Capitolo 35

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Jana era effettivamente alla piana del fuoco. Dianna la trovò dopo lunghi minuti di estenuante corsa lungo i corridoi del Massbury Institute, percorsi non senza aver ricevuto occhiate inquisitorie dagli studenti nell'aula di letteratura, che si era apprestata a lasciare in tutta fretta senza proferire parola o promuovere alcuna giustificazione, tantomeno farfugliare qualche sommessa scusa tra i denti. Aveva semplicemente afferrato la propria bandoliera e, alzatasi dalla sedia, aveva tacchettato con le proprie lucide scarpe di rigore fuori dell'aula, e, ben presto, la sua era apparsa come un'ombra di cui rimaneva solamente il ricordo della gonna nera che aveva fluttuato per un'ultima volta nell'aula, prima di sparire. Dianna non aveva badato alla reazione di Tristan, perché era certa che egli non nutrisse un particolare timore per qualche sua possibile sventura, dato che i nemici sui quali mirava l'attenzione erano lì, nell'aula, con lui, dunque con la diretta conseguenza di essere sotto il suo soffocante controllo.
Ma ora che era sopraggiunta alla piana del fuoco, il respiro corto e i capelli annodati in una massa scomposta, Dianna vide solamente la sagoma solitaria di Jana raggomitolata sotto la solita quercia, con le ginocchia portate al petto e il viso incastonato tra le gambe. La sua figura ciondolava ritmicamente avanti e indietro, come il pendolo di un grande orologio da parete.
La sirena la raggiunse con passo svelto.
Da vicino, Jana appariva più consunta, lacerata, sporca e fragile di una pezza sgualcita. La debole luce del cielo schiumoso e annebbiato del Virginia rasentava il suo volto nascosto, cereo e cementificato, ombreggiato talvolta dalla corteccia della quercia che danzava liberamente sotto le spinte di un vento gelido.
Jana non alzò lo sguardo. Si limitò solamente a ritirare maggiormente le gambe al petto quando Dianna inondò il suo ristretto campo visivo.
La sirena non seppe se rimanere in piedi e osservare quel corpo friabile da una posizione superiore o se sedersi al suo fianco. Infine, optò per la seconda ipotesi e s'inginocchiò alla sua destra, imbrattando le lunghe calze bianche di un pantano sudicio.
Dianna osservò Jana per un lungo lasso di tempo, indecisa su quali parole usare per interrompere il freddo silenzio, e ancora più indecisa se romperlo o meno. Non sapeva se, in simili circostanze, il cuore infranto di Jana preferisse vivere il proprio dolore in solitudine o provare a risanarsi grazie alla vicinanza di una seconda persona. Dopodiché, quando il tramestio delle sue titubanze si fu placato, Dianna prese il respiro e disse: "Elena mi ha raccontato tutto."
Con sua grande sorpresa, Jana rispose con una voce raggrinzita dalla delusione ma velata da una triste ironia: "Non aspettavo altro."
Dianna le si fece più vicino e assunse tutto l'aspetto di una psicologa che tenta di rendere ragionevole un suo paziente in caso disperato. "Ascoltami, Jana," le prese la mano, ma l'amica la ritrasse, "forse Byron non è... non è il ragazzo giusto." Poi si sentì tremendamente in colpa per aver sfruttato la sua voce solamente per parole tanto futili.
"Questa frase l'ho sentita troppe volte."
Il senso di colpa di Dianna raggiunse il picco. "Io vorrei aiutarti, Jana. Ma non sono esperta. Non so cosa sia la delusione in amore, non so che sapore abbia e probabilmente non voglio neppure assaggiarlo, ma non so davvero cosa dirti."
Jana, ora, alzò il capo e la fissò: i suoi occhi non erano più argentati. Erano piuttosto di piombo. Il suo sguardo non era più coronato da uno spesso alone scuro di trucco, perché questo si era già sciolto lungo le sue guance, e, talvolta, Jana portava il dorso della mano sul viso per scacciare qualche lacrima sola che occasionalmente stillava dalle sue ciglia, macchiando così il suo viso dei residui di mascara della sera precedente. Le sue labbra non erano più color ciliegia, o quantomeno rosate. Erano bianche, solcate da graffi quasi grigiastri.
Se non avesse avuto la solita capigliatura corvina -sebbene ora intrecciata e disfatta- Dianna probabilmente non l'avrebbe riconosciuta.
E pensò che il dolore spesso, cambia le persone. Dentro e fuori, irreversibilmente.
Dopo essere stata meticolosamente ispezionata dallo sguardo quasi compassionevole di Dianna, Jana intervenne: "Se tu non sai cosa dirmi, allora parlo io." Agganciò le ginocchia con le braccia e reclinò il capo all'indietro, posandolo contro il tronco della quercia. Sospirò. "Io so che Byron è stato spinto dalla debolezza. Io so che Byron soffre ancora per la notizia inaspettata datagli da sua madre, e da ciò deduco che la sua apparente robustezza può essere intaccata facilmente se le questioni per lui a cuore vengono incrinate. In poche parole, è un debole vestito di abiti di un generale. So che ha baciato Ashley perché sente così tanto la mancanza dell'affetto della figura femminile di sua madre da essere spinto a ricercarlo in altre. A questo punto tu potresti essere convinta che io avrei preferito baciasse me a lei, ma ti dirò che non è così." Jana pausò, e la sua voce sembrò riacquistare energia. "Non sono il fazzoletto di nessuno. Voglio baci d'amore, non di convenienza." Jana guardò per un istante oltre la piana del fuoco, seguendo con lo sguardo il percorso flemmatico di una nube all'orizzonte. "La mia tristezza è derivata dalla sua ingratitudine. Ad asciugargli le lacrime, a consolarlo e ad assicurargli che -chissà- forse lassù qualcuno saprà rendere la felicità sottratta agli afflitti sono stata io. Non era Ashley. Quindi sì, avrei preferito corresse da me, magari in lacrime, con la metà dei capelli, con la pelle graffiata, con gli occhi viola, ma dicendomi che aveva bisogno di me quando era convinto che nessuno avesse bisogno di lui." Jana scrollò le spalle con rassegnazione. "Non chiedo ringraziamenti plateali, non obbligo nessuno ad inginocchiarsi ai miei piedi o ad encomiarmi per tutto il resto della sua esistenza, ma sì, credo che un minimo di gratitudine sia pretendibile."
Dianna non aveva ancora assorbito con cura il significato delle sue parole, e per un attimo pregò persino di poter ritrovarsi immersa nello stesso dolore di Jana, così che la solidarietà e la comprensione le risultassero compiti meno ardui. Dunque disse: "Non voglio solamente annuire alle tue parole, Jana. Voglio comprenderle. Voglio comprendere davvero cosa sia quell'amore che tanto ti sta logorando l'anima."
Ogni dubbio della sirena fu lasciato volare lontano, quando Jana si voltò e, dopo averla osservata per un istante, disse, con il vento che le sbatteva i capelli sul volto: "Vuoi sapere davvero cos'è l'amore, Dianna? Vuoi davvero scoprire tutte le facce della medaglia? Fossi in te mi concederei la facoltà di non sapere. È così bello essere all'oscuro dei drammi! Avrei voluto non conoscere la realtà. Allora... se insisti... se davvero vuoi che le mie parole ti aprano gli occhi, sappi che quanto sto per dirti non riguarda solamente l'amore: riguarda anche l'amicizia. Questo è l'amore, Dianna. O meglio, questo è l'affetto. Ma tu, per un lungo lasso di tempo, continui a dispensare questo amore, perché non puoi farne a meno, fino al momento in cui intuisci che stai perdendo il sentimento con cui potresti curare te stessa. Il cuore è come una cassa: finché è piena, è gagliarda e valorosa; poi, quando inizia a svuotarsi, senza essere successivamente riempita, perde nutrimento. E quando il cuore perde quota, il tuo percorso di vita si offusca: non occupi un posto nel cuore di una persona, nessuna particolare importanza ti è affibbiata, perché sei solamente la spalla su cui disperarsi quando la vita si sgretola, e mai la mano da stringere per correre verso la felicità spensierata. Sei sostituita. Qualcuno ha preso il tuo posto, quello che hai sempre voluto, e che meriti. E tu sai che con la stessa frequenza con la quale i tuoi pensieri corrono alla persona che ami, i pensieri di quest'ultima corrono a terzi. E tu non rientri nell'immaginario di nessuno. Ma rimani lì, ferma, immobile, troppo orgogliosa per mostrarti abbattuta, ma troppo distrutta per fingere un sorriso: sei dunque semplicemente inerme, priva di alcun sentimento. Perché sai, quando si viene feriti troppo a lungo, le ferite non si rimarginano più." L'eco della voce di Jana carezzò quei pochi steli d'erba rimasti intatti, e poi si disperse altrove, sino a quando non tornò a troneggiare un silenzio abissale.
Un sospiro si levò dalle labbra di entrambe le ragazze.
Per un lungo intervallo di tempo, nessuna delle due osò proferire parola. Dianna guardò Jana con occhio silenzioso, per poi lasciar calare l'attenzione verso i propri piedi, quasi si sentisse non autorizzata a fissare troppo a lungo una persona tanto distrutta dalla tristezza, come se potesse graffiarla. Jana, d'altra parte, invece, sosteneva uno sguardo che tentava -sebbene con numerosi fallimenti- di essere orgoglioso. Dopodiché, riprese a parlare, per l'ultima volta in quella giornata, concludendo il suo monologo con una triste confessione: "Tu non hai idea, Dianna, del dolore che si prova a sapere che, per quanto tu doni il cuore per amore, ci sarà sempre qualcun altro che riceverà il calore che meriti tu."
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Uno. Due. Tre. Quattro.
I passi di Dianna nei corridoi del Massbury, ottenebrati dall'alone serale, si dispersero in deboli onde sonore che rimbalzarono sulle pareti, per poi autodistruggersi al suolo. La sirena procedeva lentamente, incrociando di tanto in tanto qualche studente che s'affrettava a raggiungere la propria camera prima della comparsa spettrale di Mandy. Lei, invece, sembrava non avere timore della grossa custode di quei palazzoni: procedeva reggendo la bandoliera sulla spalla, serrando le labbra al ricordo delle parole di Jana. Queste le scartavetravano il cervello, facendo degenerare il suo umore che non era già particolarmente decollante. Dianna non amava provare tristezza, tantomeno percepire il cuore altrui ingabbiato da tale sentimento.
Non si poteva abolire la sofferenza?
Quel pomeriggio, Dianna non era tornata nell'istituto: era rimasta sempre al fianco di Jana, protetta dalla roccaforte della piana del fuoco, sempre ed eternamente avvolta dal silenzio. Le parole non erano necessarie per dimostrare la propria vicinanza. Ma quando aveva notato la sera sopraggiungere, aveva preferito fare ritorno e informare Tristan che la morte ancora non l'aveva annientata. Dunque aveva accompagnato Jana in camera e, dopo aver intravisto una figura possente muoversi in lontananza nei corridoi, aveva alzato una mano.
E ora si trovava dinanzi a due occhi ghiaccio infernali.
"Perdonami, Jana non stava bene e ho preferito rimanere vicino a lei. Ma... ma ora sono qui."
"Sì, ti vedo."
Dianna constatò come le proprie parole fossero apparse effettivamente banali. Rimase per un istante impietrita dinanzi al volto di quel guerriero, anch'egli in silenzio, e si guardò i piedi. Sapeva che, di lì a poco, avrebbero dovuto raggiungere quelle maledette celle di riparo, ma Dianna doveva liberarsi di un fardello che le chiudeva il respiro in gola. La sirena non aveva intenzione di rendere Tritone conoscente della sofferenza di Jana e dell'accaduto che vedeva Byron protagonista, perché non credeva giusto rivelare una confessione tanto privata, ma esordì con queste parole: "Elena sa tutto."
Vide gli occhi di Tristan incupirsi. "Che cosa?"
"Ho raccontato ad Elena chi siamo, la nostra storia." La voce sembrava venirle a mancare.
Tritone strinse i pugni, chiuse gli occhi per un istante, li ruotò sotto le palpebre e tese la mascella. Quando li riaprì, sembrò sul punto di proferire parola, ma represse tale desiderio, limitandosi ad osservare la sirena con uno sguardo tanto indecifrabile quanto sinistro.
Dianna si affrettò ad aggiungere: "In realtà, Elena mi ha ricevuto alla soglia della camera e... e mi ha domandato chi fossi io... chi fossi tu... dunque è stata lei ad intuire qualcosa ed io non... non potevo mentire, non più, sarebbe stato poco leale."
A quel punto, Tristan represse un ghigno tra l'incredulo e il rabbioso, chinando il capo. "Leale!"
"Ma Elena è... è speciale, non lo racconterebbe mai a nessuno, sa mantenere i segreti... custodisce con cura ciò che le viene rivelat..."
"Segreti! Un segreto è una cosa che si tiene nascosta dentro di sé e non si vuole o non si può rivelare a nessuno!" La voce prorompente di Tristan squarciò l'oscurità e il suo braccio muscoloso si mosse verso la parete con foga: vi sferrò un pugno, mentre tratteneva il fiato tra i denti, il respiro incombente come quello di un drago che rovescia fuoco dalle fauci.
Dianna arretrò spaventata, oramai consapevole di aver lanciato un tizzone ardente in un fuoco già avvampante.
Tritone chinò la testa e mantenne l'equilibrio reggendosi alla parete, il respiro greve e il cuore che pompava dietro il busto egemone nel tentativo di recuperare la calma. "Tu non hai idea del pericolo, Dianna. Le parole sono lame. I segreti rivelati sono spade..."
"Elena non costituisce nessun pericolo, invece! Sei tu -tu, Tristan- che hai timore! Sei tu che mi stai usando per proteggerti! Sei tu che hai paura di quei due sconosciuti. Il tuo è puro egoismo! Io sono solo il tuo scudo, la lancia con cui difenderti, la prima che si macchierà di sangue per proteggerti. Sono solo un oggetto, per te." Dianna respirò a fatica. "Ma tu sei un abile oratore e vuoi deviare le mie convinzioni, farmi credere che in te c'è dell'altruismo, farmi credere che tutta questa sceneggiata è un modo per proteggere me. Ma non è così. Mi userai e mi getterai."
La sirena avrebbe voluto aggiungere altro, ma il rimescolamento dei pensieri nella sua mente fu troncato da un rapido movimento dinanzi a sé: Tristan si ricompose, si allontanò dalla parete e mossi veloci passi verso di lei. Dopodiché le prese il volto con entrambe le mani, carezzando i lineamenti del suo viso con i pollici. La guardò negli occhi e scosse impercettibilmente il capo.
Dianna immaginò dei fulmini fuoriuscire da quelle iridi fredde.
Dianna avvertì una scarica elettrica immettersi nel suo corpo.
"Non è così. Ti sbagli. Sto facendo tutto questo non solo per proteggerti," disse Tristan. "Ma perché oramai sei troppo importante per me."
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Jana mi fa una pena assurda! Povera! Però vi assicuro che saprà riprendersi e tornerà alla carica più forte di prima.
Dianna sta progressivamente aprendo gli occhi: prima con le parole di Jana e poi con la rivelazione di Tristan. Inizierà a fidarsi di lui.
Come credere reagirà a quel "ma perché oramai sei troppo importante per me"?
Vedremo ;)
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