Monte Olimpo, fine marzo, in greco il quattordicesimo giorno del mese di Elafebolione.
Dianna era rimasta folgorata, ammaliata e rapita dalla bellezza inestimabile e divina cui si era trovata dinanzi pochi istanti prima. Quella visione le aveva strappato e squarciato ogni sorta di compostezza dal corpo e aveva ravvivato fervidamente il fuoco altrimenti spento della sua passionalità, tantoché la sirena non aveva potuto far altro che abbandonarsi ad un vivo e concitato moto di stupore.
Quasi al confine tra Tessaglia e Macedonia, il Monte Olimpo si era aperto in tutta la sua possente magnificenza, con le rocce ancora impervie e taglienti, letali come spade forgiate con fuoco e martello.
Fronteggiandosi in bellezza con il Monte Ossa piantato sulla sponda opposta, l'Olimpo sorgeva a ridosso della Valle di Tempe -da sempre considerata luogo d'ispirazione poetica e dimora delle Muse-, sovrastando un paesaggio verde, fiabesco e lucente. Ai suoi piedi si poteva udir risuonare e gorgogliare il fiume Peneo, che -incanalandosi nella gola di Tempe- muoveva le sue onde sotto la carezza del vento, scorrendo inesorabile sotto le pendici del monte e bagnando la sua base come per alimentarlo e nutrirlo di una forza nuova e fredda.
La dimora degli dei era ricoperta da una fitta boscaglia di querce e la sua cima, perennemente avvolta da un alone di bruma e vapore grigio condensato, si alzava a trafiggere le nuvole che sembravano voler abbassarsi fino a confondersi con quella nebbia imperscrutabile e magnetica.
Tuttavia, Dianna era riuscita a scorgere un indomito raggio di sole che, più audace dei suoi compagni, si era allungato fino a perforare quella densa coltre di nubi, ma la sua stessa superbia lo aveva punito: da quell'ammasso grigio non era più uscito. Sembrava essere stato risucchiato.
Ma nella mente di Dianna questo era oramai solamente un ricordo.
Ora, che si ritrovava dinanzi a due grandi battenti in oro che consacravano la porta d'accesso al regno divino, la sirena era sigillata nella sua ritrovata compostezza. Il capo chino, infatti, esprimeva deferenza e dignità e, sebbene conservasse nell'animo e nel cuore il fuoco che la visione dell'Olimpo aveva rianimato in lei, gli occhi di Dianna non tradivano nessuna sensazione. Di un paio di passi dietro rispetto a Tristan -che invece si stagliava autonomo e dirigente dinanzi- Dianna congiungeva le mani in grembo e tutto ciò che i suoi occhi potevano osservare erano le lucide punte dei suoi sandali e la soffusa brillantezza delle armature d'argento delle due guardie che sostavano sui due lati della grande porta.
I due ufficiali mossero le lance e le sbatacchiarono sul pavimento in un rapido colpo, e i battenti si spalancarono.
Prima che la mano di Tristan si allungasse verso quella di Dianna, però, una figura altezzosa ed imponente si posizionò dinanzi alla porta oramai aperta: Poseidone rassettò il mantello bianco sulle sue spalle e assicurò una spilla dorata all'altezza della sua clavicola. Serioso ma pacato, con il viso d'un tratto privo di ogni increspatura di apprensione, i suoi occhi marini incontrarono quelli di Dianna. "Ti invito ad entrare."
La sirena, in un primo momento, non capì cosa nascondessero quelle parole. Poi Tristan si piegò verso il suo orecchio e le spiegò che l'accesso al monte degli dei è precluso ad ogni vivente che non discende dalla dinastia olimpica, a meno che un dio stesso non lo inviti ad entrare.
Solamente a quel punto la sirena annuì, mosse un passo in avanti e varcò la soglia.
Un lunghissimo e sconfinato corridoio si allungava oltre la porta, fiancheggiato da una schiera imponente e diritta di alte colonne corinzie che non conoscevano l'usura del tempo. Attorno ai pilastri s'avvolgevano ramoscelli di edera rampicante, dai quali -di tanto in tanto-, sbocciavano fiori turchesi che iniziavano a roteare sulla loro stessa corolla, come mossi dal soffio di Eolo.
Su tutta la lunghezza del pavimento era steso un nobile tappeto rosso, dalle frange in oro e dalle rifiniture in argento, mentre, appese alle pareti, pendevano decine di lucerne, dentro le quali avvampavano piccole fiammelle vivaci, che si alzavano in faville e poi si spegnevano in soffusi scoppiettii, conferendo al lungo andito una bellezza misteriosa e tremolante.
Istruita da Apollo, un'orda di danzatrici si muoveva oltre la fila di colonne, agitando le gonne e sventagliando i capelli di bronzo, reggendo tra le mani lire e cetre che pizzicavano delicatamente con le dita, esalando poi con enfasi -e quasi con ebbrezza- l'invisibile fragranza che si sollevava da quelle note.
In fondo al corridoio si scorgeva un'altra porta, d'argento lavorato, che assumeva le stesse sfumature plumbee delle nubi che circondavano la vetta del monte.
Preceduti da Poseidone, Tristan e Dianna avanzavano al passo fianco a fianco, seguiti dalla regina Anfitrite e dalle due principesse, Roda e Bentesicima.
Quest'ultima sfilava con sicurezza sul tappeto, ancheggiando e dimenando i fianchi, il capo ritto e la coroncina diamantata sui capelli che sottolineava maggiormente la sua discendenza nobile.
Dopo aver oltrepassato anche la porta d'argento, si ritrovano davanti a una grandissima sala semicircolare: la meraviglia del lavoro di Efesto si rifletteva nelle sfumature dorate dei decori che s'affacciavano sul pavimento lustro. L'enorme stanza era avvolta da un sottile alone opaco e cristallino, che veleggiava nell'aria come bruma densa, sollevandosi dal suolo e alzandosi verso il largo soffitto a cupola. Quando la sala si rischiarò e la sua visione divenne più nitida, si scorsero undici scranni d'argento e uno dorato.
Undici scranni occupati e uno vuoto: quello di Poseidone.
Dinanzi a loro, infatti, erano assisi sui propri troni i restanti dei dell'Olimpo.
Gli sguardi di Dianna e del resto del gruppo, come risucchiati dal magnete di una calamita, si posarono solamente su una figura che sedeva regale ed imperiale al centro della sala: Zeus.
"Ti aspettavo, fratello." Il dio di tutti gli dei rigirò la propria saetta tra le dita, ruotandola e stringendola, stringendola e ruotandola. Guardava suo fratello Poseidone.
Zeus era un dio robusto, apparentemente alto, e anziano solo nella peluria che gli ornava le guance, le basette ed il mento. Per il resto poteva dirsi ancora un giovane nello spirito, dato il fulmine che sembrava lampeggiare nel suo sguardo, la perentorietà nella voce e la sicurezza nei movimenti. Sedeva su un trono imponente, sul cui bracciolo destro sorgeva la raffigurazione in marmo nero di un'aquila dalle ali spiegate, e vestiva con un himation bianco che gli lasciava scoperto il torace e parte dell'addome scultoreo.
Alla sua destra sedeva sua moglie Era. Dianna pensò non possedesse un'invidiabile bellezza, ma c'era qualcosa di attraente nella malinconia gelosa del suo sguardo e nel modo in cui reggeva il capo sulle dita della mano, come in riflessione o in assopimento.
Prima che la sirena avesse modo di descrivere il resto dei astanti, Poseidone mosse un passo in avanti e la sua mole possente coprì le figure di Dianna, dei figli e della moglie alle sue spalle. Agitò il suo tridente, gesticolando passionalmente. "Dimentichiamo le antiche discordie, Zeus. Si sono protratte per troppi anni, troppi secoli, troppi millenni. La sciagura bussa alle nostre porte e noi dobbiamo assicurare i battenti prima che sia troppo tardi. E..."
Zeus lo interruppe con un sospiro teatrale. "Quando ti rivolgi a me, non agitare il tridente."
Poseidone accostò il suo scettro al pavimento e continuò: "Ecco perché siamo qui, per mostrarti il piano d'attacco in guerra contro i Titani. Disponiamo di cartine e di raffigurazioni riprodotte in scala della falange e..."
Zeus intervenne ancora, senza dar modo al fratello di terminare la sua spiegazione. "Siamo chi?"
Poseidone mosse un passo verso la sua sinistra e scoprì le figure di Tristan, Dianna, Roda, Bentesicima e Anfitrite. Quest'ultima osservava la grande sala con una sorta di acerrimo disgusto negli occhi.
Zeus aggrottò la fronte alta e socchiuse gli occhi. Posò le mani sui braccioli del trono e si sporse, come se gli risultasse difficile osservare. Guardava Tristan. "Lui è...?"
"Mio figlio," tagliò corto Poseidone.
Zeus si ritrasse sul proprio scranno come se il fulmine che reggeva nella mano destra si fosse ribellato a lui e lo avesse investito con la sua scarica elettrica. Sembrava profondamente colpito e sorpreso. "Tritone?"
Tristan parlò: "Sì, sono io."
"Oh, nipote, ti ricordavo diverso. L'ultima volta che mi è giunta voce di te si diceva fossi un nanerottolo discolo con un pennacchio biondo sulla nuca che si divertiva a giocare con una spada."
Tristan drizzò il busto e, mentre sfilava qualcosa nascosto sotto uno strato della clamide, inchiodò lo sguardo di Zeus sollevando il mento e mostrando come la corona d'oro di foglie di quercia gli brillasse tra i capelli. "Sul nanerottolo avrei da controbattere, ma sul discolo posso solo confermare." E camminò in avanti, con un rotolo di papiro tra le mani. Stava per piegarsi a terra e srotolare l'involto, ma Zeus alzò una mano e ogni movimento sembrò gelarsi.
"Aspetta. Lei chi è?" Il capo supremo degli dei allungò distrattamente un dito oltre la spalla del nipote.
Tristan si voltò, ma vide solamente sua sorella Bentesicima portare improvvisamente lusingata una mano verso i seni, convinta di essere stata interpellata dal grande Zeus, e schiudere balbettante le labbra in risposta, dicendo: "Io... io, dite?"
Zeus parve infastidito e borbottò qualcosa tra i denti: "No, non tu. La giovane dai capelli rossi."
Bentesicima congelò: lasciò ricadere la mano lungo il fianco e deglutì rumorosamente, mentre la sua espressione si fece dura e torva.
Dianna alzò lo sguardo, timida, e Zeus, invece, inclinò il capo per soppesarla meglio.
Tristan fece un passo indietro e un sorriso gli errò sulle labbra, come se un pensiero dolce gli avesse d'un tratto illuminato la mente. Allungò una mano e prese quella di Dianna, facendola avanzare. "Lei è la sirena che possiede il fevior, la potentissima arma in grado di compromettere la forza titanica."
Tremendamente assorto e pungolato nello spirito, Zeus prese ad accarezzare lentamente e con movimenti circolari una delle ali dell'aquila di marmo. "Il fevior, dici?"
Tristan annuì.
"Credevo nessuna creatura lo possedesse ancora." Gli occhi di Zeus si sgranarono soddisfatti e scintillanti e le sue mani presero ad accarezzare la barba ispida. "Le cose si fanno interessanti. Ma prego," tese una mano verso Dianna, "vieni avanti."
La sirena spostò obliquamente lo sguardo verso Tristan, come per chiedere consenso. Quando egli annuì -negli occhi la fierezza di avere palesemente l'amore di quella bellissima creatura- Dianna avanzò.
Zeus reclinò il capo sulla spalla e indugiò più volta prima di iniziare. "È... è...." e
Tristan lo aiutò. "Bellissima? Splendida? Meravigliosa?"
"Per l'Olimpo, sì."
"Lo so." Tritone sollevò le labbra in un sorriso appagato e maliziosamente compiaciuto.
Una terza voce intervenne. "Mai come me."
Dianna voltò debolmente il capo per scorgere una donna slanciata e formosa alla sinistra di Zeus. Indossava un peplo bianco, ma i seni turgidi e fiorenti erano coperti a stento: si intravedevano le loro sagome rotonde uscire dalla veste. I capelli ramati -sui quali spuntava la corolla di una rosa rossa- erano attorcigliati dolcemente in lunghe onde che ricadevano sulle spalle, mentre gli occhi dal colore indecifrabile e leggermente truccati di polvere nera riservavano una passionalità dirompente.
Dianna comprese solamente dopo un'attenta analisi: Afrodite.
Zeus tentò di mettere a tacere la figlia con uno sguardo che non ammetteva repliche. "La tua bellezza è spesso sopravvalutata."
"Talmente sopravvalutata che la guerra di Troia si è combattuta sotto mia segreta volontà." Afrodite si abbandonò contro l'intricato schienale del suo trono e si profuse in un sospiro teatrale. "Povero Paride, non sono riuscita a mantenere la mia promessa. La bella Elena è ritornata da quello sporco re spartano..."
Un'altra figura piombò nella discussione allungando un braccio e spingendo Afrodite contro il suo scranno. "Taci. Non vedi? I tuoi occhi non possiedono una vista abbastanza acuta per vedere che ciò che fa parlare il giovincello" ammiccò a Tristan "è l'amore? Credevo che la dea del desiderio amoroso fosse più intuitiva." La donna che parlò era, per Dianna, la dea più bella tra le presenti: sulla testa calcava un alto elmo dorato, nella mano sinistra reggeva una lunga picca acuminata e una civetta dagli occhi vitrei e fermi sostava sulla sua spalla. Lo sguardo glauco non lasciava ulteriori dubbi: era Atena, l'armata dea della sapienza.
Afrodite rimase interdetta per un istante, poi si abbandonò sul suo trono sbuffando e posando la testa sulla mano, lanciando occhiate in cagnesco alla sorellastra al suo fianco.
Tristan avanzò nuovamente e ignorò qualunque richiamo. Si inginocchiò sul pavimento perfettamente lustrato e vi spiegò sopra il rotolo di papiro. Esso era imbrattato di schizzi in carboncino nero che raffiguravano la pianta di un campo di battaglia.
Zeus si alzò dal suo trono e Dianna non poté evitare di descrivere con lo sguardo la sua altezza. Superava di almeno una spanna i presenti e attorno al suo corpo brillava una sorta di aurea che scintillava ad intermittenza. Nella mano reggeva ancora il suo fulmine, quando si accosciò al fianco del nipote ritrovato. Per un istante, osservò il profilo di Tritone e non riconosceva in esso i lineamenti del fratello Poseidone. Bensì vi scorgeva lineamenti più dolci, una pelle più chiara, un naso regolare e un disegno più nitido della mascella. Vi vedeva anche le sfumature delle iridi e il disegno degli occhi felini, estremamente meravigliosi. Zeus pensò vi fosse nascosto del carisma dietro. Poi, si gettò un'occhiata alle sue spalle e studiò la figura di Anfitrite, che pareva una bellissima strega il cui pensiero vagava sull'orlo di un malvagio artefatto. E pensò anche che Tritone le somigliava molto.
Tristan tese una mano e il suo indice corse sulla mappa. "Come vedi, Zeus, nei pressi di Alexandroupolis c'è una larga distesa sabbiosa che porta verso il mare, racchiusa sia a settentrione che a meridione da due alti promontori, quasi fosse un'enorme radura. Avverrà lì. Qui, sulla sinistra," indicò un punto sul foglio di papiro, "c'è una fitta boscaglia, verde e rigogliosa tutto l'anno: mentre i battaglioni della falange combatteranno, una scorta di cavalleria si nasconderà tra gli alberi e attaccherà al mio segnale, uscendo e scoperchiando le forze nemiche sul loro lato destro." Quando Tristan vide Zeus annuire, continuò dicendo: "Dietro il promontorio a meridione, alle nostre spalle, si nasconderanno gli arcieri." E poi alzò lo sguardo: osservò un bellissimo giovane seduto su uno scranno accanto ad Atena. Era biondo e riccioluto, con un fiocco di capelli intrecciati sopra la fronte e una sottile clamide avvolta attorno al corpo robusto. Gli occhi sereni e chiari rimembravano la fanciullezza. Apollo. Tristan disse, guardandolo: "I tuoi arcieri. Procurateli e inviamene un migliaio: li addestrerò io nei giorni a venire. Poi" Tristan si alzò, mentre Zeus rimase ad osservare la cartina. Raggiunse un dio dai tratti spigolosi, dal naso sottile e aguzzo e dal mento quasi a punta. Sul suo capo brillava un elmo dorato dal quale sporgevano due piccole ali bianche, che si agitavano lentamente, in sincronia con i battiti delle ciglia del dio. Nella mano destra stringeva uno scettro alato attorno al quale si torcevano due lunghi serpenti verdi e squamosi. Era Ermes. Tristan allungò una mano verso i due rettili e ne avvolse uno attorno al proprio polso, lisciando con le dita la sua pelle scivolosa e posando l'altra mano sotto la sua testa allungata e demoniaca. Il serpente spalancò la bocca, estroflesse la lingua forcuta e minacciò il volto di Tritone. "Pericolosi, velenosi e letali. Quanti guerrieri potrebbero uccidere in un sol morso?"
Ermes rispose: "Quattro."
Tristan sorrise e tra le due divinità brillò un sorriso complice.
Quando Tristan si voltò, vide un'altra figura accanto a Zeus. L'uomo era ritto in piedi, con la cresta dell'elmo rossa, un'armatura di bronzo che terminava in un gonnellino rosso anch'esso e una daga infilata nel fodero appeso alla cintura. La barba incolta sul viso che racchiudeva disordinatamente la bocca screpolata non lasciava presagire nulla di buono. Era robusto e le braccia e le gambe erculee si gonfiavano sotto le curve dei muscoli pieni. Tra le mani reggeva il foglio di papiro e ne osservava uno dei bordi, dove c'era un altro schizzo scuro. Era Ares. Il dio della guerra inclinò il capo verso destra e ruotò di un poco il foglio, come per soppesare il disegno. "Queste non sono armature greche. Non è un esercito greco."
"No, infatti." Tristan si allontanò da Ermes e raggiunse il fianco di Ares. "È macedone."
Ares sbarrò gli occhi piccoli. "Perché?" strigliò con enfasi tra i denti. "Siamo greci e dobbiamo distinguerci per la nostra grecità. I macedoni hanno solamene invaso, conquistato e sottomesso il nostro territorio. Combattere come loro sarebbe un alto tradimento!" concluse con voce possente e caricata di energia.
"L'esercito macedone sarebbe stato in grado di competere con Roma. È stato l'esercito meglio equipaggiato e addestrato della Storia." Tristan ribatté, non con meno forza nella voce.
Ares iniziò a bollire e la sua pelle sembrò arrossarsi e tingersi delle stesse sfumature della cresta del suo elmo. "No, non combatteremo con sarisse e schinieri macedoni!" sputò le parole con disprezzo.
"Sarebbe meglio combattere con scudi di ferro e schinieri così pesanti da stringere le ginocchia?" Tristan rise e la sua sfacciataggine sicura e determinata infuocò l'animo di Ares. Poi ritornò serio, ma nei suoi occhi lampeggiava ancora l'ironia. "Io dico di no. Dal dio della guerra mi aspettavo più professionalità... "
Ares lanciò uno sguardo cattivo e truculento verso il giovane cugino. Le sue labbra scattarono rabbiose e la sua mascella parve tremare, come se potesse esplodere e frantumarsi in mille schegge da un momento all'altro. La ruga che gli solcava la fronte si fece più profonda e più scura, mentre gli occhi si indurirono come corazze. Dopodiché, sbatté il foglio di papiro a terra e prese a girare attorno ai troni con sofferenza e passo adirato. Urlò: "Non bisogna affidare un esercito ad un ragazzino privo di esperienza, per Ade!"
Gli occhi di Tristan trasalirono: le sue sopracciglia si alzarono sorprese sulla fronte. Eppure, non sembrava né offeso e né rabbioso, perché Tritone conosceva la propria forza. Era piuttosto stupito da un simile affronto. Raggiunse Ares e gli si piazzò davanti, con il giovane volto che tradiva molta più espressività. "Oh, questo non dovevi dirlo, Ares. Questo ragazzino si è occupato di addestrare un intero esercito quando il dio della guerra era troppo impegnato a gustare la nudità di Afrodite."
L'offesa giunse piccante e calda alle orecchie di Ares che deglutì rumorosamente e tacque, osservando gli sguardi allibiti delle altre divinità assise sui troni. Poi rivolse uno sguardo ad Afrodite e la donna voltò il capo, nascondendo il viso arrosato dietro la mano.
Dianna vide Ares vacillare, sfregiato nella verità. E vide anche Tristan sorridere beffardo e soddisfatto dinanzi ai suoi occhi. Dunque, la sirena chinò il capo, temendo uno scontro improvviso tra due indoli dalla forza irreparabile e dall'ira incolmabile, ma vide solamente Tritone voltarsi e allontanarsi da Ares.
Infatti, Tristan si avvicinò ad Afrodite, tese un braccio verso di lei e le voltò il viso. Osservò la sua bellezza, ma non la contemplò. Bensì disse: "Credo che..." si finse amareggiato, "dovrò uccidere uno dei tuoi tanti figli in battaglia."
"Chi?" Afrodite si riscosse.
"Conosci Eryx?" Tristan sorrise.
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(Pubblicità ad Amore Ventoso di fromdarkness2star)
Finalmente compaiono gli dei dell'Olimpo! Ne ho descritti solamente alcuni, quelli che influenzeranno di più il corso della storia. Spero di averli descritti al meglio e con i giusti dettagli. Che ne pensate? Chi è il vostro preferito? Afrodite è un po' superba, Atena mi piace di più. Apollo è interessante. O perlomeno questo è ciò che penso io. Voi che ne dite?
Zeus sembra approvare il piano di Tristan, tranne Ares. Tra i due sembra che sta per nascere una grande discordia... mmh, si vedrà.
Per non parlare della "povera" Bentesicima che rimane spiazzata quando credeva di essere stata indicata da Zeus, mentre, in realtà, lui puntava Dianna. Fly down.
E della fine che ne pensate?
La guerra si sta avvicinando.
Votate e commentate! Grazie mille come sempre!
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L'inevitabile attrazione
ФэнтезиUna tremenda battaglia infuria nelle profondità del mare, dove le acque giacciono meditabonde. Dianna Cox, giovane sirena dalla bellezza fiammante, è costretta a rifugiarsi in un istituto della Virginia, quando Poseidone dichiara guerra alle vecchie...