Capitolo 32

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"Dove mi stai portando?" La voce di Dianna si fece gelida ed insistente, mentre seguiva Tristan con indolenza lungo il corridoio dell'istituto che, quella sera, sembrava più spettrale che mai.
"Dove stiamo andando, vorresti dire. Non ho intenzione di rapirti, sai?"
"Potrei sorprendermi."
Dopodiché, portando le proprie braccia sulle spalle, Dianna sospirò. Aveva freddo, ma era convinta che, qualora si fosse fermata in attesa di recuperare un po' di calore, il terrore gelido della situazione unito al tremolio delle sue ginocchia, l'avrebbero immobilizzata nell'incrocio degli anditi.
Tristan, che capeggiava la situazione con zelo e che aveva deciso di ignorare le figure indefinite che sciavano lungo i corridoi anche a tarda sera, aveva deciso ragionevolmente di non camminare al fianco della ragazza per evitare quest'ultima potesse avvertire maggiormente su di sé l'eccessiva oppressione e angustia che quella circostanza non particolarmente amichevole aveva già inevitabilmente costruito. Dunque si limitava a lanciare di tanto in tanto occhiate alle sue spalle, per assicurarsi Dianna lo stesse seguendo e osservando talvolta i suoi piedi scalzi con occhio compassionevole, celando nello sguardo –sin troppo però eloquente- il desiderio represso di prenderla tra le braccia e di offrirle tutto il calore di cui il suo corpo virile disponeva.
Non impiegarono molto perché gli occhi di Dianna descrissero una notte che sembrava più densa e oscura nelle scale che conducevano alle vecchie celle solitarie, lerce e appartate nei luoghi remoti dell'edificio, che la ragazza, sin dai primi momenti trascorsi nel Massbury Institute, si era promessa di evitare. Il velo ombrato del buio e le folate gelide di un vento che spirava da chissà quale foro nel muro sgretolato contribuivano a nutrire quell'esitazione che la bellissima sirena era certa di avere innata nell'animo. Tuttavia, non era sola: al suo fianco, Tritone camminava con passi quasi soldateschi, mantenendo una postura diritta e conducendo la situazione con notevole bravura. Poco prima, nel timore la sirena potesse indugiare sulle scale e rifiutarsi di proseguire, lui le aveva preso la mano, stringendo le sue dita e assicurandole silenziosamente che non era sola ad affrontare il buio, quel nemico per Tristan assolutamente innocuo ma fuorviante per la debolezza di Dianna.
Ad ogni passo, ella fissava il vuoto accecante, voltando fulminea il capo ad ogni esiguo cigolio improvviso che la spaventava così intensamente da spingerla contro il braccio di Tritone, il quale pareva sostenere la sua angoscia.
Quando i piedi della sirena toccarono un suolo stabile –e quando fu quindi certa che la possibilità di capitombolare sulle scale era svanita- Dianna avanzò una lunga serie di domande: "Perché siamo qui? Che cosa dobbiamo fare? E' successo qualcosa? Perché non dici nulla? Perché sei così silenzioso? Sei inquietante quando taci."
Tritone, nell'assenza di luce che gli garantiva di non essere pertanto analizzato dallo sguardo agitato di Dianna, ruotò lo sguardò e, di tutte le domande che ella gli aveva posto, commentò solo le sue ultime parole: "Non oso pensare quanto mostruoso debba essere quando parlo, allora."

Dianna sospirò e rafforzò la presa sul suo braccio con entrambe le mani, impuntando i piedi e trattenendosi dal proseguire. "Tristan, ti prego parlami!"
"Lo sto facendo."
La sirena fu scossa da un violento impeto d'ira e, seccata perché le sue parole non avevano seguito la mira preposta, ora gli afferrò un lembo della camicia e attirò il corpo di Tritone verso il suo. "Tristan, ho paura!"
Egli si voltò e, non riuscendo a scorgere il suo bel viso nell'oscurità, osservò nella direzione in cui il suo respiro dolce fluiva dalle labbra di gemma. "Per Zeus, e perché mai dovresti avere paura! Sono qui con te."
"Ed è di te che ho paura!"
Dianna non lo percepì, ma una scheggia sembrò trafiggere il cuore, l'anima e le interiora di Tristan. Sebbene egli sapesse che la sua precedente ed ostile condotta nei confronti di Dianna non gli avesse affatto attribuito una buona considerazione, non aveva mai creduto potesse infonderle in lei un terrore così intenso da farle tremare le ginocchia.
Era stato un giovane crudele, sedizioso, turbolento, tempestoso e qualunque attributo si possa conferire al peggiore degli uomini, ma non aveva mai voluto spaventare una sirena che –ora- ai suoi occhi appariva innocente.
O, quantomeno, non più.
Dunque, alle sue parole, la fune che lo teneva legato alla ragionevolezza si sciolse e Tristan portò una mano attorno ai fianchi di Dianna e l'attirò a sé. "Non voglio farti del male," sussurrò nel grigiore.
Ne seguì una pausa.
"E chi mi assicura che questa non è un'altra delle tue menzogne per raggiungere i tuoi scopi malsani?"
"Ne avrai la certezza dopo aver udito quanto per dirti." E Tristan, dopo aver tastato in cerca delle spranghe di ferro rugginoso di qualunque cella, aprì un varco verso una piccola stanza quadratica impregnata di un olezzo insostenibile. Sfoggiò un'espressione disgustata, richiuse la cella alle loro spalle, si avvicinò ad una parete, allungò un braccio verso l'alto e scostò una tavola di legno consunto che copriva lo spazio di una minuscola finestra incassata nel muro –chiaramente sbarrata, ma quantomeno fonte di respiro.
Ora la stanza si rischiarò di un poco, e il buio precedente lasciò spazio ad una sottile penombra che permise ai due di guardarsi negli occhi.
Tristan vide Dianna rincantucciata in un angolo, e questa vide il ragazzo soppesarla per un istante, prima di avvicinarsi a lei e dirle, con una metà del viso in penombra e l'alto baciato dall'oro lunare: "Siamo in pericolo."
La sirena soffocò una risata snervata e non troppo sorpresa. "Io lo sono da quando mi hai raggiunta qui."
"Non si tratta di me o di te, ora. Si tratta di noi."
"Non capisco."
Tristan si abbandonò ad un sospiro di sconforto, come se quanto stesse per dire gli squarciasse l'anima. Poi si appoggiò alla parete opposta. "Siamo entrambi in pericolo, ora. Tu perché sei ricercata e io perché sono odiato."
Dianna si spazientì e agitò convulsamente le braccia, camminando verso Tristan e giungendogli a pochi soffi dallo sguardo, affinché potesse udirla chiaramente. "Chi? Chi mi sta cercando? Chi ti odia? Parla!"
"I miei fratelli."
"Che cosa?" La domanda della sirena somigliò più ad un cicaleccio acuto e sbalordito.
La luce della luna parve illuminare per un istante la corona dorata dei capelli di Tristan, poi sembrò spostarsi verso i suoi occhi cristallo e infine pulsò sulle sue labbra maschili, come se ruotasse frenetica in cielo.
Tritone iniziò così: "Gli dei non sono fedeli alle proprie mogli, e le dee non sono fedeli ai propri mariti. E' un ciclo schematico, inevitabile: matrimonio, accoppiamento, tradimento. Mio padre non è stato da meno." Prese un sospiro. "Sono sempre vissuto con la consapevolezza e non con l'eccessivo stupore di avere, nel mondo, centinaia di fratelli –o meglio, fratellastri- con cui condivido una buona parte del mio sangue reale, e questo non ha mai creato scompiglio nella mia vita, poiché so bene di essere l'unico e legittimo figlio maschio di Poseidone, l'unico che può vantare diritti o imporre la propria supremazia. Ma pensa per un attimo, immagina per un istante," posò una mano sulla nuca di Dianna, pronunciando con enfasi: "di essere un figlio nato da un tradimento, da una veloce unione derivata solamente da una minima e provvisoria attrazione che poi si dissipa nel vuoto con la stessa velocità con cui si è creata. Prova a immaginarlo, per un attimo," sussurrò, "e forse potrai arrivare a nutrire una certa comprensione per questi... sfortunati poveracci. Anche io li comprendo, sai? Nella mia crudeltà so provare comprensione, e so che ciò non si sarebbe mai detto." Tristan pausò per un istante, poi abbandonò la presa attorno alla nuca di Dianna e si limitò ad ammirare il suo volto in lontananza, conscio che la bellezza di quest'ultimo gli rinvigoriva le parole. Poi continuò: "Tempo fa, mio padre si unì con Alope, la figlia di un re con discendenza divina e ne nacque Ippotoo. Ma di quest'ultimo non mi preme parlarti, perché –se non capeggiato e istruito da una seconda figura- è abbastanza innocuo." La sua voce si ridusse ad un sussurro. "Tempo fa, invece, mio padre si unì con Afrodite, e ne nacque Eryx, il quale ti assicuro non vanta una bellezza degna di un figlio di Afrodite, ma è abbastanza risoluto nell'innalzare i propri diritti, perché figlio di due dei. Mio padre, tuttavia, non si prese mai cura di lui: i doveri lo chiamavano negli abissi del Mare e, anche se questi fossero venuti meno, dubito fortemente avrebbe avuto la propensione a curarsi dell'ennesimo figlio. Quindi, probabilmente, Eryx fu lasciato a se stesso, maturando l'estremo desiderio di vendicare tutte le sue sofferenze derivate dall'abbandono qualora avesse potuto. E..." sospirò, "sfidare mio padre – o meglio, nostro padre- è difficile, soprattutto se non sostenuti. Quindi, quale migliore opportunità per emergere e annientare l'intero Olimpo schierandosi dalla parte dei Titani nella guerra prossima a venire? E ti giuro, probabilmente anche io avrei fatto la stessa cosa, perché so che la rabbia acceca. Ma Eryx..." La sua voce si fece più carica di sentimento. "Ma Eryx non vuole solamente sbaragliare gli dei, non vuole solamente sbaragliare mio padre. Eryx ha sempre visto in me un rivale, nonostante io non abbia mai ricevuto particolari attenzioni da nostro padre. E..." Si concesse un respiro. "E ha capito dove colpirmi."
Dianna si concesse del tempo per aggrottare la fronte con perplessità. "Non..." Sospirò. "Spiegati meglio."
"Lui e Ippotoo vogliono rapirti. Ti vogliono sfruttare nel campo di battaglia o... " Tristan decise di svelare la verità, "o ucciderti."
"Perché?" Dianna non parve né terrorizzata né minimamente spaventata. La vita l'aveva già provata duramente e la morte non si prospettava a lei come una disgrazia. "Sono così importante per la guerra contro i Titani? Solamente per... per il fevior? Sono così indispensabile?"
"Non è solo questo, Dianna."
"E allora cos'è?"
Tristan alzò si avvicinò a lei e per un istante considerò l'ipotesi di prenderle le mani, ma si fermò prima che il suo desiderio inconscio divenisse realtà. "La verità è che loro hanno capito che per arrivare a me devono passare per te. Hanno capito che sei, oramai, il mio punto debole."
Dianna non rispose, in parte perché le parole le mancavano e in parte perché, qualora avesse avuto qualcosa con cui replicare, il respiro spezzato in gola avrebbe impedito che ogni suono uscisse dalle sue labbra. Quindi deglutì, chinando il capo e riflettendo –chiusa nel silenzio e oppressa da quelle quattro pareti luride che sembravano restringersi sempre di più ed ingabbiarla- sulla profondità di quelle parole.
Quando il silenzio insostenibile venutosi a creare tra i loro corpi, vicini ma taciti, fu spezzato dal passo veloce di Tristan –che si stava impegnando a stendere la coperta di lana rossa sul freddo pavimento e a piegarvi sopra il lenzuolo- Dianna si voltò verso di lui, sperando egli non potesse scorgere la sua agonia. "E ora? Cosa dobbiamo fare? O meglio, cosa ci aspetta?"
Tristan, accosciato per spiegare un ultima volta un lembo di coperta arricciato, sospirò. "Niente," disse con voce forzata dalla fatica. "Quando sarà il momento ce ne andremo di qui. Ora devo proteggerti, e a tal proposito devi contribuire." Poi si alzò e mosse alcuni passi verso di lei, lieto di non vederla indietreggiare. Alzò una mano, ora dirigente, sovrastante, deliberato, la voce che imponeva: "Non dovrai mai rimanere sola. Sarebbe troppo pericoloso. Dovrai essere sempre al mio fianco, giorno e notte: devo controllarti, vigilare su di te e sulla tua incolumità."
Il tono di Dianna si fece leggermente ironico, ma non vi era nulla di ostile nella piega delle sue parole: "Apprezzo davvero questo tuo interessamento nei miei confronti, sei davvero un galantuomo..." Poi intrecciò le braccia al petto, ora seria, lasciando scivolare una gamba in avanti e tamburellando con il piede nudo sul pavimento freddo. "Ci sono altri doveri che devo assolvere, signore?"
Tristan ricevette con un sorriso la sua dolce ilarità, poi disse, sfoggiando un sorriso sghembo e indicandole la coperta stesa sul lastricato: "Potresti iniziare riposandoti. Hai bisogno di forze."
La sirena annuì e s'inginocchiò sulla coperta, ma, quando fece per scostare il lenzuolo, una risata maliziosa proruppe dalle labbra di Tritone. Quando alzò lo sguardo su di lui, vide solamente una figura maschile –meticolosamente scolpita nella perfezione- incedere con imperiosità e posare le mani sui fianchi, ridendo, il bagliore ghiaccio negli occhi che s'infervorava.
Lo sentì sussurrare: "Non hai capito nulla. Dovrai dormire tra le mie braccia."

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