Capitolo 5

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Erano trascorsi quattro giorni dall'arrivo di Dianna nel Massbury Institute. Il letto scomodo della stanza del dormitorio e l'urlo tonante e pungente della sveglia mattutina non la spaventavano più. Si era abituata alle bizzarre novelle del terrore che Jana era solita raccontare allo scoccare della mezzanotte e si era abituata anche al silenzio meditabondo di Elena. Ciò non la corrucciava, perchè d'un tratto riusciva a vedere i contorni concreti che la sua nuova vita iniziava ad assumere.
Eppure non si era ancora adattata al triste sussurro della notte: essa aleggiava con prepotenza ed enigma. A volte pareva imprigionare l'istituto in una cupola di vetro, alla quale suoni e colori giungevano claudicanti e appannati. Quindi si stringeva tra le lenzuola e si obbligava a serrare gli occhi. Ma, quando la mattina si destava, nella sua mente scorreva un roboante sussurro monocorde.
E anche quello era un giorno piatto e tedioso come i precedenti. Il cielo era macchiato di un plumbeo compunto. Neppure il sole del primo pomeriggio riusciva a sconfiggere quella foschia nebbiosa, e tutto appariva eccessivamente debole.
Dianna carezzò la copertina del libro che reggeva tra le mani. Sedeva in un angolo del largo spiazzo circondato dal loggione serpeggiante della struttura, su una panchina dalle assi di legno stroncate. Non era un piacevole riparo contro la confusione, ma se non altro una fresca brezza sostituiva il solito miasma di stantio. Sciolse la salda presa della cravatta attorno al bavero della camicia e alzò lo sguardo: un gruppo caotico di studenti si agitava freneticamente nel piazzale, le uniformi sudicie affievolite sul bacino e i pantaloni impegolati di fanghiglia. I respiri affannati dei ragazzi correvano dietro una palla che rimbalzava stanca sul pietrisco; i loro occhi erano accesi di trepidazione, quasi avessero ritrovato la luce dopo un lungo periodo di oscurità.
Il loro sottile sghignazzare allegro, però, venne ben presto interrotto dall'arrivo di Mandy, la custode dell'istituto. Uno degli studenti si impegnò a nascondere velocemente la palla sotto la giacca nera dell'uniforme e ad assumere una rigida posizione impettita che non lasciasse trapelare alcunché al di fuori di compostezza e disciplina. I suoi compagni lo imitarono, accostandosi a lui con le braccia piegate educatamente dietro la schiena. Mandy, invece, si avvicinò con le mani sui fianchi e sporse verso di loro il viso raggrinzito, accartocciando la fronte importante e dilatando le narici di drago sul naso sgraziato. Poi rivolse la sua attenzione alla giacca gonfia del ragazzo, allungò tranquillamente il braccio flaccido e, con un triste sospiro, lo studente fu costretto a cederle la palla. Dopodiché, con un grido, intimò loro di uscire dalla sua vista.
Gli studenti guizzarono via con la testa incassata tristemente nel petto.
Dianna scosse allibita il capo e fece per tornare alle pagine del suo libro, mentre il vento raccoglieva tra le dita un mucchio avvizzito di foglie dorate e raschiava la breccia con un sibilo sordo.
"Lo sapevo."
Dianna si voltò. Jana zampettò con euforia al suo fianco, salpò sulla panchina con un abile salto e si sedette sullo schienale, dondolando i piedi con sentita spensieratezza. Poi indicò il libro che Dianna reggeva tra le mani.
La sirena seguì il suo sguardo e scrollò le spalle. "Oh, sì, avevi ragione. Mr. Cunningham non ha risparmiato neppure me."
"Ma ti risparmierò io!" Jana scivolò giù dalla panchina e tese una mano. "Elena non è affatto di compagnia, sempre china su quei giornalini... quei... monga, -no, manga!- quindi ti pregherei di non seguire il suo esempio, ne vale dei miei tentativi di socializzazione!" E, detto questo, afferrò il polso di Dianna e la trascinò fuori dalla panchina. Poi s'incamminò verso il dormitorio con passo sostenuto, dimenando i fianchi fasciati dal tessuto della gonna tra i cumuli di studenti che si apprestavano a tornare nelle proprie stanze. Sembrava essere scossa da una gran fretta, ma la sirena non azzardò a domandargliene la ragione.
Dianna barcollò e seguì la ragazza con respiro ansioso, mentre gli archi del lungo loggione strisciavano con austerità sopra i loro capi. La lunga crocchia fervente dei suoi capelli si snodava nelle raffiche gelide, sbatacchiandosi con turbamento, e le calze in reticella bianca aderivano tentennanti ai giovani polpacci torniti.
Ben presto, la ragazza arrestò la sua corsa quando il volume di mitologia le scivolò dalle mani. "Jana, aspetta, il libro di Mr. Cunningham!" Ma la sua compagna continuò a sgusciare con impeto tra la folla e non parve accorgersi del suo richiamo.
Con un sospiro rassegnato, Dianna si voltò un'ultima volta: vide solamente le pagine del romanzo agitarsi con foga sul piazzale, la copertina sbatteva inviperita contro l'acciottolato, sospinta dalla furia rovinosa del vento.
Un lontano movimento appannato catturò la sua attenzione.
Ma le due ragazze avevano già svoltato l'angolo, quando Dianna notò una figura indistinta oltrepassare il cancello d'entrata.
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Jana sbatté il pugno sul libro di fisica e si accasciò contro la sedia dello scrittoio, schermandosi il volto con le dita in un gesto disperato. Il continuo sbadigliare le aveva fatto sciogliere le macchie di trucco nero, che ora iniziava a scavare come un fiume ululante sulle sue guance imporporate. Di tanto in tanto allungava la forchetta verso la sogliola pallida e rinsecchita che riposava sul suo piatto, e le lanciava brevi occhiate diffidenti, sostenendo con ardore l'idea che i pasti serviti nell'istituto erano spazzatura rimescolata. Graffiò distrattamente il piatto con la forchetta un paio di volte e poi gettò con frustrazione la posata, che rimbalzò sul vassoio con un tintinnio acuto.
Dianna, invece, era seduta sul suo letto addossato alla parete, con le ginocchia portate al petto e una larga vestaglia bianca che le si increspava armoniosamente sulle spalle, lasciando scoperto il latteo e morbido collo di sirena. La sua bellezza sbocciava come una tacita rosa che si offre deliziosamente al bacio del sole.
Osservava con ammirazione le dita di Elena che balzavano veloci sulla macchina da scrivere. Era così piacevole quel ritmico pulsare! Riusciva quasi a lasciarsi cullare dal dolce suono. Si chiese cosa stesse mai scrivendo, la ragazza, e in quale mondo si stesse crogiolando. Lo sguardo di Elena, infatti, era immobile dinanzi a sé, infossato dietro i grandi occhiali scuri; le labbra piene erano chiuse in una linea stretta e le dita continuavano a danzare con una vivacità febbrile e un'eleganza che pareva librarsi con audacia nell'urlo echeggiante della sera.
Era disarmante il fascino del silenzio, pensò Dianna. E, quando voltò lo sguardo azzurro verso la luna nascosta dietro un velo di bruma, il sorriso abbagliante del cielo sembrò affievolirle i sensi.
"La fisica quantistica può andare al diavolo!" Jana si alzò bruscamente dalla sedia e prese a girare convulsamente per la camera. "In passato era tutto più semplice: i fenomeni energetici venivano attribuiti agli dei o a qualche spirito maligno e non eri tenuta a romperti l'anima per elaborare teorie adatte a descriverli," sospirò. "Se il cielo si illuminava improvvisamente era Zeus con la sua folgore... e... e se un terremoto scuoteva le viscere della terra era Dioniso e..."
Dianna la interruppe. "No, Dioniso è abbastanza benevolo. E il dio dei terremoti e maremoti è Poseidone."
"Cosa?"
"Lascia perdere."
Jana le rivolse un'occhiata sospettosa e arricciò le labbra in una fessura perplessa. Fece per replicare, ma si pietrificò quando qualcuno bussò alla porta.
Elena si voltò, lasciando le sue dita sospese sopra la macchina da scrivere, e Dianna si alzò rapidamente, avvolgendosi uno scialle attorno alle spalle nude.
La sirena sbatté le palpebre. "Chi è?" bisbigliò a Jana.
"Ancora non ho sviluppato una vista così acuta che mi permetta di vedere oltre la porta, ma posso ipotizzare..." Il tono della sua voce era intriso di una sottile ironia. Poi sbadigliò incurante e si trascinò verso la porta. "Kristián, ti ho già detto che non mi interessa osservare le stelle con il tuo telescop... ciao, Bryon!"
"Bonsoir."
Le dita di Jana sembrarono essersi fossilizzate sulla maniglia, il sorriso di vetro e le guance involte di calura. Nei suoi occhi era intaccato un pensiero agro. Vittima di un'altalenante agitazione, la ragazza si fece da parte e Bryon Mcdonald entrò. Questi indossava ancora la camicia bianca dell'uniforme e la cintura dei pantaloni sfarfallava pigramente sul suo bacino; era scalzo, quindi il suo passo fu morbido e felpato. Considerò un poco la stanza, infilò le mani nelle tasche e alzò una mano verso Elena in segno di saluto.
Jana scivolò verso Dianna, le strappò lo scialle dalle spalle e lo lanciò sopra il convoglio di posate e stoviglie imbrattate, e con le dita strecciò fulmineamente i capelli in un rozzo rammendo. "Emh... sì, ecco, insomma, benvenuto..."
Dianna arretrò e si nascose nel controluce della finestra, quasi timorosa. Dopodiché, si strinse nella sua veste da camera con un leggero tremolio: il respiro del gelo zufolava sotto la sua pelle nuda.
Byron la notò e la chiamò con un fischio confidenziale. "Non allontanarti, non ho intenzione di recidere la tua testa. Non sono così malvagio, sai? O meglio, non con le donzelle. Perchè dovete sapere che, invece, con il mio nuovo compagno di stanza ho proprio intenzione di spassarmela. Volete vederlo?" E, detto questo, spostò il peso del corpo su una gamba. Alle sue spalle, una sagoma preminente sostava sulla soglia, taciturna. Quando questa mosse un passo, il pavimento sembrò cigolare in un truculento mormorio.
Byron prese un grande sospiro e lo indicò distrattamente. "Lui è... è... in realtà credo di aver dimenticato il suo nome..."
"Tristan Waves," tuonò la voce alle sue spalle.
Essa era calda e poderosa.
Byron annuì insoddisfatto. "Sì... già... Tristan Waves..."
Elena si limitò a chinare brevemente il capo in un silenzioso cenno di saluto, ma tornò alla sua macchina da scrivere.
Jana, invece, sfilò la sua spada. "Tristan, ti piace il rock?"
Ma il ragazzo non rispose. Sembrava non aver neppure udito la domanda. Il suo sguardo era fermo su altro. Su qualcun'altro. Poi allungò una mano verso la tasca interna della sua giacca e vi estrasse un libro. "Credo questo sia tuo."
Solamente quando alzò con timidezza lo sguardo, Dianna comprese che Tristan Waves guardava nella sua direzione. Quindi strisciò fuori dall'oscurità e si avvicinò, reggendo tra le dita i lembi della sua veste per non lasciare che questa si levasse sotto le spire del vento. Riconobbe il libro di Mr. Cunningham. "Sì... è mio."
Dianna sollevò lo sguardo verso il ragazzo. Ora riusciva a distinguere chiaramente le spalle ampie e intravedeva sotto la camicia la linea del ventre liscio e dei fianchi stretti. I capelli s'incespicavano disordinatamente in un grumo dorato e scendevano quasi a celare lo sguardo glaciale. Le sue iridi parevano perle ghiacciate. La ragazza sussultò un poco sotto la presa di quello sguardo.
Tristan rivolse la sua attenzione al titolo del libro e sfoggiò un sorriso sardonico. "Ti piace la mitologia greca?"
Dianna era certa di aver udito una sottile nota ironica nella sua voce.
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Ed ecco Tristan Waves! Indovinate chi si cela sotto queste mentite spoglie...!
Che ne pensate? V'incuriosisce il suo personaggio?
Da questo capitolo in poi si entrerà nel cuore della storia.
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Grazie mille per il vostro sostegno!

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