Capitolo 31

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Tristan mosse passi veloci verso le due figure, uscì dalla mensa e s'appoggiò con un braccio alla parete, lanciando occhiate furtive alle sue spalle per assicurarsi di non essere circondato da un possibile auditorio. Poi sussurrò tra i denti: "Che cosa volete?"
"Buongiorno, fratello."
Eryx e Ippotoo gli rivolsero un sorriso di scherno, le braccia incrociate al petto e gli occhi vitrei colmi di un sarcasmo malvagio. Il primo -un giovane dalla bellezza discutibile e trasandata, con una corona di capelli castani e disordinati- era nutrito dall'evidente convinzione di avere la supremazia sulla situazione, data la superbia con la quale nascondeva il corpo del secondo dietro le proprie larghe spalle. D'altronde, Eryx aveva un'innegabile inclinazione per il predominio: il suo vanto lo aveva persino spinto a misurarsi con Eracle. E, ora, nei suoi occhi neri viaggiava la trasparente propensione a sfidarsi con Tristan.
Il secondo, invece, Ippotoo, presentava tratti quasi mediterranei: aveva un folto ciuffo di capelli corvino che s'aggrovigliava sulla nuca e che bramava di sciare verso la fronte, dove un paio di sopracciglia folte e selvagge s'incurvavano sopra due occhi scuri ed incavati. Pareva più quieto, sebbene la malformazione di due canini affilati tradisse l'ipotesi.
Eryx constatò la rabbia crescente di Tritone -che portava questi a serrare la mascella- e decise di incrementarla sfoderando un cipiglio beffardo e un tono altrettanto canzonatorio. "Che maleducato che sei, Tritone. Ci hai persino tolto il saluto!"
"La salutatio matutina era in voga nell'antica Roma."
"Giusta osservazione." Eryx spalancò gli occhi scuri, falsamente colpito.
Alle spalle di Eryx, Ippotoo avanzò titubante: "Eryx, arriva al nocciolo della questione. Digli perché siamo qui..."
Ma l'altro alzò una mano, chiuse gli occhi e lo mise a tacere, egemone. "Per l'Olimpo, puoi stare zitto un attimo? Ora lo informo." Poi tornò a rivolgere l'attenzione a Tristan. "Il... -come lo chiamano qui negli Stati Uniti?- Ah, sì ecco... Il countdown è iniziato."
Tritone increspò la fronte e sussurrò, per evitare di essere udibile alle orecchie di Mandy, ancora diritta ed impettita all'uscio della mensa. "Per cosa?"
"La guerra. I Titani sono pronti, non lo sai? Attaccheranno a breve." Eryx si fece sorpreso. "E mi dispiace comunicarti che non condivideremo la tua stessa metà del campo di battaglia. Sosterremo i Titani."
Tritone parlò: "Questa notizia non mi è nuova. So bene che la vostra invidia non vi consente neppure di considerare lontanamente l'ipotesi di essere miei alleati. E, d'altro canto, ne sono lieto: meno perdenti nel mio esercito e meglio è."
Eryx rise, portando una mano al petto con ipocrisia per contenere i respiri agitati, e reclinò il capo all'indietro: "Oh, ma non è questo di cui mi preme informarti..."
"Parlate, dunque." Tristan trattenne uno sfogo d'ira: la sua pazienza stava venendo meno.
Ippotoo sporse il capo verso la spalla di Eryx e, dopo aver farfugliato qualcosa al suo orecchio, Tritone lo udì distintamente dire: "Eryx, diglielo, non abbiamo tempo da perdere."
Eryx mantenne fisso in viso il suo sporco sorriso e lo sguardo inchiodato su Tristan. "Sttt," mise a tacere Ippotoo, "lasciamo che sia lui stesso a dedurlo grazie all'intuito."
Tritone avrebbe avuto decine, centinaia, migliaia, milioni e miliardi di ipotesi da attribuire alla loro venuta, ma, quando vide Eryx lanciare un'occhiata oltre le sue spalle, si voltò.
Guardava Dianna.
A quel punto, i suoi occhi ghiaccio si fecero sensibili: la rabbia lo investì e un urlo guerriero velò le sue iridi. "Non l'avrete mai."
Eryx prese a camminare in circolo attorno a Tritone, squadrandolo, una mano posata sul mento e un dito che tamburellava sulla mandibola. "Tu dici? E perché mai? E' di tua proprietà? Può essere una vendita trattabile..."
Tristan chiuse gli occhi e strinse i pugni: le sue narici si gonfiarono sotto il soffio della collera che stava spirando con crescente agitazione dai suoi precordi. "Mi sembra di essere stato chiaro."
"La vogliamo."
"No."
"E allora la prenderemo con la forza."
Tritone aprì gli occhi. Il solo pensiero -ostile e nauseante- di Dianna tra le braccia di quei luridi vermi, urlante e disperata per la libertà, il volto giovane, ingenuo e pallido macchiato e ferito, lo fece rabbrividire. "E qual è il vostro scopo?"
Eryx guardò oltre le spalle di Tristan e si concesse un sorriso brevemente accennato, socchiudendo gli occhi con ispezione. Dalle sue labbra sfuggì: "Oh, concedimi però di dire che è davvero molto bella... possiede una di quelle bellezze mai superficiali o conosciute." Poi finse di ridestarsi e osservò il volto contratto di Tristan. "Oh, qual è il nostro scopo, dici?"
"Sii conciso," gli suggerì Ippotoo.
"Sì, per una volta concordo con Ippotoo. Sarò conciso." Eryx si schiarì la gola e considerò l'ipotesi di ritardare le proprie parole per accrescere l'attesa snervante che stava marcendo Tritone. Poi disse: "Potremmo usufruire di lei in guerra contro le vostre armate, oppure eliminarla e spedirla nell'Ade, affinché la battaglia sia più equa. Perché ci è assai nota la superiorità che quella piccola Ariel vi conferisce."
Tristan si concesse un attimo di silenziosa riflessione: sapeva bene che Dianna non era ancora sicura del ruolo che avrebbe dovuto svolgere, e sapeva anche che -a causa sua- era debole nel cuore e nelle decisioni, e, inoltre, supponeva anche che un possibile -e giustificato- odio nutrito nei suoi confronti avrebbe potuto spingerla ad allearsi con Eryx, Ippotoo e le armate dei Titani.
Forse perché ancora Dianna non era consapevole che tutto, tutto in Tristan era cambiato dopo la sua venuta.
E non sapeva neppure che era lei l'artefice di quel cambiamento.
Tritone annuì, sotto lo sguardo allibito di Eryx e di Ippotoo, certi di aver ottenuto il suo consenso. Ma il loro sguardo speranzoso fu frantumato dal movimento repentino di Tritone: egli, infatti, balzò in avanti, afferrò il bavero della camicia di Eryx, premette le dita contro la sua mandibola e lo spinse contro la parete, incurante del borbottio contrariato di Mandy in sottofondo e ignaro dell'ira che precedette le sue parole, quando gli sussurrò ad un soffio dal suo viso: "Dianna è sotto la mia protezione. Per arrivare a lei dovete prima passare sul mio cadavere. E vi assicuro che posso essere distruttivo quanto un esercito di 40mila uomini, se necessario," sputò tra i denti, gli occhi infiammati e il tono grave. La presa attorno al collo di Eryx si fece più furente. "Quindi buona fortuna per la missione, se avete ancora il coraggio di intraprenderla." E abbandonò la stretta, lasciando Eryx accasciarsi sul pavimento e massaggiare la propria mandibola dolorante.
Tritone si voltò e camminò con decisione lungo il corridoio sfocato del Massbury Institute, i passi minacciosi e riecheggianti. Si accorse di aver ancora le mani strette a pugno e si chiese cosa lo avesse spinto a paragonarsi ad un intero esercito in difesa di quella -ancora- dannatissima sirena.
Ma cos'altro poteva essere, se non l'amore?
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La sera era sopraggiunta presto del Mid Atlantic statunitense, e il crepuscolo stava tingendo con colori sgargianti e focosi il dolce profilo del cielo.
Dianna, con le ginocchia raccolte al petto e qualche irrealizzabile sogno disegnato nello sguardo, osservava oltre la finestra il paesaggio infervorato del tramonto, lieta che quest'ultimo avesse allontanato la statuaria presenza di quella foschia che, in quelle giornate, si era accinta ad ottenebrare la cupola celeste con insistenza.
Stretta nella sua consueta veste bianca, con i lunghi capelli vermiglio che si posavano morbidi lungo la schiena e gli occhi mare offuscati da un'ordinaria tristezza, Dianna non vestiva più i panni di una sirena: ora pareva una ninfa solitaria, che aspettava con bramosia l'ascesa in cielo della madre Luna.
Si lasciò cullare dal silenzio, assordante nel suo vuoto, e chiuse gli occhi: da qualche parte nel mondo, qualcuno stava gioendo, qualcuno stava versando lacrime, e Dianna fu certa di riuscire a sentire fiocamente risa e pianti, gioia e disperazione, come se d'un tratto si stesse tuffando in altre vite, riemergendo dalla propria.
Passò del tempo, durante il quale Dianna viaggiò in bilico tra il sonno e la veglia, tra la spossatezza e l'energia.
Jana ed Elena avevano lasciato la camera nel tardo pomeriggio, attribuendo alla loro uscita il desiderio della prima di ritrovare la vecchia cassetta degli AC/DC confiscata da Mandy mesi addietro e negando a Dianna l'opportunità di accompagnarle, perché Jana ancora non le aveva perdonato il fatto di essere scivolata su una dannata pozza d'acqua e di aver mandato in fumi -Dianna si era chiesta cosa significasse- lo stesso
progetto tempo prima.
Dunque la sirena, quando il crepuscolo fuggì con un'energica velocità dal cielo per lasciare spazio ad una serata indaco -dove la luna si nascondeva, come intimidita dalle occhiate altrui- si ritrovò a sperare nel ritorno delle due compagne, perché non riusciva più a fronteggiare il peso di quella solitudine. Il suo sguardo si spostò quindi sulla porta.
La osservò.
La soppesò.
Ne analizzò le venature.
E proprio nell'istante in cui spostò lo sguardo altrove, qualcuno vi bussò con furia.
Dianna pensò fosse Jana, scossa dalla paura che Mandy potesse vederla rientrare in camera con la cassetta, oppure dimenata dal terrore che l'allarme potesse d'un tratto suonare, quindi si affrettò ad alzarsi e a farsi largo nel buio della camera, urlando un sonoro "arrivo!" quando il bussare alla porta si fece estenuante ed inconcepibile.
"Jana, sto arrivando! Smettila di bussa..." Ma quando aprì la porta, una figura molto più imponente di Jana si stagliò dinanzi al suo volto. Dianna riconobbe un profilo delle spalle noto e una sagoma di capelli scarmigliati altrettanto conosciuta, la quale però, in controluce, non brillava del solito oro ma era piuttosto ombreggiata dalla notte.
Tristan entrò con irruenza e la sirena sentì, nell'immediato attimo che ne seguì, due mani calde posarsi sulle sue guance e alzarle il volto con impazienza.
La luce lontana della luna rischiarò un viso sbattuto dall'apprensione. "Stai bene?"
Tritone le accarezzò la guancia e portò una ciocca dei suoi capelli dietro l'orecchio, inclinando il capo e osservando la linea delle sue labbra con occhio perso. Poi fece scivolare l'altra mano sulla sua schiena e l'attirò a sé. "Stai bene?" ripeté.
Dianna si chiese la ragione di tanta preoccupazione, ma il dubbio non la fece allontanare. Rimase piuttosto tra le sue braccia, inconsciamente grata che qualcuno avesse spezzato la sua solitudine, anche se questo qualcuno era la ragione primaria del suo timore. Alzò gli occhi oceano ed incontrò i suoi color ghiaccio. Per un istante fu elettrizzata dall'impulso di prendere anch'ella il suo volto tra le mani e assicurarlo che stava bene, ma si limitò a dire con voce pacata, il tono che nascondeva una domanda inespressa. "Sì, sto bene..."
"Sicura?"
"Sì, Tristan, perché? Stai calmo, sei agitato!" I loro respiri si mescolarono per un istante.
Tritone affievolì la presa sulla schiena di Dianna e spostò la mano nuovamente sui suoi capelli: ne trasportò una ciocca sulla spalla e la fece scivolare sui seni. Poi si allontanò, dirigendosi verso la piccola finestra e reggendosi con le braccia al davanzale interno. "L'importante è che tu stia bene. È l'unica cosa che conta, ora."
Alle sue spalle, Dianna evitò di ammirare la sua perfetta forma di uomo, altrimenti avrebbe tardato nel domandargli: "È successo qualcosa?"
Lui si voltò, ma non rispose. S'avvicinò all'armadio sconquassato, ne aprì le ante e ne sfilò fuori una coperta di lana rossa, l'avvolse sotto braccio e poi andò al letto di Dianna e vi tolse il lenzuolo.
"Che stai facendo?" La voce aguzza di Dianna ruppe la quiete. "Smettila! Perché stai disfacendo il mio letto? Io non so rifarlo!"
Tristan ignorò la domanda, si spostò dal suo fianco, raggiunse la sedia dello scrittoio e vi afferrò la bandoliera scolastica di Dianna, lanciandola sul pavimento. "Stanotte dormirai con me. Prendi tutte le tue cose, coperte, cuscini, vestaglie e quant'altro, e seguimi."
Dianna sbarrò lo sguardo, sconcertata. Arretrò di un passo. "Dormire con te?"
"Certo."
"Mai e poi mai! Neppure se maledetta dall'Olimpo! Dormire con te...?" ripeté poi con voce incredula. "Per essere la tua poco di buono? Piuttosto mi faccio legare ad una rupe come Prometeo, con un'aquila che mi mangia il fegato!"
Tristan sospirò, la pazienza che iniziava a scemare lentamente. "Dianna... ti ho detto di prendere le tue cose e di seguirmi. Muoviti!"
"Tu sei pazzo... tu sei completamente pazzo!"
"Probabile."
Dianna rimase in silenzio per un attimo, osservandolo. Poi incrociò le braccia al petto, risoluta, e batté un piede nudo sul pavimento. "Ti ho detto che non verrò."
Tristan fu veloce: lanciò l'ammasso di coperte e lenzuola che custodiva tra le braccia e s'affrettò a raggiungere Dianna. "Va bene. Sarò quindi obbligato a prenderti in braccio."
La sirena indietreggiò e parò le mani dinanzi al volto, un istante prima che lui potesse afferrarle le gambe ed esercitare nuovamente su di lei il suo predominio. "Va bene." Deglutì. "Ti seguo." I suoi occhi blu erano spaventati.
Tristan sfoggiò un sorriso soddisfatto, raccolse coperte e lenzuola sul pavimento e aprì la porta, inoltrandosi nel corridoio buio.
Con un sospiro contrariato, Dianna, incrociando le braccia al petto in un atteggiamento infantile, fu costretta a seguirlo, camminando nella scia di profumo che il passare Tristan aveva inciso nell'aria.
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Molte di voi hanno ipotizzato fossero le sorelle di Tritone le figure fuori della mensa... ma sono i fratelli... o meglio, i fratellastri.
Nel prossimo capitolo Tristan racconterà nei dettagli la storia che lo lega a Eryx e ad Ippotoo.
Questi ultimi -per quanto possano essere arrivati al Massbury con cattive intenzioni- contribuiranno all'avvicinamento di Tristan e Dianna. A proposito, che ne pensate del fatto che Tritone abbia ordinato a Dianna di dormire con lui? Secondo voi perché?
Votate e commentate!

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