Capitolo 12

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Quella mattina, Jana, alle porte della prima brezza dicembrina, aveva destato Dianna dal suo sonno, urlandole che un pericoloso incendio divampava nell'ala della mensa scolastica. La sirena era schizzata spaventata giù dal letto, rassettandosi la veste da camera alla bell'e meglio, ma aveva trovato dinanzi a sé il viso paonazzo dalle risa di Jana, che giustificò il suo ansimare confidando a Dianna che scherzare con la sua ingenuità sarebbe diventato presto il suo ultimo ammazzatempo, termine astruso che la sirena non tardò ad annotare nel suo vocabolario mentale.
Dunque Dianna ebbe l'onore di tirare un sospiro di sollievo e di assassinare la compagna con un'occhiata funesta, ma Jana le rivolgeva con disinvoltura le spalle, troppo impegnata a rifugiare la propria attenzione all'unghia spezzata dell'indice della sua mano destra. Dopodiché, prima che la sirena avesse il tempo di organizzare la sua mente e di stropicciare gli occhi, Jana le aveva lanciato quel che pareva essere un costume da bagno e le aveva intimato con voce perentoria di indossarlo. Chiedendone la ragione, Dianna era venuta a conoscenza che, nonostante il Massbury Institute fosse una galera di edifici logori e cortili rinsecchiti, aveva la fortuna di ospitare una modesta piscina.
Piscina... Dianna continuò a rivoltare quella stramba parola nella sua mente, tentando di ricavarne un possibile significato, ma non vi riuscì. Allontanò anche l'ipotesi di domandare a Jana, tanto era vivo il timore in lei di risultare per l'ennesima volta una povera immatura e tarda di intuito.
Fortunatamente o sfortunatamente -Dianna era ancora indecisa quale punto di vista adottare- non tardò a conoscere il significato di quella parola, piscina.
Infatti, il suo cuore prese un balzo avventato quando la sirena vide un'immensa distesa d'acqua schiacciata in grandi vasche coperte da una volta a crociera che ricordava le antiche strutture del gotico francese.
La giovane riuscì ad avvertire il sangue trapanare le sue vene e macchiare ogni suo senso di terrore: d'un tratto, l'acqua era così vicina.
Acqua.
Acqua.
La sua casa e il suo rifugio, la dimora donatale da Zeus e il riparo da ogni insidia. Agguantò il braccio di Elena, eternamente silenziosa al suo fianco, per trattenere l'impulso morboso che spingeva il suo corpo ad allungarsi come la corda tesa di un arco per sprofondare nella limpidezza di quell'acqua, simile ad una lastra di ghiaccio che ricavava la solidità dell'etereo.
Non poteva immeggersi.
Non doveva immeggersi.
Quale terribile oscenità sarebbe stata mostrata al mondo se una lunga e scintillante pinna glauco avrebbe preso il posto delle sue gambe qualora si fosse bagnata?
Voltò lo sguardo: al suo fianco, in una vasca interrata in un accumulo di mattonelle scivolose, alcuni studenti si lanciavano una palla e battevano con forza e magnanimità sull'oggetto, fino a che esso non si afflosciava sgonfio sullo specchio d'acqua, galleggiando. Dopodiché, quando un uomo grezzo e abbastanza in sovrappeso da non riuscire a schiodarsi dalla sedia su cui era ammosciato soffiava in un piccolo zufolo, gli studenti si avvicinavano diligentemente al bordo della vasca e, facendo leva sulle braccia, si alzavano e raggiungevano gli spogliatoi.
"Solitamente non sono debole di cuore, ma non credo davvero di riuscir a scampare ad un infarto quando un simile dio greco si staglia mezzo nudo davanti a me con i capelli gocciolanti di sesso." Jana sospirò teatralmente.
"Dio...greco?" Dianna ingoiò la sorpresa.
"Intendo Byron." Jana Vàclav allungò un braccio e indicò una vasca poco lontana. "È lì, guarda: seduto sul bordo della piscina, un ginocchio portato al petto e un piede che oscilla dolcemente dentro l'acqua. E diamine! Guarda la curva della sua schiena, santo Cielo! Neanche le sculture di Policleto e Fidia sono così perfette! Neppure il David di Michelangelo riuscirebbe ad eguagliare una tale bellezza! E sì" Jana alzò un indice, l'espressione seria e raccomandativa, "ho abbastanza cultura da permettermi di fare simili paragoni."
Dianna seguì il suo sguardo: l'attenzione di Byron pareva scemare nel vuoto, mentre agganciava le ginocchia tra le braccia. Seduto al suo fianco, Kristiàn lasciava intingere le dita nel velo dell'acqua e ne ammirava con scrupolosa minuziosità le sfumature che scintillavano stillanti al tocco.
Dianna Cox levò un grande sospiro di consolazione: Tristan -o meglio, Tritone- con la sua assenza, aveva deciso di non rendere un calvario anche quella sua altrimenti ordinaria mattinata scolastica. Probabilmente una briciola del suo cuore gli aveva suggerito di provare pietà per la povera anima già affranta di Dianna, si ritrovò a pensare.
Ma dissentì in men che non si dica al suo stesso pensiero: Tritone non provava pietà.
Tritone non era misericordioso.
Tritone non perdonava.
Tritone agiva.
E, forse, le parole che le aveva sussurrato all'orecchio quella domenica mattina, mentre il suo respiro caldo era sulla pelle di Dianna, non erano assai infondate, non erano inezie: Tritone era realmente tanto audace da sfoderare le armi più sanguinolente per rivendicare un torto subìto.
Eppure, inizialmente la posizione nella quale si era presentato non avrebbe certo destato un notevole timore, poiché sarebbe apparso solamente come un inviato del re dei mari, che quindi non reincarnava in sé alcun potere peculiare che potesse innalzarlo ad un trono.
Ma Tritone non era un semplice inviato.
Tritone era il guerriero dalla ira più divampante.
La sua rabbia era duratura e la sua mano lesta ad infliggere dolore.
La sirena si corrucciò: nonostante il padre, nella sua ingenuità benigna e nel suo amore incondizionato avesse deciso di liberare la figlia da un destino in pericolo, l'aveva spedita in un fato che non aveva altra scelta se non quella di degradare: la sua scelta paterna aveva messo ancor più in pericolo la vita della figlia.
Non si sfidano gli dei, il tritone Lyenth Cox avrebbe dovuto saperlo.
E Dianna, quindi, si ritrovò a riflettere sulla piega che le scelte assumono quando sono influenzate da un amore tanto cieco ed intenso che devia la razionalità e la logica.
Chissà se, un giorno, avrebbe mai provato la stessa sensazione: stringere tra le mani quell'amore che consuma, quell'amore che logora i sensi e che spinge le scelte nelle braccia dell'istinto.
Chissà se, un giorno, avrebbe mai amato qualcuno.
Incondizionatamente, senza pretendere nulla in ritorno.
"Non è fantastico?" Kristiàn teneva ancora il capo incollato verso la lastra d'acqua. "Guardate l'acqua che scivola dalle mie dita. Sembra polvere di stelle. E le stelle sono così belle! E poi guardate questa goccia, ogni singola goccia." La sua voce si ridusse ad un sussurro melanconico. "Sembrano racchiudere un mondo, una storia."
"Oh, amore, come sei romantico!" Byron sfogò il suo tono più sbeffeggiatore. "Prendimi e portami con te nella stanza dalle lenzuola rosse, dove dal letto sbocciano cuori, cuoricini, cuoricioni e tante stelline da schiacciare contro il soffitto e da ammirare mentre giaccio tra le tue braccia di uomo, ah!" Dopodiché, la sua voce si alzò di un'ottava e Byron mostrò il suo più corrotto atteggiamento effeminato slanciandosi tra le braccia di Kristiàn.
Questi lo spinse via, lo sguardo adombrato. "Non deridermi. Io vedo davvero qualcosa di profondo in simili particolari."
"Io di profondo vedo solo l'acqua qua davanti." Bryon si sporse verso la vasca e roteò poi lo sguardo verso Jana. "Sei venuta anche tu per una nuotata, stamattina? Sai, Mr. Valentine ha deciso che le prossime lezioni di educazione fisica verranno svolte qui, in piscina, perché l'ultima volta che abbiamo messo piede nella palestra del Massbury, Fannie Bolton ha fracassato la finestra con una palla da basket." Sospirò, riflessivo. "Io ho sempre sostenuto che quella tipa soffra di strabismo."
Kristiàn intervenne, lisciando una ciocca di capelli platino arrotolata sopra la guancia. "La versione dei fatti che mi è stata raccontata spiega che Fannie ha lanciato imprudentemente la palla al vuoto perché aveva notato un ragno appiccicato alla parete."
"Aracnofobica," aggiunse Jana, spogliandosi velocemente e strisciando accanto a Byron, stretta in un costume nero che aderiva con avidità alle sue curve aguzze.
Byron lanciò un'occhiata obliqua nella sua direzione e sogghignò. "Jana, si nota la forma dei tuoi capezzoli."
La ragazza si affrettò a coprire il proprio busto con le braccia e bofonchiò distratta: "Che stai... dicendo?"
Byron scivolò in acqua con un rapido slancio e la sua capigliatura corvina scomparve per una manciata di secondi, dondolando screziata sotto le fresche onde della vasca. Poi riemerse e strizzò gli occhi. "Sto scherzando. Purtroppo non si vede nulla. Mi sarebbe piaciuto intravedere qualcosa, che peccato..."
Kristiàn fece per intervenire, vanamente. "E' mia sorella, non parl..."
"Davvero? Cioè, voglio dire." Jana tentò di ricomporsi, lottando contro se stessa per evitare di mostrare la vittoria e la soddisfazione che crescevano dentro di lei a tal punto da intingere le sue guance di un vermiglio focoso. "Sei così impertinente!" E si tuffò anche lei, seguita dal gemello.
Dianna tacque, rivelando sotto un viso assente un debole sorriso. Le parve terribilmente irrispettoso assistere a discorsi amichevoli di cui lei non comprendeva ogni sfumatura. Si ritrovò a pensare all'invidiabile empatia che univa i suoi compagni, probabilmente un'empatia forgiata dal tempo e dalla conoscenza, ma alla quale lei mai avrebbe potuto prendere parte.
Era quell'essere parte di qualcosa che continuava ad offuscarle i pensieri.
Jana, Kristiàn, Byron e persino Elena erano un'unica sostanza, un'unica anima, legata dalla solidità di un affetto che non necessitava dimostrazioni prestigiose per mostrare la propria validità.
Nelle loro parole, nei loro sguardi, nei loro gesti e nei loro silenzi era tacitamente espresso un amore reciproco che nessun impedimento avrebbe mai potuto dissolvere.
La loro, pensò Dianna, era un'amicizia fondata su una sorta di sofferenza condivisa in un clima solidale, una sofferenza sterminata come un macigno, che diveniva però meno pesante, se trasportato su più spalle.
Ma soffocò l'urlo dei suoi pensieri, ancora una volta.
Elena, ancora al suo fianco, era intenta a raccogliere i propri capelli scombinati in una lunga treccia. Le dita si snodavano abili tra la crocchia scarmigliata, con una sinuosità tale che la più dolce delle ninfe sarebbe stata invidiosa di una simile delicatezza. Poi si chinò verso le mattonelle scivolose e posò sul pavimento i suoi grandi occhiali da vista. Ora, i suoi occhi selvaggina si aprivano curiosi al mondo. Le sue iridi parevano pulsare. Dopodiché, avanzò un passo verso la vasca, titubante, infilata in un costume forse troppo grande per un corpo tanto gracile.
Byron nuotò verso Elena e allungò un braccio verso il suo collo. "Togli le collan..."
Ma Elena aveva già alzato una mano e spinto via le dita del ragazzo, con un'accesa ira nello sguardo, le labbra serrate. Poi, strinse il proprio naso tra le dita, chiuse gli occhi, e si tuffò, svanendo tra le onde.
Jana continuava a sguazzare con una sentita spensieratezza, tentando di ridurre al minimo la distanza che la separava dal corpo di Byron. "Novella, tuffati!"
Dianna scosse la testa e macinò frettolosa alla ricerca di una valida giustificazione.
Jana la osservò, poi annuì. Urlò, e la sua voce riecheggiò: "Oh, ho capito. Hai le tue cose."
La sirena finse di aver compreso e ricambiò lo sguardo con occhio assente.
"Oppure non sa nuotare. Poverina. Sono sicuro che Kristiàn sarà ben felice di insegnarti. E di essere il tuo eroe, chiaramente." Byron posò un braccio attorno alle spalle di Kristiàn. "Ti va, amico? Essere il personale guardaspiaggia della novella? Come in quella serie televisiva che hanno da poco trasmesso... Baywatch, credo. Peccato che vedere la televisione sia una prerogativa degli esseri umani che vivono al di fuori di queste quattro mura."
Kristiàn avvampò e cercò di divincolarsi dalla stretta.
Jana parlò. "Se davvero non intendi tuffarti, Mr. Valentine sarà ben felice di vederti pulire i bordi della piscina. Detesta chi si dissocia dalle lezioni. Quindi guarda lì," alzò il mento e ammiccò ad un panno accartocciato in un angolo della struttura, "prendi quello straccio ed inizia a pulire come Cinderella."
Dianna seguì lo sguardo della compagna con notevole diffidenza, ma decise ugualmente di ascoltare le sue parole. Quindi, rivestendosi di pazienza, afferrò il panno umido e si avvicinò nuovamente al bordo della vasca; s'inginocchiò sul pavimento scrosciante e iniziò a lucidarne il materiale madido, fregando con impegno e diligenza la pezza su ogni mattonella. Di tanto in tanto, alzava lo sguardo, per assicurarsi nessuno notasse il sudore che le imperlava la fronte e gocciolava molle lungo i suoi zigomi, quindi tornava al suo compito.
Gli schiamazzi degli studenti sembravano affievoliti dalla calma leggerezza dell'acqua, una barriera protettiva contro le confusioni mondane, un cumulo che racchiude in sé le accozzaglie della garbuglia.
Jana, Byron e Kristiàn gareggiavano gli uni contro gli altri con occhio di sfida, nuotando con ampie bracciate lungo il perimetro della vasca, rompendo così l'equilibro e l'ordine dell'acqua. Elena, invece, avanzava titubante, ondeggiando le gambe convulsamente e reggendosi alla fiancata della piscina, fino a che l'abbaio del fischietto di un professore non la faceva sobbalzare e precipitare tra i guizzi. Dianna, infine, chinò lo sguardo e osservò la sua mano tremolante che ghermiva la pezza. Le nocche parevano schiacciarsi superbamente sopra il rossore screpolato delle sue dita.
Sospirò.
Continuò a pulire le piastrelle sdrucciolose.
Ma il panno le scivolò dalle mani quando una figura irruppe bruscamente nel suo campo visivo.
Un corpo imponente riemerse dall'acqua, ad una spanna dal suo naso arrossato, spezzando il fragile equilibrio dell'acqua con un acerbo guizzo imperioso.
E la fissò.
Tristan Waves la fissò.
Egli posò le mani sul bordo della vasca, fece leva sulle braccia e i suoi muscoli si gonfiarono valorosamente quando si sollevò all'altezza di Dianna, i cui occhi spalancati tradivano la precedente calma.
I loro respiri sembrarono fondersi ancora una volta.
Tritone era meraviglioso, e Dianna non poteva affatto negare l'evidenza. Oltretutto, iniziava a detestarsi per il crescente batticuore che la elettrizzava ogni qualvolta incontrava quegli occhi ghiacciati. Non era intenzionata a domandarsene la ragione: timore, paura, terrore, onta, disprezzo: non aveva importanza.
Tritone era come la lancetta di una bussola: con uno scatto improvviso, scivola verso il Nord.
Ed era proprio così: irrompeva improvvisamente, scivolava nella vita di Dianna senza freni inibitori, e faceva scattare i suoi poveri sensi in un circolo acceso di fervore.
La sirena, ora, sostenne lo sguardo di Tristan, e lo scrutò nei minimi disegni del suo volto: le gocce d'acqua sciavano sulla pelle dalla bellezza invereconda, la mascella era rilassata, un lieve sorriso stendeva le labbra floride e sotto lunghe ciglia ricurve e folte brillavano quegli occhi paralizzanti.
I capelli! Oh, i capelli!
Quei raggi di sole si scarmigliavano prepotentemente sulla sua nuca, e pareva pulsassero sotto il luccichio dell'acqua.
La linea rigida delle sue spalle...
Le braccia forti...
I disegni sinuosi del suo addome...
E Dianna non riuscì più ad osservarlo: lui rise e le prese il mento tra le mani, avvicinando il suo volto al proprio. Poi inclinò il capo e prese a scrutarla con un'accesa ammirazione e fama di gloria. "Sei ancora qui, diamine. Ti sto terribilmente dando la caccia come la preda di un leone, e tu neppure fuggi al suo ruggito?" Fece schioccare più volte la lingua sul palato in segno di dissenso. "Questo desta la mia pazienza più che mai... Per tutti i figli di Ade, sai come incendiare un uomo della rabbia più viva."
Dianna inghiottì la poltiglia infestata di terrore che le bloccava il respiro in gola. Non sapeva se le sue guance bollissero sotto il bruciare della vergogna o se gelassero sotto la spinta del fresco alito di oceano che si snodava dalle labbra di Tritone.
In ogni caso, un istinto primario la portò a posare una mano sul polso del giovane per liberarsi dalla sua stretta, ma questa si fece più intensa.
"No, no, no, no. Forse non hai capito. Mi sono sentito tanto solo. Nuotare con migliaia di pensieri che mulinano nel cervello come un tornado confusionario non è piacevole. Quindi..." La voce beffarda, "una nuotata in compagnia sarebbe l'ideale." Un sorriso gli errò sulle labbra quando il suo sguardo, invece, si irrigidì.
Ecco, il proseguimento della sua vendetta.
Prima che Dianna ebbe la facoltà di essere lungimirante e di prevedere dunque cosa sarebbe accaduto di lì a poco, con la speranza di scampare ad un pericolo già scritto nel destino, Tritone le aveva già ghermito il braccio e l'aveva attirata a sé: per un fatale secondo fu tra le sue braccia e avvertì sotto la camicia oramai madida la solidità virile del petto di Tristan, il quale posò le mani di uomo sulla schiena della giovane e la prese a sé.
Il cuore arrestò il suo galoppo.
Ma fu presto sbalzata via da quelle braccia: egli, infatti, la spinse in acqua con un'espressione in viso che si sarebbe ben potuta avvicinare ad un innumerabile disprezzo.
Acqua.
Acqua.
Dianna avrebbe voluto urlare, ma solamente una scia sconnessa di bolle scoppiettanti sepreggiava dalla sua bocca quando si ritrovò ad ansimare sott'acqua.
Più aveva evitato il contatto con l'acqua e più quel fato malvagio l'aveva spinta tra le sue grinfie di arpia.
La sirena sperò che fosse solamente un'illusione quella sensazione brulicante di solleticore che le si incollò alle gambe: nonostante Tritone non si fosse stranamente trasformato in acqua, un'impellente paura continuava a farsi strada in lei.
Riemerse boccheggiante, strizzando gli occhi che focalizzarono la visione appannata di ciò che la circondava e agitò nervosamente le braccia al vuoto.
"Dianna!" Una voce alle sue spalle si avvicinò convulsa: Kristiàn nuotava nella sua direzione a grandi bracciate, inspirando ed espirando animatamente.
La sirena, in quei fugaci attimi di pausa, notò Tristan uscire dall'acqua e stagliarsi come un re dinanzi ai suoi occhi, alzando una gamba e posando un piede su un trampolino basso da tuffo. Egli guardò Kristiàn, lacerandolo. "Non ti affrettare, caro Vaclàv. Dianna sa nuotare," disse. "Sa nuotare molto bene."
E con la stessa rapidità con cui aveva pronunciato quelle parole, se ne andò, voltando la schiena e dimenando i fianchi.
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Nei commenti sotto i capitoli precedenti leggo spesso pareri negativi su Tristan e sì, vi capisco, il suo atteggiamento è da vero st****o, scusatemi per il termine. Chiaramente sto cercando di rendere Tritone il più accattivante possibile.
Molte lettrici sono legate al personaggio maschile della mia storia precedente. Anche lui era perverso, inverecondo e affascinante, ma era un gentiluomo. Tritone è diverso: non posso scrivere di personaggi tutti uguali. Anzi, vi dirò altro: a me Tristan piace anche di più. È virile -o meglio, spero di essere riuscita a descriverlo in tal modo- è guerriero, è forte, letale, vendicativo e affascinante, spero. Ma è anche altro che scopriremo più in avanti.
Inoltre, non posso far sbocciare l'amore in quattro e quattr'otto, la storia sarebbe noiosa, ve l'assicuro.
Il loro legame deve svilupparsi e vi assicuro che sto tentando ogni giorno di coagulare le migliori idee per una valida storia d'amore.
Tristan nasconde un'altra faccia della medaglia. Si innamorerà di Dianna. Ma dovete pazientare un po'.
Spero di non deludervi e mi auguro che il capitolo vi sia piaciuto.
Fatemi sapere che ne pensate nei commenti. Votate in tanti!
Grazie mille a tutti!

L'inevitabile attrazioneDove le storie prendono vita. Scoprilo ora