Kassandros si ristabilì presto e in occasione di questo buon evento fu organizzato molto velocemente un banchetto in suo onore. Tuttavia, nessuno seppe dire cosa o chi avesse contribuito alla sua inaspettata ripresa, anche se ogni occhio si voltava sospettoso e grato verso Roda ogni qualvolta sorgeva il dilemma. I due non potevano dirsi una coppia, non si erano scambiati alcun omaggio e nessuno portava indosso un dono dell'altro, ma chiunque disponesse di un buon intuito non avrebbe certamente sottovalutato la dolce intensità con la quale si guardavano l'un l'altro.
Tristan era dunque felice, e probabilmente quei momenti erano i più gioiosi avesse mai vissuto, privi -a quanto pareva- di ogni sorta di preoccupazione e colmi invece di nuove grandi e piccole conquiste. La sua felicità cominciava dalla vittoria contro i Titani e finiva nella piacevole constatazione che a nessuno dei suoi cari amici e compagni di avventura era stata strappata la vita. Quella felicità, però, si tingeva di una sfumatura particolare solamente quando Dianna era al suo fianco. Vedeva nei suoi giovani occhi ancora inesperti una luce turchese che si manifestava con l'impeto di un'alba quando i loro sguardi si incrociavano.
Tritone, però, non si era ancora confrontato con il padre. O meglio, ancora non lo aveva affrontato. Nessuno dei due aveva richiesto un colloquio privato con l'altro, da una parte perché governava la rabbia e dall'altra la totale indifferenza. Tritone sapeva che avrebbe dovuto dirigersi a palazzo e presentarsi dinanzi al trono di Poseidone, ma non amava giustificare le proprie azioni, tantomeno quando queste erano giuste, quindi trascorreva le giornate all'aperto -talvolta in compagnia, talvolta in solitudine- ma non rientrava a palazzo se non quando avvertiva una pesante stanchezza che lo obbligava a distendersi.
Il piccolo convito era stato messo a punto con tutti i riguardi e vivande, piante di pleione, di ibischi blu e di aechmee; campanule e gladioli turchesi erano la sua cornice.
Kassandros era immerso in un notevole disagio, perché -a differenza dell'amico- non amava stare al centro dell'attenzione e il suo sguardo si alzò solamente per guardare Tristan e pregarlo silenziosamente di mettere fine al banchetto. Ma l'altro sorrise in risposta, si illuminò con gli occhi cielo ed i capelli dorati e, con una bracciata, si alzò con la sua lunga coda giada reggendo un calice di ambrosia tra le mani. Guardò i presenti: Alkeos che aveva perso un dito, Carano che sembrava invecchiato di dieci anni e Simeon che era sempre lo stesso. Alzò la coppa e invitò ad un brindisi. "A Kassandros, che neppure la guerra è riuscita ad uccidere."
Anche gli altri si alzarono, tuttavia con i calici già vuoti, ma fu il gesto a far comprendere a Kassandros di essere in qualche modo riconosciuto come colonna portante della millenaria compagnia.
Dianna contribuì con un sorriso, ma rimase seduta sul suo triclinio declinando l'invito di Tristan a bere dalla sua coppa. Di tanto in tanto lui la guardava, come se si aspettasse che dicesse qualcosa anche lei, ma la sirena rimaneva in silenzio. A differenza di quanto si poteva supporre, non era né in apprensione né triste, ma era annebbiata dal sollievo di vedere il suo amato incolume, vigoroso come prima, e, in più, non voleva usurpare con il suo coinvolgimento un simile momento di ritrovo tra gli amici.
Fu Tritone a rompere quello strano muro di ghiaccio tra i due corpi, chinandosi verso di lei, prendendole la mano e facendola alzare. La strinse al suo fianco avvolgendole un braccio attorno alla vita e lei si abbandonò alla sua possanza. Dopodiché, lui si rivolse ai presenti. "Da oggi tutto cambierà. Il mio posto, la nostra casa, non è più qui. Ho deciso di spostare il mio dominio nei mari della Cirenaica, in particolare nel presidio del lago Tritonide, che onora il mio nome." E rigirò con abilità il calice di ambrosia tra le sue mani, rischiarandone la superficie umida e appannata con il dito. "E voi verrete con me." Tristan spostò lo sguardo su Dianna e le loro fronti si sfiorarono. "E anche tu."
Kassandros sorrise, ma non fu necessaria una sua affermazione verbale per leggere e dedurre il suo assenso: si leggeva accuratamente nel sorriso screpolato e fedele quel medesimo desiderio di rinascita.
Simeon, d'altra parte, annuì con vigore, e persino il suo viso rotondo e solitamente arrossato divenne d'improvviso nobile.
Alkeos, invece, alzò la sua coppa. "Ti seguiremo. Il nostro posto è dove è il nostro re."
"Qual è il movente di questa tua decisione?" Carano non si era lasciato trasportare da alcuna reazione istintiva e rimase in attesa di una risposta alla sua domanda con un'espressione anziana ed indecifrabile.
Tritone, invece portatore di una bellezza che faceva da contraltare, giovane e azzardata, lo guardò perplesso.
Carano si spiegò meglio: "Vuoi fuggire da tuo padre?"
Dianna, che teneva le mani posate sulle braccia di Tristan, sentì sotto la pelle i suoi muscoli irrigidirsi e lo vide drizzare le spalle: lo faceva solamente quando doveva prepararsi per una discussione, oppure quando tentava di mantenere autocontrollo. Tritone inspirò forte e poi esordì: "No, affatto. Dovrebbe essere piuttosto il contrario. Con il gesto che ho compiuto ho disconosciuto la sua supremazia e dovrebbe essere la sua vergogna e il suo improvviso riconoscersi inferiore a portarlo ad eclissarsi dalle scene olimpiche. Io non temo né lui, né nessuno. Ma ho deciso piuttosto di lasciargli il suo mondo, il suo mare, il suo trono. Lui ha il suo impero." Scandagliò gli amici con lo sguardo per assicurarsi che le sue parole stessero facendo breccia nei loro animi. "Io voglio il mio."
Carano annuì e le sue domande furono saziate da una risposta più che completa e articolata. In realtà, l'avrebbe considerata anche quasi superba, ma persino questo sentimento da sempre descritto come acre e negativo assumeva un colorito affascinante in Tristan.
Simeon interloquì con un sorriso malizioso. Ammiccò e si sporse verso Dianna. "E lei? Non è forse giunta ora di prenderla in sposa?"
Dianna alzò il capo verso Tritone e lui la sentì trattenere il respiro per un lungo istante, forse per soffocare la speranza che nutriva in una sua replica affermativa e forse anche per sopprimere quest'illusione qualora non fosse andata a buon fine.
Tristan strinse Dianna ancor più a sé e, silenzioso, sorrise. Nascose la sua risposta dietro la coppa di ambrosia che portò alle labbra.
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Bentesicima si avvolse attorno alle spalle una grande mantella rosso fuoco, la assicurò alla spalla con una grande fibula d'oro intarsiato e con un veloce gesto della mano spostò i capelli sulla spalla sinistra. Ora sembrava una bellissima -perché chiunque avrebbe ammesso lo fosse- donna greca in vesti romane. Si guardò intorno, appena posò i piedi sulla grande distesa sabbiosa che qualche giorno prima aveva fatto da terreno di guerra: qua e là si riconoscevano ancora grandi chiazze di sangue, che probabilmente sarebbero rimaste in eterno in ricordo di un'esiziale sofferenza, e un buon occhio avrebbe persino distinto i resti di alcune armi scheggiate. Per il resto, la sabbia si sollevava di tanto in tanto sotto improvvisi zufoli di vento, gelidi e inaspettati, che costrinsero la principessa a stringersi sotto il tessuto della sua mantella. Nonostante la primavera fosse oramai giunta alla fine del suo corso, il mare aveva una parvenza grigia, come se la sua energia fosse muta e necessitasse di una miccia per manifestarsi in tutta la sua altrimenti originaria bellezza, e il cielo non faceva altro che riflettere il torpore della tavola marina.
In quel quadro spento, cupo e quasi emaciato, Bentesicima era come una fiammella, con la sua postura fiera e i colori che aveva indosso che l'accendevano più di quanto non facesse il suo stesso temperamento.
Con le gambe ancora umide sotto il chitone bianco, camminò, costeggiando la riva, solitaria. E camminò per molto, fino a quando non oltrepassò il promontorio a settentrione che racchiudeva da un lato la grande distesa sabbiosa. Aldilà di questo, si apriva un altro enorme spiazzo naturale, tuttavia non deserto, bensì occupato da una decina di tende da campo. Bentesicima sorrise: sapeva che l'esercito di Eryx -o perlomeno ciò che ne restava- non si sarebbe mosso prima di venti giorni, quindi avanzò. Si avvicinò ad un paio di uomini esili e dall'aspetto macilento, le ossa gracili e le espressioni anziane, che stavano raccogliendo con la poca forza che rimaneva loro gli ultimi beni di cui disponevano, ovvero una spada, più o meno affilata, e un sacco di lana.
Bentesicima capì che era arrivata giusto in tempo -i soldati stavano per lasciare Alexandroupolis- e si lodò silenziosamente per il suo solito e involontario tempismo sinistro. Si fermò al fianco dei due uomini, fino a che essi non alzarono lo sguardo interrogativo e sorpreso, anche se esso aveva racchiuso in sé anche una forte eccitazione per la vista di una giovane tanto formosa.
"Possiamo..." iniziò uno, "aiutarvi...?" E poi si sporse verso Bentesicima ad orecchio ben teso in attesa che ella gli dicesse chi fosse.
"Non importa come mi chiamo." Bentesicima spostò l'attenzione verso l'altro soldato. "Cerco i vostri comandanti."
"Sire Eryx o Ippotoo?"
"Entrambi."
"Oh." Uno degli uomini, tra i due il più ingobbito, distese un braccio tremante e indicò la tenda più grande del piccolo campeggio, accanto alla quale sostava una sentinella rigidamente stretta nella sua divisa formale e che reggeva un vessillo nero e dorato.
Bentesicima sorrise. "Vi ringrazio." E camminò ancheggiando verso la tenda, attirando gli sguardi dei pochi soldati che si affacciavano dalle loro tende per rivolgerle una segreta ammirazione. Giunse ben presto davanti alla sentinella che subito si parò in difesa dinanzi all'accesso alla tenda. La guardò e inclinò il capo. "Sono Bentesicima, figlia di Poseidone e principessa dei Mari."
La sentinella spalancò gli occhi e strinse a sé l'asta con il vessillo. "Siete un nemico."
"No, nient'affatto. Vi prego, lasciatemi entrare."
Forse distratto dal suo fascino, la sentinella considerò dopo qualche istante l'idea e si affacciò dentro la tenda per comunicare ad Eryx e ad Ippotoo chi li attendeva. Poco dopo, si udì una voce che disse: "Lasciala entrare."
A quel punto, la guardia si spostò lateralmente di un passo e Bentesicima entrò, scostando i veli della tenda con le mani bianche e morbide. Alzò con sussiego il mento e allungò leggermente una gamba in avanti, assumendo posizione. Dopo poco, la sua mantella smise di oscillare. Guardò i due fratellastri che, sotto la luce di una debole fiammella, stavano giocando a petteia con i capi inclinati verso la damiera. Quando la videro, entrambi alzarono gli occhi.
Eryx fu il primo a sollevarsi e a camminare verso Bentesicima, con due occhi che non tradivano rivalità e che non riconoscevano la principessa come la sorella del suo più grande nemico, bensì come una bellissima femmina... aggressiva e vorace.
Eryx, con i capelli che ora rasentavano le spalle e una sottile barba ispida e incolta che puntellava le sue guance, si avvicinò alla principessa, forse tagliando anche eccessivamente le dovute distanze tra i loro corpi. "Posso aiutarvi?" disse.
Bentesicima guardò brevemente Ippotoo, che aveva una mano involta in una benda, e poi tornò ad Eryx. "In effetti, sì."
"Prego, dunque."
"Ho bisogno del vostro aiuto."
"Ebbene, dite."
La principessa arcuò le labbra in un sorriso malefico e rivolse ad Eryx il suo più sensuale sguardo che aveva il potere di rendere i suoi desideri realtà. Vedeva, o più che altro percepiva, l'instabilità del giovane che correva nelle sue vene, mischiata all'emozione arcaica e potente malcelata con un'incrinata volontà, e per questo sapeva che l'avrebbe ascoltata e accontentata.
Alla fine, Bentesicima parlò e guardò anche Ippotoo: "Voglio che prendiate quella sirena, quella sguattera che sta al fianco di mio fratello. Fate di lei quello che volete, eliminatela, sfruttatela... vi lascio libera scelta. O, se preferite, consegnatemi la sua testa su un vassoio d'argento, ma curatevi prima di tagliarle i capelli." Teatralmente, Bentesicima prese a camminare per la tenda. "Sono troppo lunghi."
Eryx si voltò e seguì i suoi movimenti. Deglutì dinanzi alle sue forme, ma era evidente come la proposta gli avesse incendiato l'ego. "È questo tutto ciò che chiedete?"
"Sì."
Ora, fu Ippotoo, ancora seduto a terra, ad intervenire: "E quale sarà la nostra ricompensa?"
Eryx annuì: il fratellastro lo aveva preceduto nella domanda.
Bentesicima arricciò le labbra soddisfatta, poi le distese in una linea morbida e rossa. Nei suoi occhi divampò la fame di vendetta e, con assoluta disinvoltura, si liberò della sua mantella, la fece cadere a terra e poi sciolse i lacci del suo chitone, che scivolò via dal suo corpo. Ora rimase completamente nuda, come suo padre l'aveva generata, dinanzi agli occhi dei due giovani, con la pelle sfregiata di una bellezza impura, le gambe lunghe e la sua femminilità ben esposta. Tuttavia, nel suo sguardo non correva timore o pudore. Era a suo agio nella sua nudità ed era ancor più a suo agio nel sentirsi ammirata.
Ippotoo si alzò immediatamente e drizzò le spalle, deglutendo più volte la bile che gli saliva alla lingua e arrossì.
Eryx, invece, al contrario, impallidì, e il suo sguardo iniziò a correre velocemente dalle sue cosce alla sua natura nuda, dai suoi seni grandi e rotondi al suo collo regale.
Entrambi gli uomini rimasero interdetti per un lungo istante, gli occhi che erano magnetizzati sul corpo di Bentesicima, e si sollevò persino un'imprecazione di assenso.
Fu Eryx a rompere il silenzio per primo, sebbene sentisse la risposta fisica della grande eccitazione che lo travolgeva. "È un inganno o... ci promettete che onorerete... davvero il patto?" Avvampò.
"Posso onorarlo anche subito, se volete." Bentesicima era conscia della propria bellezza.
Eryx le si avvicinò e si sentiva sempre più schiavo del suo corpo. "Ora, dite?" E le si parò dinanzi: ora riuscì a vedere meglio i capezzoli rosati e gli risultò difficile stringere le mani a pugno per impedirsi di toccare quella bellezza proibita. Poi disse, rivoltò a Ippotoo: "Dobbiamo scegliere chi tra noi due avrà la precedenza, fratello."
Ma rispose arguta Bentesicima: "Potete avere entrambi la precedenza."
Ippotoo, alle spalle di Eryx, bofonchiò: "State dicendo che..."
"Sì," si affrettò a dire lei.
Eryx sollevò lo sguardo sugli occhi di Bentesicima per la prima volta dopo un lungo istante. "Non credevo di avere una sorellastra così bella e... sfrontata."
"Evidentemente non mi avevate ancora conosciuto." Bentesicima ricordò: anche Eryx e Ippotoo erano figli di Poseidone. Erano i suo fratellastri. Ma non le importava. Ora l'avrebbe attesa una lunga ed intensa mattinata.
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Dunque, la situazione inizialmente sembra essersi ristabilita: Kassandros si è ripreso (contente? Ma vi pare che lo facevo morire ahahahah, lo stra-adoro!) e Tristan organizza un banchetto in suo onore. Carano stuzzica l'ego del figlio di Poseidone e quest'ultimo risponde che vuole il suo ed esclusivamente suo impero. Che ne pensate di questo discorso? Chi, come me, si offre come suddita? *alza la manina*
E poi... ehehehe, l'accenno al matrimonio. Chissà, Simeon l'ha menzionato, ma bisogna vedere cosa vuol dire il sorrisetto in risposta di Tristan.
E passiamo alla ragazza che tutti amiamo: Bentesicima, XD. Era ovvio che mettesse lo zampino e che volesse rovinare la vita a Dianna. Sa che è oramai l'unico modo per colpire il fratello. E chiede dunque l'appoggio di Eryx e Ippotoo (che falsa ipocrita! E' una banderuola!) proponendo loro... uno scambio. Insomma, e che scambio. Che put....., vero? Poi capirai, figuriamoci se Eryx e Ippotoo si tiravano indietro, pff.
Secondo voi... cosa faranno Eryx e Ippotoo? Fatemi sapere che ne pensate del capitolo, votate e commentate! Grazie mille a tutti!
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L'inevitabile attrazione
FantasyUna tremenda battaglia infuria nelle profondità del mare, dove le acque giacciono meditabonde. Dianna Cox, giovane sirena dalla bellezza fiammante, è costretta a rifugiarsi in un istituto della Virginia, quando Poseidone dichiara guerra alle vecchie...