Con archi in spalla e faretre alla cintura, Tristan e Kassandros procedevano verso la grande radura -l'unica del circondario- che disponeva di un ottimo scorcio dal quale si potevano mirare i migliori esemplari di cervo della zona. Camminarono in silenzio e si udì solamente il riecheggio delle frecce che, dentro le faretre, tintinnavano nel fervore dei passi.
Kassandros indossava una lunga clamide, e così anche Tristan, ma il primo sembrava non essere particolarmente a suo agio con l'indumento perché il tessuto sfregava fastidiosamente contro la ferita di guerra sul petto che si stava poco a poco rimarginando. Tuttavia, mantenne ugualmente un passo sostenuto e, forse per la libertà di godere di un attimo di pace o forse per la gioia di aver ritrovato un momento in solitudine con il suo fedele compagno, Kassandros alzò lo sguardò verso il cielo, ma non lo vide: bensì, essendo già entrati nell'emiciclo ombrato della radura -se non per qualche debole e sporadico raggio di luce- vedeva sopra il suo capo solamente l'intreccio verde del fogliame degli alberi che protendevano e stendevano i loro rami.
Tristan, invece, manteneva uno sguardo chino e mai in tanti anni di vita aveva osservato così a lungo i lacci dei suoi sandali, e se qualcuno gli avesse domandato la ragione di questa sua improvvisa e tacita meditazione, non avrebbe saputo fornire una risposta esaustiva. Non sapeva neppure lui cosa, inconsciamente, lo turbava, e non voleva neanche accostarsi al pensiero che qualcosa potesse discrepare la sfera di tranquillità che aveva costruito poco a poco in quei giorni, quindi decise di attribuire quel suo silenzio alle recenti giornate austere. In effetti, da molti giorni il sole si nascondeva o, se decideva di mostrarsi, lo faceva solamente per un breve lasso di tempo, per poi tornare al suo metodico e immoto letargo.
I due amici giunsero dinanzi ad un piccolo scorcio, che si apriva su un elegante panorama tipicamente paesaggistico: pareva un quadro, dipinto dalle veloci pennellate di un pittore esperto, la cui mano era riuscita a disegnare un piccolo ruscello che correva in una stretta gola costeggiata da qualche albero solitario. Tristan riuscì ad accennare un sorriso e ricordò i momenti trascorsi lì, con Dianna, dall'attimo in cui le aveva allacciato la collana al collo a quello in cui avevano allacciato le spade, da quello in cui lei aveva iniziato a cantare melodiosamente a quello in cui lui si era incamminato con la testa ancora roboante e le parole di Saffo dolci sulle labbra.
Tritone, come Kassandros, abbassò dalla spalla il suo arco, sfilò una freccia dalla faretra e la posizionò velocemente tra la corda tesa, ma sentiva le braccia deboli e, quando dovette scoccare il colpo per mirare ad un cervo di passaggio, le dita gli tremarono e la freccia si limitò solamente a disegnare una lunga parabola nell'aria, conficcandosi poi a terra fallendo la mira. Tristan sospirò, attese che Kassandros scoccasse la sua freccia e poi si alzò adagiato distrattamente l'arco sull'erba e guardando oltre, anche se un oltre non c'era. Semplicemente guardava il vuoto, come se i suoi pensieri si perdessero in altro.
Kassandros, però, conosceva troppo accuratamente il suo amico per non essere indotto a domandargli qualcosa. Gli chiese allora: "Attendo spiegazioni."
"Non c'è nessuna spiegazione."
"Sei silenzioso."
"Sì."
Kassandros, ancora accosciato a terra, badò per un istante all'arco che reggeva tra le mani, lo liberò della freccia e ne accarezzò la corda. "Una volta la caccia ti piaceva."
"E mi piace ancora." Improvvisamente, Tritone si riscosse con un impercettibile movimento del viso e lo sguardo prese a correre altrove, ora animato. "Ma non voglio uccidere. Ho già sporcato le mie mani di sangue di recente. Non voglio farlo ancora con animali innocenti."
"Potrei scommettere su Zeus che in fondo a questa tua passività c'è il nome di Poseidone, non è così?" Kassandros parlò quasi con una vena ironica e sbarrò gli occhi per donare enfasi alle sue parole quando si alzò e ripose la freccia nella sua faretra. Stette in silenzio ad attendere una risposta, che, però, non fu immediata.
Tristan mascherò l'acredine dietro un'increspatura delle sopracciglia. Tornò a fissare lo sguardo nel nulla. "No. So che si lamenta ripetutamente con mia madre e con i suoi funzionari per il mio atteggiamento e so anche che a corte la mia reputazione è stata infangata, e forse è iracondo proprio per il fatto che nulla di tutto ciò sembra toccare la mia attenzione o suscitarmi qualche reazione." La sua perfetta figura sembrò slanciarsi ancora di più quando gonfiò il petto egemone in un sospiro.
"Perché?"
"Perché ti ho detto che nulla che ha a che fare con mio padre ci riguarderà più. Te l'ho detto, Kassandros, ce ne andremo." Quasi per accompagnare il significato delle sue parole, si chinò e raccolse il suo arco mettendoselo in spalla, quasi a simboleggiare un'imminente partenza.
Kassandros non rispose, ma annuì: sapeva bene che in quei frangenti avrebbe collaborato al meglio con il silenzio, dato che conosceva sin troppo bene la sensibile suscettibilità di Tritone e sapeva come questa sarebbe stata capace di tramutarsi in odio se maneggiata troppo a lungo.
Muovendo un passo e facendo per allontanarsi, fu Tristan a virare l'attenzione su un altro argomento: "Tu e Roda vi siete avvicinati molto."
Kassandros chinò il capo e per un breve istante sembrò arrossire. Poi rispose solamente: "Sì."
Tristan accennò un sorriso, mostrandosi così lontano dai discorsi precedenti che lo avevano fastidiosamente coinvolto. "E a cosa si deve questo?"
"Al fatto che tua sorella -Bentesicima, dico- sembra aver capito che non sortisce alcun effetto su di me."
Tritone si abbandonò ad un pesante, rumoroso e anche melodrammatico sospiro. Alzò gli occhi ed osservò le striature bianche del cielo che sovrastavano il largo appezzamento sabbioso che portava alla riva, ripetendo più volte tra le labbra il nome di Bentesicima. "Strano," disse poi, "solitamente non è così facilmente arrendevole."
"Forse perché non sono io ciò che lei desidera fervidamente."
Tristan voltò il capo verso l'amico e si fermò. Era confuso. "Che vuoi dire?"
L'altro fece scivolare l'arco dalla spalla e lo posizionò verticalmente, in modo che toccasse la sabbia, e vi si appoggiò leggermente. Tristan capì che quell'inconscio movimento simboleggiava il desiderio di liberarsi di un peso, di un fardello che gravava sulle spalle. Kassandros azzardò: "Ancora non lo hai capito?"
"Che cosa dovrei capire?" La voce di Tritone impennò e ciò avveniva solo quando stava lentamente perdendo la pazienza.
Kassandros ruotò gli occhi. "Ha presto abbandonato il desiderio di avermi, ma è imperterrita nell'odiare Dianna e nell'infliggerle gratuitamente un dolore che non merita. Tra le due non ci sono trascorsi, Bentesicima nutre nei suoi confronti un sentimento d'acredine che Dianna non ha mai voluto alimentare. Te ne sei mai domandato la ragione?"
Tristan restò immobile, pietrificato nel corpo, nei movimenti, così come nella mente. Era come se d'un tratto la sua logica non disponesse più di fili conduttori per collegare facilmente le questioni e sfoderare conclusioni. Le sue capacità sembravano bruciate.
Kassandros, che lesse il volto dell'amico, aggiunse con una scrollata di spalle: "Sarò diretto: Bentesicima odia Dianna perché quest'ultima ha quello che lei vorrebbe."
"Cioè?"
"Te."
Tristan reagì prontamente, ora, ma probabilmente non come l'ipparco era sicuro avesse reagito. Bensì, dapprima mascherò la sorpresa dietro labbra che tremavano, poi scoppiò in una fragorosa risata, la quale venne accompagnata dalla sua chioma bionda che si reclinava all'indietro. Però, era una risata che, effettivamente, covava in sé dei dubbi.
Kassandros, in risposta, rimase assolutamente impassibile. Gli occhi erano quasi duri e la stazza sembrava più massiccia nella sua seriosa fierezza. Fissò l'amico tanto intensamente da indurlo a prendere in considerazione le sue parole.
Quando Tristan si riprese, sussurrò ancora con le risa sulle labbra: "Io e Bentesicima ci siamo sempre odiati."
"Tu l'hai sempre odiata. Forse lei no. Lei sta cercando di essere l'unica donna della tua vita, a te questo infastidisce, ed ecco perché la odi. Ed ecco anche perché lei odia Dianna. Quale altro motivo avrebbe per detestare una sirena che non le ha mai nuociuto in alcun modo?"
"Kassandros..."
"No, no!" La voce stridula tra i denti dell'ipparco non ammetteva repliche. Camminò a grandi falcate verso l'amico e l'arco che reggeva sprofondò a terra con un pesante tintinnio. Posò le mani sulle spalle di Tristan e lo scosse, come se in questo modo potesse scuotere anche i suoi pensieri. "Anche Zeus ed Era erano e sono fratelli, per Ade! Ti reputi sempre un passo avanti a chi ti circonda, Tritone -e questo è un atteggiamento fastidiosissimo, ma tengo a te ugualmente- e non sei mai riuscito a capire cosa nasconde realmente tua sorella?" La voce di Kassandros si fece più grave, più maestosa, perché le parole ribollivano in essa. Dopodiché, inchiodò l'amico con lo sguardo, da una distanza talmente ravvicinata che Tristan avvertì un brivido di consapevolezza corrergli lungo la spina dorsale.
Poco dopo, Kassandros staccò le mani dalle sue spalle, arretrò e raccolse ciò che rimaneva del suo arco, lo caricò in spalla e si avviò verso il mare. Fu un attimo perché si immergesse e ritornasse ad essere un tritone possente, sparendo tra le fauci schiumose dell'acqua.
Tristan, invece, era rimasto ancora lì, in piedi, sommerso da domande ma anche da risposte, che però non voleva cogliere: ne temeva l'affronto.
Trascorse qualche istante -o forse più tempo- e anche Tristan si avvicinò alla riva ripetendo tra i denti: "Non è possibile."
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Tristan e Kassandros si accomiatarono quando raggiunsero le porte d'ingresso al grande palazzo reale di Poseidone. Era talmente enorme, un dedalo di stanze, che Tritone vi entrò senza temere alcun incontrò con il padre: lo avrebbe semplicemente evitato. Nuotò con deboli bracciate, perché si fece strada invece con la lunga coda che sbatteva velocemente lasciando una tortuosa striatura bianca alle sue spalle. Voleva solamente trascorrere la giornata con Dianna, recuperare i momenti assieme e stringerla chiedendole perdono per il lungo tempo che aveva impiegato per metabolizzare la vittoria, e che aveva di conseguenza impegnato in luoghi lontani da lei. Ora voleva sentirsi privo di costrizioni e finalmente in grado di decidere liberamente cosa fare della sua eternità. Voleva raggiungerla, prenderla tra le braccia, baciarla a lungo fino a sentirsi sazio di lei ed elencarle le sue proposte: le avrebbe chiesto se era pronta per raccogliere le sue cose e fuggire con lui verso un nuovo regno, oppure l'avrebbe presa per mano e sarebbero ritornati al Massbury Institute, dove era nato il loro legame e dove erano nate delle amicizie. Qualunque desiderio di Dianna sarebbe stato esaudito.
Mentre nuotava veloce tra corridoi, stretti anditi e stanze vuote dove aleggiava una ricca vecchiaia, Tritone si rese conto di quanto avrebbe voluto, ora, fare l'amore con lei, sentirla di nuovo sulla pelle, sulle labbra, nel cuore, nell'anima. E avvertì anche le proprie membra animarsi a questo pensiero.
D'un tratto, quando stava per oltrepassare un'enorme camera circolare, che riconobbe essere quella di Bentesicima, si fermò, voltò lo sguardo e la vide assisa sulla sua poltrona, talmente sgargiante nei decori che pareva un trono. Tristan non seppe per quale ragione sentì di entrarvi: semplicemente lo fece e la vide impegnata a leggere -o a guardare- un libro dalle pagine talmente robuste da non poter essere intaccate dall'acqua, e a limarsi al contempo le unghie sfaldate. Di tanto in tanto, Bentesicima alzava la mano aperta dinanzi al viso, la allontanava e la osservava accuratamente inclinando il capo, poi l'avvicinava nuovamente a sé e correggeva con la lima le imperfezioni notate. Per quanto provasse a camuffarlo, Bentesicima era consapevole della presenza del fratello nella stanza, perché lui la vide contrarre la mascella e poi deglutire. Era come se le parole di Kassandros lo avessero spinto ad osservare più attentamente le reazioni della sorella.
Tuttavia, Tritone non la salutò, ma le chiese solamente con distacco. "Dov'è Dianna?"
Bentesicima alzò lo sguardo con aria seccata e rigirò la lima tra le dita. "Chi?"
"Dianna."
Bentesicima mugolò, ma ritornò a curarsi le unghie, facendo intendere come il discorso non fosse di suo gradimento. "Non lo so."
Prima che Tristan potesse replicare o semplicemente restare in un dubbioso silenzio, una nuotata frenetica irruppe nella stanza assieme ad un pesante ansimare. Roda, quasi in lacrime, gettò le braccia al collo del fratello e lui, istintivamente, la strinse, seppur non conoscendo le ragioni della sua agitazione.
"Oh, Tritone...! Io... l'ho saputo solo ora, me lo ha detto un funzionario di corte, o meglio, l'ho ricattato affinché me lo dicesse, perché... perché avevo capito che c'era qualcosa di... di strano, ma sono arrivata troppo tardi!" Roda prese a singhiozzare e d'un tratto parve una bambina che stenta ad esprimersi a parole. "Mi dispiace, t-ti giuro che avrei fatto qualun-que cosa se... se lo avessi saputo prima..."
Tristan allontanò da sé la sorella per guardarla in viso con sguardo allarmato. "A cosa ti riferisci? Non capisco."
"A Dianna," rispose Roda, sorreggendo lo sguardo del fratello. "Non... non è qui."
Mentalmente, Tristan già si vedeva impugnare una spada, ma non si abbandonò alle reazioni -non ora- ma chiese veloce: "E dov'è?"
"È... nel..."
"Dov'è?" incalzò maggiormente Tritone urlando.
Ne seguì una lunga pausa, un lungo silenzio: si udiva solamente il fastidioso grattare della lima sulle unghie di Bentesicima. Gli occhi di Tristan bollivano, in attesa.
Infine, Roda ebbe il coraggio di parlare, con la voce sinceramente rotta. Sospirò. "È nell'Ade."
Fu come un fulmine a ciel sereno: il cuore di Tritone si squarciò prepotentemente e i frammenti piovvero sotto forma di un'elettricità che, posandosi sulla pelle, sembrò quasi bruciarlo, lasciandolo possessore di cicatrici senza forma.
Si sentiva morto dentro.
Solamente dopo qualche istante, Tristan sussurrò: "Chi... perché?" Era confuso. "Chi è... stato?"
E nello stesso momento in cui la sua voce si sollevava leggermente sull'ultima parola per marchiare la frase di interrogatività, Tristan ebbe già la risposta. Il suo sguardo corse oltre Roda e guardò Bentesicima, poco lontano. Stava ancora guardando le sue unghie, ma era ben concentrata. La osservò. Con odio. Un odio, che tuttavia, era difficilmente distinguibile con una prima fugace occhiata, perché era nascosto nei dettagli: nel modo in cui la sua bocca scattava, nel modo in cui le sue narici si gonfiavano, nel modo in cui si mordeva la carne interna delle guance, nel modo in cui le sue pupille andavano dilatandosi.
Ma no, non era odio.
Era qualcosa di più.
Rivolto a Bentesicima, mormorò pericolosamente. "Tu... lurida puttana."
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Kassandros ha finalmente rivelato la verità -dal suo punto di vista- a Tristan. È come molte di voi temevano: Bentesicima cova dei sentimenti per il fratello. Il pensiero di un incesto.
Tristan è chiaramente scioccato e stenta a crederci, anzi, inizia a pensare al suo futuro con Dianna. Una Dianna che però non trova.
Ebbene sì, è nell'Ade.
L'ultima frase è la parte più bella di questo capitolo XD
Cosa accadrà? Fate delle ipotesi! Votate e commentate!
Grazie mille!
E, ultimo ma non per importanza, il mio pensiero oggi va a Parigi, all'intera Francia, nella quale è stata purtroppo "inaugurata" una nuova guerra, una guerra presieduta da umani senza umanità.
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L'inevitabile attrazione
FantasyUna tremenda battaglia infuria nelle profondità del mare, dove le acque giacciono meditabonde. Dianna Cox, giovane sirena dalla bellezza fiammante, è costretta a rifugiarsi in un istituto della Virginia, quando Poseidone dichiara guerra alle vecchie...