra proprietà. E -Dio!- guidarla m'infonde la convinzione di essere il re della Terra, del mondo... persino dell'Olimpo, se esiste."
Tristan, al suo fianco, un braccio posato con avvenenza contro il finestrino e le dita a reggere il capo in un atteggiamento riflessivo, voltò lo sguardo alle parole di Byron e lo squadrò scettico, sbattendo più volte le palpebre. Dianna, d'altra parte, si limitò invece a chinare il capo e a fissare le dita intrecciate.
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Cinquanta minuti più tardi, dopo aver attraversato la contea di New Kent -i cui paesaggi comprendevano ampie distese erbose e vallate digradanti che si alternavano a spiazzi prettamente paludosi- imboccarono la Interstate 64 in West Virginia. Le carreggiate erano occupate solamente da inferociti autocarri e da minori mezzi di trasporto, quali furgoni ortofrutticoli e camioncini le cui pareti erano tappezzate di pubblicità alimentari. Ciò garantiva una guida più agevole e sicura, e regalava la possibilità di poter ammirare l'orizzonte ora brulicante di un'aurea purpurea. Il sole era ancora riparato dai profili delle colline, quasi il filo che lo tirasse come un fantoccio non fosse abbastanza robusto per sollevarlo. Così, il cielo era avvolto ancora da un manto indistinto, dove si avvicendavano fugaci spiragli di luce claudicanti -che poi si nascondevano agli occhi degli ammiratori con la stessa velocità con la quale erano entrati in scena- e drappi color indaco. Solamente qualche nuvola bianca addormentata sopra i rilievi negava un'apparenza stoica, mistica e odisseica.
Tristan teneva ancora il capo posato sulla mano in un atteggiamento annoiato, talvolta osservando le strisce bianche dipinte sull'asfalto in corsa e talvolta lanciando occhiate indecifrabili alle mani di Byron strette attorno al volante. Con una mano tamburellava su una coscia, mentre le sue labbra si stringevano duramente e si rilassavano, si rilassavano e si stringevano duramente. Poi la sua voce tuonò improvvisa e ridestò Kristiàn, che era stato colto da un momentaneo colpo di sonno e il cui capo ora ciondolava sulla sottile linea tra il torpore e la veglia.
Tritone parlò: "McDonald, chi ti ha dato la patente?"
"Nessuno," rispose Byron. "Sono stato sbattuto dentro quel castello con le guglie prima di compiere sedici anni. Però so guidare: quando ero quindicenne io e i miei amici gareggiavamo furtivamente con le Ford Cortina fuori dei locali più gremiti di femmes fatales. Spesso eravamo anche un po' ubriachi, però alle donne piacevamo ugualmente."
Dianna vide Jana drizzare il busto così velocemente che Elena, sopra le sue gambe, balzò pericolosamente; dopodiché la notò sbarrare lo sguardo e deglutire rumorosamente, fingendo indifferenza ma torturando le dita in grembo per sfogare la propria rabbia.
Tristan soppesò le parole di Byron, poi scosse il capo e si passò una mano tra i capelli con impazienza. "Posso dirti una cosa?"
"Certo."
"La tua guida avrebbe bisogno di un ergastolo."
"Che cosa?" Byron rallentò e sembrò tentennare nel cambiare marcia, tanto quell'offesa lo trafisse nei precordi.
"Non si guida così una Chevy Camaro del '67."
"Cosa c'è di sbagliato nella mia guida?" La voce di Byron si ridusse ad un sussurro mortificato.
"E' monotona, mi sto addormentando."
Byron avvicinò il petto al volante e prese a gesticolare, fissando il parabrezza. "La mia è prudenza."
Tristan replicò con foga, si slacciò la cintura con un gesto repentino e si voltò leggermente verso il compagno. "Accosta."
Byron corrugò la fronte. "Che stai dicendo? Non si può accostare nella Interstate, è da pazzi, vuoi morire travolto da un'auto in corsa?"
"Probabile." Tristan rispose velocemente per aggiungere con più rapidità: "Accosta, ti ho detto."
"Senti, Waves..."
"Te lo ripeto un'ultima volta." Tritone chiuse gli occhi, sospirò, fece schioccare la lingua sul palato e, poi, quando il suo sguardo si rivelò nuovamente al mondo in tutta la sua bellezza, ripropose: "Accosta, subito."
Non senza qualche lamentela, Byron schiacciò la mano sul cambio marce e farfugliò sommessamente tra i denti qualcosa di incomprensibile. Dopodiché, lanciò un'occhiata allo specchietto retrovisore, addentò l'interno guancia scosso dal timore di commettere un atto imprudente sotto istigazione, poi annuì per infondersi coraggio e sterzò fulmineo lungo la corsia d'emergenza, accostando. Poi si lasciò andare contro il sedile e sbatté le mani sulle ginocchia. Guardò Tristan. "Soddisfatto?"
Tristan gli rivolse un sorriso sardonico. "Molto soddisfatto," disse. "Ora scendi."
"Che cosa?" La voce di Byron si elevò di un'ottava, mentre allungava il collo e socchiudeva gli occhi.
"Hai capito bene. Scendi dall'auto."
Byron rimase per un istante in silenzio, osservando Tristan con uno sguardo intento a scandagliare le sue intenzioni. Sembrò non riuscire a comprendere le sue parole -o meglio- il fine delle sue parole. Poi, quando notò Tristan posare una mano sulla maniglia della portiera, capì che sarebbe stato più proficuo scendere autonomamente dalla Chevy come gli era stato ordinato di fare, evitando così di essere afferrato per il bavero della camicia ed essere sbattuto fuori dalle mani di Tristan.
Tritone scese dall'auto e sbatté la portiera con furia alle sue spalle, girando attorno alla vettura con passo fermo e deciso e giungendo dinanzi a Byron con supremazia. Osservò il compagno, lo considerò per un momento, si inumidì le labbra e poi prese in mano gli occhiali che Byron teneva aggrappati alla camicia e se li infilò. "Questi li prendo io." Poi posò una mano sulla sua schiena e lo spinse lontano. Tristan saltò sul lato del conducente, posò una mano accanto al finestrino, una sul volante e posò con confidenza la schiena sul sedile. Rimase in riflessione per un istante, mentre Byron si sedeva deluso e abbacchiato sul sedile del passeggero. Dopodiché, Tristan allungò una mano verso lo specchietto retrovisore, lo sistemò in modo da aver costantemente sotto controllo l'immagine di Dianna alle sue spalle e sciorinò un sorriso sghembo. Lanciò un'occhiata oltre la sua spalla, chinò leggermente il capo e Dianna vide i suoi occhi ghiaccio riflettere determinazione e fascino. La guardò, e quando parlò -per qualche strana ragione- la sirena sembrò che egli si rivolgesse solo a lei. "Restate pure comodi. Possibilmente allacciatevi le cinture. Così si guida una Chevy Camaro." E mosse le chiavi nel quadro. Poi partì.
E quando lo fece, la schiena di Dianna rimbalzò sul sedile.
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E il viaggio per Miami è iniziato. Chiaramente, alla fine, guida Tristan e.e
Volete vedere quanto sarà sexy nel prossimo capitolo? (O almeno spero così appaia ai vostri occhi)
Un piccolo spoiler: durante il viaggio a Miami accadrà qualcosa, questo qualcosa porterà a delle conseguenze. E diciamo che Kristiàn avrà voce in capitolo.
Vedremo!
Fatemi sapere che ne pensate! Votate e commentate!
Grazie mille a tutti e buon weekend :)

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