Capitolo 11

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Jana era sdraiata lascivamente sul letto e teneva le braccia piegate dietro il capo, quando urlò con voce euforica: "So come potremmo trascorrere questa serata."
Dianna interferì distrattamente, mentre sfogliava con infinita eleganza i suoi appunti di chimica, tentando di non vagare con il pensiero verso Tristan. "Se con trascorrere questa serata intendi raccontare una storia del terrore, preferisco infilare la testa nella camera di Mandy e cullare la mia nottata ascoltando il suo grezzo russare. La scorsa notte, quando mi hai raccontato di quell'uomo, James, che durante il sonno aveva allungato una mano verso l'altra sponda del letto credendo di trovarvi sua moglie, per poi essere sbranato e trucidato da un cannibale, non ho dormito."
Jana chiuse gli occhi e increspò le labbra, l'espressione soddisfatta. "So di essere brava nello spaventare le persone. Quando avevo sei anni ho vinto un concorso letterario. Sai, scrivevo anche io. Ma non come Elena. Lei scrive per innamorarsi dei suoi personaggi. Io scrivevo di mostri che spuntavano dalla vasca da bagno e riducevano in briciole gli organi genitali di pover'uomini." Sospirò, come se il ricordo le infestasse l'anima, lo sguardo vitreo. "Ho vinto ben otto edizioni. Partecipavo ogni anno. Poi ho dovuto smettere perché mia madre ha contratto il cancro." E si alzò con occhio indifferente, scrollando le spalle e dirigendosi verso la scardinata sedia dello scrittoio, afferrandone dallo schienale la sua giacca gotica che mai avrebbe potuto indossare durante le lezioni.
Dianna fissò le assi del pavimento, facendo scorrere il piede nudo sulle piastrelle opache. "Il... cancro?" La parola le tuonò nuova. "Che... che cos'è? È una... cosa brutta?"
Jana serrò le labbra. Stava lisciando le maniche della sua giacca, quando parlò in un sospiro. "No, non è poi così male, il cancro." La voce suonava sarcastica. "Diciamo che non so neppure se mia madre è ancora viva. Mio padre ha sbattuto me e mio fratello qui quando la mamma si è ammalata. Se il cancro è considerabile una... malattia o.... o un destino malvagio. E da quel giorno in poi, non abbiamo più avuto sue notizie. Chi lo sa, forse non ha neppure raggiunto il suo letto d'ospedale a Boston."
"Oh." Dianna maledì la propria ingenuità e chinò lo sguardo, sperando di non leggere negli occhi della compagna un velo di tristezza alimentato dalle sue parole.
Jana incrociò le braccia al petto e, nel controluce della sera, la sua sagoma illuminata fiocamente dalla sfera lunare si allungò distorta sul pavimento. Iniziò a battere ritmicamente la punta dello stivale sul pavimento. "Non mi guardare così. Non mi piace essere vittimizzata. Io non soffro, davvero."
Elena, sotterrata da un cespuglio di coperte ai piani alti del letto a castello, staccò gli occhi da una vecchia e ringiallita copia di un manga per alzare un sopracciglio.
Jana continuò. "Suppongo che mio padre non rientra nella valorosa sfera di uomini che affrontano con onore ogni vicissitudine, quindi deduco che piangere limiterebbe solo la forza della mia speranza." Sospirò, tacendo per un istante nel timore ombreggiato delle sue parole. Distolse lo sguardo da Dianna e prese a camminare nella stanza con passo lento, allungando una mano a sfiorare delicatamente le pareti scrostate, quasi il contatto le rinvigorisse il ricordo. "Chiaramente la mia mamma mi manca molto. Ricordo che a Praga, ogni giovedì pomeriggio, occhieggiavamo sul Ponte Carlo e strisciavamo nei negozi di Piazza Venceslao. Ne uscivamo con buste traboccanti di vestiti. Poi ci trascinavamo in ogni vicolo buio della città, e mia madre notava sempre con quale occhio sognante mi fermavo ad osservare le chitarre elettriche ancorate dietro le vetrine di qualche negozio di musica. È stata lei a scoprire la mia passione per il rock. Avrei voluto ringraziarla, prima che partisse per quel lungo viaggio." Scrutò l'orizzonte spento fuori della piccola finestra e strinse nel pugno della mano le grate ferrose. "Avrei preferito scegliesse un'altra destinazione."
Dianna rabbrividì ed un ronzio guizzante palpitò negli inferi della sua mente. Quella di Jana, d'un tratto, le parve una corazza invalicabile e le sue parole suonarono affilate come una lancia funesta sguainata in difesa. La sirena considerò quale macigno dovesse avere nel petto la sua compagna: un cuore oramai affranto, inetto e stanco di pulsare. Ma ancora pieno di vita.
Inevitabilmente, Jana aveva risollevato in Dianna il ricordo di suo padre Lyenth. Quando Tristan aveva predetto una tragica fine per l'uomo, la sirena non aveva sfilato neppure una briciola di coraggio per rispondere. E, ora, i suoi sensi s'annebbiarono sotto il peso di un ingente senso di colpa: suo padre le aveva salvato la vita. Ci aveva provato. E Dianna non aveva espresso neppure la minima gratitudine nei confronti del pover'uomo.
Le parve così truculento domandarsi se fosse ancora vivo.
Jana interruppe il flusso turbinoso dei suoi pensieri. "Proclamo chiusa definitivamente la piccola parentesi sulla mia vita. Ora ho bisogno del vostro aiuto. Page, anche tu, piantala di baciare quel pezzo di giornale e ascoltami."
Elena e Dianna alzarono lo sguardo all'unisono.
"Voglio recuperare la cassetta degli AC/DC che Mandy ha strappato brutalmente dallo stereo il giorno che sei approdata in quest'inferno, prima che scatti il coprifuoco. In un certo senso, è colpa tua: se Mandy non si fosse avvicinata alla stanza per accompagnarti, non avrebbe sentito il boato di Brian Johnson che cantava. Inoltre, era l'unica cassetta che mi rimaneva. Le altre Elena le ha scambiate per dei portapenne e quando vi ha infilato la sua stilografica si sono rotte." Elena chiuse attorno all'indice il vecchio fumetto e finse di stropicciarsi gli occhi per nascondere il crescente rossore in viso.
Dianna divenne pallida. "E come intendi recuperarla? Mandy l'avrà buttata e..."
"No." Jana tuonò, imperiosa, posando le mani affusolate sui fianchi. "È nell'ufficio del preside. Ne sono certa. Un giorno, io e Byron ci siamo infiltrati lì per recuperare i nostri compiti di biologia, dove avevamo appuntato uno scarabocchio ben delineato degli organi genitali maschili. Sai, non avevamo idea di come riempire i test perché non avevamo studiato. Quando Mr. Kyle li notò, disse che li avrebbe fatti vedere al rettore e minacciò di scaraventarci fuori dall'istituto. Così, una notte, entrammo di nascosto nell'ufficio del preside e vedemmo centinaia di oggetti sequestrati agli studenti in un grande scatolone. Ricordo bene quella scena..." Janà si inumidì le labbra scarlatte, sospirando attonita, "perché quando recuperammo i compiti Byron mi confessò che amava addentrarsi in questo genere di avventure proibite con me. Volevo rispondergli che io... con lui... desideravo ben altre avventure proibite, ma tacqui. Quindi sì, so perfettamente come entrare nell'ufficio del preside. Sono una veterana," concluse, rassettando poi il bavero della sua giacca sul collo con atteggiamento aristocratico. Afferrò una torcia sbilenca sulla scrivania e la lanciò ad Elena. "Tu dovrai farmi luce. Lo sai che le lanterne dei corridoi sono saltate in aria. Ora le corsie sono buie." Poi si voltò verso Dianna e la soppesò per un breve istante. "Tu farai la guardia." Dopodiché afferrò una matita da un logoro cassetto dello scrittoio e la fece scivolare audacemente nell'incavo dei suoi seni.
Dianna avrebbe voluto coprire i suoi piedi nudi con un paio di calzini, ma Jana le aveva acciuffato il polso e l'aveva trascinata fuori della stanza, camminando irrequieta.
I corridoi bui parevano il portale d'accesso al regno dei morti, un intruglio di oscurità che perpetuava un onnipresente terrore.
Qualche debole cigolio sinistro che scivolava improvvisamente nel silenzio della sera, lasciò voltare sospetta Dianna, i cui occhi marini guizzavano rapidi nella penombra.
Elena procedeva lentamente alle spalle di Jana, che invece era ben stanziata nel suo ruolo di guida: spesso, infatti, additava Elena come un'incapace e le ordinava di alzare la torcia per illuminare il corridoio, non i propri piedi.
E la succube annuiva, ancora una volta.
Dianna si chiese se sarebbe mai riuscita ad udire la sua voce, in futuro.
Si chiese come fosse.
Dopo aver percorso uno stretto androne che sviscerava in un'anticamera malsana e vissuta, Jana arrestò bruscamente i suoi passi, legando il polso della sirena in una stretta asfissiante. Le unghie si conficcavano intrepide nella pelle di Dianna. Poi si spostò davanti a una porta ormeggiata in un angolo e ne sfiorò circospetta la maniglia cigolante. Un lento e monotono gocciolare dagli stipiti si univa e si miscelava in una pozza d'acqua ai piedi della porta. Jana badò cautamente a non scivolare. "Questo è l'ufficio del preside, dove si dice egli violenti le cuoche che lavorano nella mensa scolastica. Ma è difficile credervi. Chi abuserebbe mai di donne dal girovita pari all'Empire State Building?" sussurrò, ma i suoi occhi rimasero fissi sulla maniglia della porta. Poi allungò una mano ad indicare un segnale che pulsava di un'intermittente luce rossa. "Quella è la centralina dell'allarme, che il preside ha deciso di schiaffare lì dopo che le telecamere sono andate a farsi benedire."
Dianna scrutò perplessa la compagna. "Ovvero? Le telecamere sono andate dal pastore... dal pastore Grant?"
Elena soffocò una risata sommessa alle sue spalle.
Jana trattenne un accenno di risa. "Probabilmente il mio american English non è dei migliori, ma intendevo dire che le telecamere si sono rotte."
"Oh."
"Quindi guai a te se muovi un passo. Non ti sporgere verso la centralina dell'allarme. Suona -diciamo- come per magia quando uno studente vi passa davanti dopo le otto e mezza di sera." Dopodiché, curvò il busto e s'accosciò davanti alla porta, ripescando la matita tra i suoi seni e allungando una mano verso Elena, schioccando le dita. "Luce."
Elena Page puntò la torcia verso la serratura.
Jana iniziò ad armeggiare con accuratezza: infilò silenziosamente lo stelo della matita nella toppa e, raccogliendo l'impugnatura tra indice e pollice, prese a spingere la matita nella serratura. Di tanto in tanto, increspava la fronte bianca e s'accaniva sul proprio labbro inferiore, vittima di un'infossata concentrazione. Ripeteva spesso tra i denti che doveva lo stratagemma a Byron, che descrisse essere abile con le dita. Jana aveva riso segretamente nel sostenerlo. Dianna non ne aveva compreso la ragione.
La sirena si guardò attorno, ma i suoi occhi non riuscirono a filtrare l'oscurità perenne.
La sera era cullata da un'aurea silenziosa.
Troppo silenziosa.
La quiete si spalmava viscida e tesa nelle ombre.
Solamente un tenue imprecare proveniva dalle labbra di Jana.
Era l'unico mormorio che squarciava il silenzio.
Dianna addentò la carne interna della sua guancia e la straziò insistentemente, sino a che il dolore fisico non soffocò la paura. Mosse un passo e scrutò nella penombra.
Una totale assenza persino del più fioco barlume.
Quindi, mosse un altro passo.
E un altro ancora.
Ma i suoi piedi nudi e raggrinziti dal gelo incontrarono qualcosa di bagnato.
Dianna non ebbe neppure il tempo di constatare di aver posato un piede sulla pozza d'acqua che si ritrovò a terra, dolorante e mugolante. Avrebbe fatto leva su tutte le sue forze per rialzarsi, se il movimento brusco con il quale era scivolata sul pavimento non fosse stato assorbito dalla centralina dell'allarme.
Un acuto ululare sbranò il silenzio ed un balenio vermiglio scattò rapido e guizzante ad illuminare l'androne.
Jana ed Elena levarono lo sguardo e tesero la mascella in una morsa ferrea. Jana si alzò velocemente e sfilò con ira la matita dalla toppa, spezzandone l'impugnatura. Imprecò e portò le mani sul viso.
Dianna ansimò convulsamente ed il suo nervoso boccheggiare si riflesse in un'eco sorda nel vuoto delle tenebre. Provò a rialzarsi con le sue forze, ma Jana abbrancò con rapidità il suo braccio e la trascinò in piedi con una furia nera.
Anche Elena scattò sull'attenti. La torcia accesa le scivolò dalle mani e rimbalzò chiassosa sul pavimento.
L'alone di luce irradiato dalla torcia, però, rischiarò una fetta di oscurità: in essa, Dianna scorse una sagoma possente.
Gambe poderose.
Bacino stretto.
Fianchi dritti.
E petto scolpito.
Dianna credette di essere preda di allucinazioni.
Ma no.
Lo vedeva.
Lui era lì.
E rideva.
*******************
Preghiamo per il piede e la gamba di Dianna, nonché per il suo deterano brutalmente spiaccicato a terra.
E preghiamo anche per Jana, che per colpa di Tristan non ha potuto recuperare la sua cassetta.
Tutta quest'ingiustizia...
Spero il capitolo vi sia piaciuto e mi scuso per il ritardo, ma ho preferito pubblicare dopo Pasqua e Pasquetta, che mi auguro abbiate trascorso serenamente.
Nel prossimo capitolo vedremo un Tristan poco... vestito, diciamo.
Vi ricordo di passare nella mia pagina Facebook dedicata alla storia "Alexandra-writes on Wattpad".
Votate e commentate in tanti!
Grazie mille per il vostro supporto!

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