Capitolo 53

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I giorni cambiavano, i mesi cambiavano, le stagioni cambiavano, ma il Massbury Institute era sempre lo stesso. Sembrava non cambiare mai.
Anche quando le porte di quella teorica primavera furono aperte, attorno alla grande scuola biancheggiava ancora una gruma impenetrabile, misteriosa come una selva scura e boscosa.
Jana ed Elena, oramai da qualche minuto, si erano avvicinate al cancello dell'istituto, senza tuttavia toccarne il filo spinato, e osservavano il tramonto di fine marzo attraverso i fitti spiragli di luce tra una grata e l'altra.
Non era un tramonto ordinario.
Era un tramonto rosso.
Il sole, oltre la piana del fuoco, calava lentamente dietro i promontori frastagliati sul mare, mostrandosi nitidamente alle ultime luci del giorno, sfoggiando la sua grande groppa gialla che si apriva sull'oceano come un ventaglio perfetto. La foschia rossa che accompagnava il suo tramontare sembrava essere stata soffiata da una trombetta che sputava porpora. Ad Occidente, invece, i colori della notte sopraggiungevano affaticati, come vecchi contadini che sospirano spossati con pesanti sacchi sulle spalle, marciando sempre più velocemente per oscurare la vivacità di quei colori caldi.
Jana ed Elena neppure si accorsero della rapidità con cui venne la sera.
Quando Jana -che da tempo aveva iniziato a camminare con la forza di spirito di un fantoccio attorno al bordo di un tombino- fece per aprire bocca per sospirare sconfortata e frustrata, un avvicendarsi di passi che raschiavano sull'asfalto attirò la sua attenzione: oltre il cancello, Byron e Kristiàn risalivano il pendio con le mani sulle ginocchia e respiri glaciali ad ogni passo. Sulle loro fronti riposava un velo denso di sudore, che le prime stelle della notte illuminavano fiocamente, mentre le loro labbra erano schiuse per catturare rapidamente ogni respiro come parassiti.
Byron, una volta giunto dinanzi al cancello, ne guardò le alte grate che terminavano come un fusolo e, al pensiero che avrebbe dovuto scavalcarlo, scosse il capo in un gesto disperato. Kristiàn, alle sue spalle, lo imitò pedissequamente.
Quando, con uno sforzo disumano che lo lascio brancolare sul cortile sterrato e umidiccio dalla pioggia del giorno precedente, Byron cadde dall'altra parte del cancello, stremato sino ai precordi, Jana lo aiutò a rialzarsi. "L'avete trovata? Era a Boston?"
Byron annuì e si lasciò del tempo per recuperare il respiro e rispondere: "Sì, ma... ma il... l'autobus si è fermato alla stazione e... e la casa editrice era lontana e... e abbiamo dovuto percorrere quattro miglia a piedi per raggiungerla... con due agenti della polizia che ci taccheggiavano perché... perché credevano fossimo dei trafficanti di droga. Quel bastardo di Tristan è sparito... con la Chevy Camaro."
Kristiàn lo raggiunse, scavalcò il cancello con qualche difficoltà in più e un ago del filo spinato gli si conficcò nel polpastrello del dito indice. Dopo aver lanciato un uggiolio per un istante, disse, rivolto a Byron: "Sei tu che attiri l'attenzione di tutti!"
"Non è colpa mia se sono bello!" Poi, drizzando le spalle, allungò una mano verso la tasca posteriore dei suoi pantaloni e vi estrasse un opuscolo azzurro. Lo tese verso Elena. "Tieni."
La ragazza lo afferrò con attesa ed impazienza, mentre lo sguardo era dipinto delle sfumature dei sogni, dell'ansia e dell'ambizione. Rimase a fissare le informazioni di contatto e i numeri telefonici della casa editrice stampati sopra il piccolo fascicolo e solo dopo essersi estraniata per un lungo minuto dalla conversazione, riprese familiarità con la realtà. Alzò lo sguardo selvaggina verso Byron e Kristiàn. "Com'era la c-casa editrice?"
Byron fu il primo a rispondere: "È un covo di svitati. Davanti all'edificio c'è un grande parco dove ragazzi cervellotici, occhialuti e con i brufoli stavano appollaiati con un libro in mano, sperando che qualche editore si affacciasse da una delle finestre e urlasse loro Salite, vi facciamo diventare scrittori! Lo trovo così umiliante."
Elena sembrò delusa e lo sguardo lucente nei suoi occhi si spense per un istante, per poi riaccendersi subito dopo con una nuova speranza. "Non avete null'altro da... da dire?"
Byron intervenì: "Ah, sì! Un pipistrello si è schiantato contro il finestrino dell'autobus durante il viaggio di ritorno."
Kristiàn riflesse: "Forse era un vampiro..."
"Vanno ancora di moda i vampiri?" Byron si voltò verso il compagno con la fronte corrugata.
Dopodiché, i quattro ragazzi, in tutto silenzio per non svegliare la furia appiattita di Mandy dentro il suo ventre gonfio, si avviarono verso il portone d'ingresso dell'istituto, che, alle loro spalle, si richiuse con un sinistro cigolio che li fece sobbalzare. Quando salirono le scale ricurve che s'intrecciavano come nuvole al cielo verso il primo piano, Elena estrasse una piccola torcia dalla tasca interna della sua giacca e la accese per illuminare i gradini e l'opuscolo che ancora era intenta a divorare con lo sguardo. Jana, richiamata dall'appassionata attenzione che l'amica riservava al foglio di carta, si sporse per leggere oltre la sua spalla. "Pubblicano solamente romanzi storici, d'azione, d'avventura, fantastici, d'amore, gialli, rosa, blu, verdi." L'ironia prese il sopravvento nella voce di Jana quando terminò la frase. "Credo dovresti mirare ad un'altra casa editrice," bisbigliò.
Elena si fece perplessa e si fermò sulle scale. "E perché?"
"Perché non accettano le biografie!"
Dopo aver tratto un grande sospiro, chiuso gli occhi e ruotato la torcia in modo da illuminare forse troppo fervidamente il volto di Jana, che si scostò abbagliata, Elena disse con pacatezza: "Non scriverò un... libro sulla tua vita, Jana."
Quest'ultima agitò le mani davanti al viso con la furia di un demonio ed imprecò affinché Elena scostasse la torcia. "Perché no? Non vuoi scrivere dei nostri tentativi per recuperare questa?" E, da una tasca, agguantò e le mostrò la cassetta musicale degli AC/DC confiscatale tempo addietro.
Elena fu seria e concisa. "No."
Jana, che aveva salito qualche gradino in più, posò le dita sul corrimano e ridiscese curiosa. "E allora cosa stai scrivendo?"
"Un libro riguardo a Dianna e Tristan."
Il volto dell'altra divenne una sfinge, impenetrabile. Il suo sguardo duro non sarebbe stato sciolto neppure dai più caldi raggi di luglio. Si pietrificò e le parole di Elena la raggiunsero come un oltraggio imperdonabile. Jana era offesa. "Dianna ci ha abbandonato e tu le dedichi un libro? Non hai neppure un po' di dignità nelle vene?" La squadrò con occhio amareggiato e sprezzante.
"Dianna non ci ha... abbandonato."
"Oh, no, davvero." Il tono ironico di Jana riverberò con un'eco furibonda tra le pareti che costeggiavano il viale scalinato. "Avrebbe potuto salutare prima di sparire con il biondo per una fuga romantica."
"Non è sparita per... per una fuga romantica." Elena era irremovibile.
Jana si fece sospettosa e ogni volta che lo era inclinava il capo sulla spalla destra. "E tu come lo sai?" incalzò.
"Lo so e b-basta."
Jana ruotò lo sguardo al cielo e l'impazienza prevaricò sul suo autocontrollo. Con lacrime di frustrazione agli occhi, strinse le labbra in un sigillo e la sua pelle si raggrinzì sotto l'espressione triste. Sbatacchiò un braccio contro il corrimano e si girò adirata, salendo le scale e voltando le spalle all'amica. "Perché tutti sanno tutto e io non so mai niente?" La sua voce si fece sempre più lieve e lontana. "Tu preghi divinità astratte, sei una sottospecie di chiaroveggente e inizi ad urlare come un lupo mannaro durante la notte; Byron è bipolare una volta al mese e nei restanti trenta giorni è il solito bastardo muscoloso adatto alla pubblicizzazione di esercizi anti-cellulite e mio fratello fissa le stelle ventitré ore su ventiquattro, studiando galassie, pianeti e asteroidi come se fosse esploso anche lui nel Big Bang," sbraitò. E poi, sventagliando confusamente una mano in aria, disse con tono scorbutico: "Andate tutti al diavolo!" E sparì lungo il corridoio.
Elena rimase interdetta, ma non fu sorpresa dalle parole della compagna. I suoi dubbi, le sue rabbie e le sue frustrazioni erano lecite. Solamente il tempo le avrebbe curate. Così, pensando tristemente che al suo fianco, ora, non c'era Dianna a domandarle ingenuamente cosa fosse un lupo mannaro, cosa fosse il Big Bang e cosa significasse andare al diavolo, salì anche lei le scale, stringendo l'opuscolo della casa editrice al petto.
Intanto, a Byron e Kristiàn, poco più addietro, restavano ancora una decina di gradini da percorrere per raggiungere i corridoi. Kristiàn si fermò ad un pianerottolo e si sporse oltre la piccola finestra che vi si affacciava e che illuminava debolmente la rampa. Alzò il capo e, in silenzio, osservò le stelle che s'accendevano e si spegnevano, inseguendosi in quell'oceano di buio.
Byron gli si avvicino con un sospiro. "Ehi, amico, non c'è tempo per il romanticismo stellare, ora. Se Mandy dovesse trovarci finiremmo sulla sedia elettrica." Gli afferrò il braccio. "Muoviti! Cammina!"
Kristiàn si divincolò, ma il suo sguardo non si spostò. "No, aspetta."
"Che stai facendo?" La voce di Byron impennò di un paio di ottave.
"Voglio guardare le stelle."
"Lo potrai fare dalla finestra del nostro dormitorio, ma ora andiamo."
Kristiàn tacque. Fronteggiò la luce del manto celeste per un interminabile minuto, poi chinò il capo, abbattuto.
Byron, che lo aveva osservato per un lungo tempo, fece per dirgli qualcosa, ma Kristiàn lo precedette, dicendo: "Guardo le stelle perché qualcuno si è portato via la mia."
"Ascoltami, Kristiàn." Byron strinse la presa attorno al suo braccio e lo costrinse a voltarsi. Quando chiamava i compagni per nome, ciò era segno di serietà. Poi aggiunse: "Non puoi cambiare le cose. Dianna è sempre stata di Tristan."
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Il piccolo fiumiciattolo scorreva tra le rocce e portava con sé piccoli detriti aguzzi, che avrebbero viaggiato sino a riversarsi nel mare cristallino dell'Eubea. Al suo gorgogliare si aggiungevano lo stormire delle foglie e il canto lontano dell'usignolo, il quale si attorceva in note fluide e sinuose attorno a qualche tronco cavo adagiato sull'erba.
Era da poco trascorso il mezzodì e, impercettibilmente, il sole muoveva il suo cerchio di luce verso Occidente.
Tristan e Dianna sedevano sulla sponda del piccolo fiume, i piedi immersi nell'acqua e le chiome di capelli baciate dalla luce del sole. Se da una parte i bagliori del giorno risplendevano sui capelli dorati di Tristan, sprigionando sfumature color miele, dall'altra la luce pulsava sulle ciocche di Dianna e sollevava ombre rosse simili a faville infuocate.
Sembrava che nessuno dei due osasse proferire parola, come se ogni discorso languisse nelle mani silenziose della natura.
La schiena di Tristan poggiava contro il tronco di un leccio, al fianco del quale sgorgava una sorgente che lacrimava acqua limpida, trasparente e di fonte. Tritone allungò una mano, raccolse qualche goccia sul palmo e si passò le dita bagnate tra i capelli, per poi scuotere il capo e lasciare che l'acqua schizzasse in piccoli rigagnoli sulle spalle di Dianna seduta dinanzi a lui.
La sirena non osò voltarsi per osservarlo, ma sentiva la sua presenza nitida e calda alle sue spalle: avvertiva la possanza del suo petto premere contro la propria schiena e, d'un tratto, alcune gocce iniziarono a bagnarle la pelle e a seguire i contorni del suo viso.
Tristan si mosse alle sue spalle e sembrò scostare con la mano i lembi della sua clamide per estrarvi qualcosa. Poi, Dianna avvertì le sue mani trafficare attorno al suo collo con un oggetto e percepì il calore esalato dalle sue dita che cozzava con il fresco torpore dell'acqua che le bagnava i piedi. La sirena chinò lo sguardo e notò una collana allacciata al suo collo e la mano di Tritone che ne accarezzava per un'ultima volta il ciondolo, prima di risalire con una carezza lungo la sua giugulare e attendere una replica. Ad un cordone nero era appeso un ciondolo ambrato, dalla forma sferica e perfettamente arrotondata, sul quale sembravano incise le onde che un falò creava quando avvampava e si levava in fiammelle: riluceva di un alone dorato e poi rosso, a seconda dell'inclinazione della luce che brillava sul suo materiale. Era come se il fuoco fosse stato ritratto al suo interno.
Prima che Dianna potesse avanzare domande, Tristan disse: "Un giorno di molti anni fa, quando la Grecia era al culmine del suo splendore, quando Fidia iniziava a progettare il Partenone e tutte le più grandi potenze del mondo rivaleggiavano per emulare le meraviglie dell'Attica, avevo nuotato fino a costeggiare la riva del mare. Lì c'era un giovane che nascondeva questa collana nel palmo della mano. Dopo aver sussurrato una silenziosa dichiarazione d'amore, stava per allacciarla al collo della sua donna, ma ella gli disse che non potevano più incontrarsi perché suo padre l'aveva promessa in moglie al figlio di un arconte di Atene. Quando la giovane scappò, il ragazzo -che era in lacrime- scaraventò la collana in mare," pausò per un istante. "La raccolsi io."
Dianna soppesò il dolce tono incastonato in quelle parole e toccò il ciondolo. Lo rigirò tra le mani e sorrise, mentre una ciocca di capelli scivolava dalla sua crocchia sulla nuca e le accarezzava le ciglia. "È molto antica."
"Lo è."
Non lo ringraziò a parole, bensì si voltò e i suoi occhi mare si specchiarono nei suoi ghiaccio. Persino il suo sguardo sorrideva in gratitudine.
Tristan vide in quel volto pallido, acceso solamente dal colore splendente degli occhi e dei capelli che ricadevano scapestrati sulle guance, una bellezza eterna e inossidabile.
Le loro bocche si avvicinarono e Dianna avvertì i palpiti del suo cuore crescere e spingere verso il suo petto quell'energia fiammante che aveva nascosto nei meandri più bui della sua anima.
Le loro labbra s'incontrarono e si assaggiarono lentamente. In quelle di Tristan -che ora le aveva preso il viso tra le mani- Dianna ravvisava una passione scoppiettante, mentre Tritone, in quelle della sirena, vedeva ancora una tenera timidezza che indugiava.
Poco dopo, anche le loro lingue si accarezzarono e il calore dei loro respiri si mescolò. Il bacio si intensificò e anche Dianna posò le mani sul collo di Tristan e attirò il suo viso al proprio, mentre lui, esercitando una lieve pressione sulla sua schiena, l'attirò sulle sue gambe e prese a indugiare con la mano sulla veste della sirena: non sapeva se arrischiarsi a infilarvi le dita sotto e ad accarezzare quella pelle di rugiada, quindi continuò a baciarla.
Dianna riconobbe una forza superba in quelle labbra che dolcemente l'assalivano.
Non c'era alcuna traccia di debolezza nel modo in cui la stava amando.
Poi, alla mente le giunse il ricordo delle parole di Poseidone:
Non sarai grande come me. Non avrai regni né titoli. Il tuo nome non vivrà in eterno, Tritone. Sei un debole, un ragazzino viziato.
Dianna posò una mano sul viso di Tritone e allontanò per un istante le sue labbra dal proprio collo. Immediatamente, lo guardò. "Tristan, tu non sei debole."
L'altro alzò lo sguardo stupito e turbato per guardarla in viso. Aggrottò la fronte e incurvò le sopracciglia sugli occhi ora cupi, confuso e frastornato. "Perché mi dici questo?"
"Non lo so."
"Parla," incalzò Tristan con voce ferma.
Dianna osservò le proprie dita in grembo e lasciò che, per la foga e l'intensità del momento, l'unghia del suo pollice martoriasse il palmo della sua mano. "Tutti hanno paure e dubbi, anche tu. E se la debolezza rientra tra questi, sappi che sei il giovane, l'uomo più forte che io abbia mai conosciuto. Mi hai salvato la vita e hai esposto alle intemperie il tuo cuore per me." Alzò la mano e gli accarezzò la guancia, mentre lui la guardava taciturno, aprendo e schiudendo le labbra sempre sul punto di dire qualcosa. Dopodiché, la sirena avvertì due parole bruciarle in gola, quelle due parole, ma gli occhi di Tritone erano talmente vicini e indagatori, che tutto ciò che le uscì dalle labbra fu: "Io tengo a te, Tristan. Tu non sei debole."
Il giovane mascherò la sorpresa e l'aspettativa, e ruotò lo sguardo in ogni direzione. Poi lo rialzò e il sole si specchiò nelle sue iridi. In un gesto veloce, si rimise in piedi e Dianna cadde supina al suolo. Lui mise mano alla spada, la sguainò e la puntò alla gola di Dianna, accarezzandole il collo con la lama, mentre lei lo osservava confusa e con il cuore annegato nell'attesa.
Poi Tristan disse e la sua voce si confuse con il canto della natura: "Dunque neanche la mia donna deve essere debole. "
Dianna alzò un sopracciglio.
"Come l'esercito, anche tu devi essere addestrata."
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Finalmente abbiamo ritrovato Jana e tutta la band al seguito. Vi erano mancati? Tenete a mente il dettaglio di Elena che manda Byron e Kristiàn a prendere un opuscolo della casa editrice, servirà nella storia.
Che ne pensate del loro ritorno? E di Jana che si sente esclusa? Povero Kristiàn, secondo me potrebbe davvero essere esploso anche lui assieme al Big Bang!
Non sono mai stata una fan di Kristiàn, ma le sue ultime parole sono dolci, e ora anche Byron dice la sua.
Ma tornando a Dianna e a Tristan... quella collana rappresenta la forza. E finalmente ho inserito un momento intimo e romantico per i due piccioncini!
Che ne pensate del finale? Come l'addestrerà? Dianna saprà reagire oppure accadrà altro?
Fatemi conoscere il vostro parere, votate e commentate! Grazie mille a tutti ❤

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