Capitolo 41

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"Perché Byron ti sta guardando così insistentemente dallo specchietto retrovisore?" Dianna si sporse verso l'orecchio di Jana.
Intanto, le ruote della Chevy Camaro, sotto la magistrale guida di Tristan, solcavano la strada del ritorno. Escludendo ogni previsione di imprevisti, sarebbero rientrati al Massbury Institute nel primo pomeriggio. Jana si volse e la luce immota della notte le brillò negli occhi. Sussurrò: "Probabilmente non mi guarderebbe così se prima non lo avessi baciato."
Elena, quasi crollata vinta dal sonno sul sedile affianco, rizzò il capo e aprì gli occhi. Osservò Jana con sguardo trepidante, mentre le sue mani correvano a tastare i sedili per ritrovare la sua penna.
Dianna aprì la bocca in un moto di stupore. "Che cosa? Quando?"
"Quando vi ho chiesto di lasciarmi sola con lui." Jana scrollò le spalle, ostentando un'indifferenza che non provava, perché, in realtà, nel profondo della sua anima covava una tempesta di sensazioni contrastanti.
Dianna fu sul punto di domandarle cosa l'avesse spinta ad abbandonarsi all'istinto e per quale ragione si era sentita quasi in obbligo di manifestare i suoi sentimenti attraverso una trovata -se così poteva essere definita- tanto intima come un bacio. Tuttavia, trovò presto una risposta: Jana aveva voluto liberarsi di quei pensieri che avrebbero finito solamente per corroderle lo spirito se avessero continuato ad agganciarsi al suo cuore come edere rampanti. Aveva deciso di non mentire più. La sua passionalità l'aveva travolta. Aveva seguito i sentimenti e non la ragione. Dunque, l'unica domanda che istintivamente le spirò dal cuore fu: "Che cosa... che cosa hai provato?"Jana portò una ciocca di capelli dietro l'orecchio, inumidì le labbra e le strinse per un attimo; dopodiché raggomitolò le mani in grembo e mosse per qualche istante la schiena contro il sedile, sino a trovare una posizione comoda che le garantisse di rilasciare quella che credeva prospettarsi come un'intervista.
Elena, intanto, dopo aver trovato la penna, l'aveva liberata dal suo tappo.
Jana le lanciò un'occhiata rapida. "Ottimo, ancella, scrivi. Voglio ricordare. Voglio ricordare tutto." Poi tornò a Dianna. "Liberazione. Ho sentito come un vento... un vento dentro di me che soffiava per purificarmi da... da un peso, da un macigno, quasi da un peccato. Il peccato del silenzio, perché sono stata una sciocca a rinchiudere i miei sentimenti per così tanto tempo. I sentimenti non vanno imprigionati. È quanto di più romantico e astratto ci sia al mondo. Devono rappresentare un vanto, non una vergogna." Il suo viso tradiva una sorta di impassibilità. Rivolse un'occhiata perplessa ad Elena. "Riesci a scrivere al buio?"
"Sì... sono... abituata."
"Mi auguro che tu abbia la decenza di avere una grafia leggibile."
Elena annuì docilmente.
Dopo essersi assicurata che il vento che vorticava nell'abitacolo dal finestrino abbassato riecheggiasse stentoreo nelle orecchie di Byron sino a privarlo dell'udito, Jana continuò: "Un bacio è come intraprendere un legame: non hai idea di che natura sarà quest'ultimo, ma hai sancito l'inizio di qualcosa. Se sei fortunata, il vento soffierà a tuo favore e farà gonfiare le vele della tua barca, altrimenti un'onda burrascosa ti sommergerà e ti sputerà via. Ma potrai essere fiera di aver azzardato, di averci provato. Quantomeno non sei rimasta ancorata sulla spiaggia, hai deciso di rischiare." Dopodiché ascoltò l'eco delle sue parole e chiuse gli occhi come se fosse inebriata da una melodia aggraziata. Gorgogliò qualcosa e ammiccò ad Elena: "Page, credo di poter diventare una nuova stella della letteratura. Non è poetico quello che ho detto?"
Elena mugolò qualcosa e annuì di consuetudine ancora una volta.
"In ogni caso," Jana lasciò scivolare lo sguardo su Dianna e si avvicinò al suo orecchio, "ricorda che l'unico modo per resistere alle tentazioni, è cedervi. Così diceva Oscar Wilde -e sì, so chi è- e devo ammettere che aveva ragione. I vecchi saggi non tramontano mai."
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"Dianna, voglio presentarti phon." Jana parlò. "Phon, lei è Dianna."
La sirena osservò con diffidenza e perplessità l'oggetto che Jana reggeva tra le mani. Poi, quando la compagna premette il dito su un bottone e una vampata di aria calda le soffiò improvvisamente sul viso, urlò spaventata e arretrò, schermandosi il volto con le mani.
Jana era seduta sul bordo della piccola vasca, le gambe accavallate e l'accappatoio bianco stretto in vita che si scioglieva in uno spacco all'altezza delle sue cosce magre. I capelli corvini sulla spalla erano ancora umidicci e gocciolanti dall'ultimo bagno, ma la sua pelle profumava di fresco. Dopodiché, mosse lo sguardo verso la sirena e allungò una mano nella sua direzione per rassicurarla. "È solo un asciugacapelli, se il nome phon ti spaventa. In Russia -o in qualunque posto sperduto nel mondo dal quale tu provenga- non ne hai mai visto uno? Dio, bisogna rimediare. Un phon è come lo smalto: è il migliore amico di ogni donna!"
Dianna aprì gli occhi e si costrinse a guardare lo strano aggeggio nero che spirava magicamente aria come spinto da una forza demoniaca. Deglutì e si fece avanti.
Jana le posò il phon -Dianna pensò fosse un nome strano- tra le mani e la osservò con occhio speranzoso. "Ora asciugami i capelli."
"Che cosa?"
Jana ammiccò all'asciugacapelli e si rivolse alla compagna con voce ovvia, come se non reputasse possibile ella non l'avesse compresa. "Con il phon. Sai, spazzola... phon? Tutto questo non ti dice niente?"
Dianna scosse il capo.
Jana riprese il phon tra le mani con un brusco movimento burbero e sospirò afflitta. Dopodiché urlò con voce fragorosa: "Page! Vieni ad asciugarmi i capelli!"
Nella camera contigua una sedia strisciò sulle mattonelle e alcuni passi rapidi e attutiti andarono avvicinandosi. Pochi istanti dopo, Elena comparve all'uscio del bagno, la penna infilata nel taschino esterno della giacca di rigore e un paio di fogli scribacchiati nascosti tra la camicia e la gonna. Entrò silente nella stanza e prese l'asciugacapelli dalle mani di Jana, dopodiché si posizionò dietro di lei, afferrò un pettine posato sopra lo scivolo del lavandino e ne infilò i denti tra i capelli di Jana. Quest'ultima chiuse gli occhi e si abbandonò ad un gemito di apprezzamento, gettando il capo all'indietro e spingendolo contro la mano di Elena, quasi volesse facilitarle il lavoro. Poi sorrise. "Essere pettinata è la sensazione più piacevole del mondo. È un dolce massaggio, rilassante, carezzevole. Potrei stare in questa posizione per ore intere, senza preoccuparmi di alcuna cervicale."
"Cervicale?" domandò perplessa Dianna. "Lascia perdere."
Elena allungò la mano verso Dianna e le tese il pettine, facendole cenno di posarlo sullo scivolo del lavandino. Invece, la sirena iniziò a rigirarlo tra le dita.
Jana aprì gli occhi e guardò Elena attraverso il riflesso dello specchio appannato dinanzi a sé. "Voglio gli stessi capelli di Dianna. Se riuscirai nell'impresa, quando usciremo da questo tugurio prometto che appenderò manifesti pubblicitari in tuo onore dove invito l'intera popolazione a comprare il tuo ultimo romanzo, purché esso sia la mia biografia." Sul volto di Jana comparve un sorriso satirico.
Anche Dianna guardò la compagna attraverso lo specchio. "I tuoi capelli sono meravigliosi, Jana. Sono lucenti, morbidi, lunghi, profumati e sono neri! A te piace così tanto il nero! Ti ricorda il... " Dianna tentennò, "il cock..."
"Il rock." Jana la corresse prontamente con un'occhiata algida.
La sirena continuò: "Non vedo perché dovresti averli come i miei."
"Perché i tuoi capelli sono fantastici, Dianna." Jana prese a gesticolare con enfasi e foga. "Quel rosso sgargiante, accecante, abbagliante, frastornante! Ogni ragazzo che sposta lo sguardo su di te rimane affascinato dai tuoi capelli, come se essi nascondessero un segreto, una pozione, qualche spuma magica che intrappola gli uomini nella tua rete di seduzione."
Dianna inarcò le sopracciglia e strinse il pettine tra le dita. "Non esagerare."
Jana iniziò ad osservare attraverso lo specchio le proprie labbra che si abbandonavano a sospiri sofferenti, mentre giudicava con sguardo critico i movimenti di Elena alle sue spalle. "Vedi, Dianna, i tuoi capelli sono come il sole allo zenit. Così lucenti che abbagliano! E tu abbagli chiunque ti guardi."
Dianna la ringraziò con un debole sorriso imbarazzato, poi mormorò: "Ti prego, non dire così."
"E invece sì. E invece sono costretta a dirlo, perché è la verità ed è ciò che penso in quest'istante e che ho sempre pensato, e tu sai che non posso tacere davanti all'evidenza." Jana distolse l'attenzione dalle dita di Elena e osservò gli occhi di Dianna. "Tu sei meravigliosa -dentro e fuori- anche se spesso non permetti a nessuno di scavare dentro di te. Sei un mistero, uno di quei silenziosi enigma. Ho sempre pensato tu nascondessi qualcosa, ma non ho mai voluto privarti della tua maschera, e non voglio farlo ora. Non amo invadere la sfera privata delle persone." Jana sospirò. "E c'è qualcosa di affascinante in te. A volte mi chiedo se ci sia qualcosa di simile anche in me. E non è per invidia o altro -non ho mai sofferto per simili sentimenti, perché adoro come ho costruito il mio modo di essere- ma somigliare a te per un istante mi darebbe la certezza di non aver bisogno più di nulla per credere in me stessa."
Dianna pensò ci fosse qualcosa di malinconico nelle parole di Jana. Esse fluivano lente, faticose, spossate, come se stessero trasportando un macigno. La sirena chiuse gli occhi e provò ad accennare un sorriso, ma il suo volto rimase immoto nello sconforto. Poi li riaprì e lesse negli occhi di Jana -che la osservavano insistentemente- la paura. Dianna avanzò queste parole: "Anche in te c'è qualcosa affascinante, qualcosa di realmente affascinante, perché tu non indossi una maschera, ti mostri per quello che sei. E..." La sirena pausò per un istante per trovare le parole, "non sono mai stata abituata a manifestare i miei pensieri, però sento l'urgenza di rassicurarti: ti ho sempre ammirata. Ma ciò non significa che io voglia essere come te, no, è differente: averti come modello mi spinge a ricercare me stessa, perché vedo te... te che non hai timore di essere te stessa. E se tu vedi in me... fascino, femminilità - caratteristiche che io ancora non credo di avere- cerca anche tu il fascino e la femminilità che meglio ti si addicono. Ma imprimi il tuo marchio. Crea il tuo fascino, la tua femminilità, perché -una volta ho sentito questa frase- è meglio fallire in originalità che avere successo in imitazione." Dianna sentì quasi l'impulso di avanzare un passo e prendere la mano della compagna, ma sapeva bene che Jana detestava qualunque forma di compassione che travolgesse la solidarietà. "Ieri hai detto che c'è qualcosa di splendido nell'unicità delle persone. Non lasciare che questa tua convinzione venga calpestata dalla mancanza di sicurezza." Poi chinò lo sguardo sul pettine, ne sfiorò i denti, inclinò il capo e ne considerò la forma; dopodiché disse, senza sollevare lo sguardo: "Byron sarà apprezzarti per ciò che sei."
Quella mattina, durante il tragitto di ritorno, Jana aveva confessato a Dianna che Byron, dopo l'improvviso bacio in spiaggia, le aveva chiesto di incontrarsi la sera stessa al loggiato del Massbury Institute. Da ciò derivava l'agitazione di Jana, sempre più incline a pensieri pessimistici. In parte, la sirena comprendeva l'amica, perché attraverso quest'ultima vedeva il lato negativo dell'amore, costituito da timori e insicurezze. L'altro lato dell'amore, invece, doveva ancora scoprirlo.
Prima che Elena premesse il dito sul pulsante d'accensione del phon -e quindi prima che la stanza fosse invasa da un tornado di vento caldo e rumoroso- Jana chiese a Dianna: "E se non dovesse farlo? Se Byron non dovesse apprezzarmi?"
"Se non dovesse farlo, non merita le tue attenzioni."
Jana mostrò un debole sorriso ed espirò, come se gettare fuori l'aria l'aiutasse ad allontanare anche le proprie insicurezze. Dopodiché, Elena accese l'asciugacapelli e ogni voce venne sopraffatta. La sirena rimase a rigirare il pettine tra le dita e ad osservare lo sguardo speranzoso e taciturno di Jana attraverso lo specchio.
Non trascorse molto tempo perché Jana alzasse e agitasse convulsamente le braccia verso Elena per intimarle di spegnere il phon. Poi si volse repentina verso Dianna e i suoi capelli fendettero l'aria spruzzando miriadi di gocce d'acqua sul pavimento. "Qualcuno ha bussato alla porta. Ho un buon udito."
Dianna annuì. "È Trit... Tristan."
Jana alzò un sopracciglio e squadrò la sirena con occhio sospettoso e circospetto, ma decise di reprimere le proprie riflessioni.
Dianna arretrò verso la camera e mosse lo sguardo alla ricerca della propria giacca. Era una sera fredda. Poi bisbigliò con voce distratta. "Devo... andare. E, Jana, ricorda ciò che ti ho detto."
Dal bagno, Jana sollevò il pollice e annuì. Tornò a guardare lo specchio, poi -nell'istante in cui Dianna posò la mano sulla maniglia per uscire- schiaffeggiò con un brusco colpo la mano di Elena per impedirle di riaccendere il phon. Allungò il collo verso Dianna. "Sì, va' da Tristan. Lui è capace di scavare dentro di te."
La sirena abbozzò un sorriso. Avrebbe voluto analizzare e studiare maggiormente le parole della compagna, ma il tempo sembrava stringersi, ritirarsi e trascinarla con sé. Così aprì la porta e si inoltrò nel corridoio, ma prima di farlo, fece cadere il pettine a terra.
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Il silenzio era troppo denso.
Dianna non sentiva neppure il leggero, monotono e ritmato cammino delle lancette sul quadrante della sveglia al quale si era abituata. Avvertiva solo il respiro pacato di Tristan alle sue spalle -che si reggeva sui gomiti sulla coperta di lana rossa- e l'abbraccio caldo della luce lunare che le avvolgeva la schiena. Le spalle di Dianna erano avvolte dalla giacca dell'uniforme scolastica, le cui maniche pendevano lascive nel vuoto, mentre le braccia erano allacciate attorno alle ginocchia. Il suo sguardo si perdeva lontano, oltre le sbarre della cella spoglia: guardava, ma non vedeva nulla.
Il buio si stendeva come una bandiera di guerra, alitando morte. Eppure Dianna non aveva paura. Si ritrovò a pensare: non temeva la morte, non temeva la guerra, non temeva Eryx e Ippotoo, e quando la sua mente tentò di trovare la ragione di tale -probabilmente- indolenza, il suo sguardo corse su Tristan.
Non aveva più paura di lui. Piuttosto, qualcosa dentro di lei si sarebbe spezzato se lui l'avesse privata della sua protezione. Lo guardò in silenzio.
Anche lui ricambiò dolcemente il suo sguardo, alternando occhiate dalle sue labbra ai suoi occhi mare, come se dal loro riflesso volesse carpire i suoi pensieri. Dopodiché lo vide alzarsi a sedere e farsi vicino a lei. E Dianna -odiava ammetterlo- non si scostò dal suo corpo perché ne aveva dannatamente bisogno.
Tristan allungò le mani verso i suoi capelli e li prese tra le dita. Con il tatto ne considerò la morbidezza e con gli occhi la lucentezza, il colore, la meraviglia che sprigionavano. Poi si avvicinò al suo viso, scostò una ciocca di capelli dalla fronte di Dianna e ne inspirò il profumo con enfasi.
Dianna rabbrividì e i suoi occhi si mossero veloci per trovare qualcosa di materiale su cui posarsi affinché ricevesse la solidità e la sicurezza che la vicinanza di Tritone aveva frantumato.
Tristan parlò: "I tuoi capelli sono meravigliosi..." Con la mano ne seguì il tracciato sulla sua schiena, li accarezzò dolcemente e ne avvolse una ciocca tra le dita. Ne prese un'altra tra le mani e Dianna avvertì un piacevole brivido setacciare con fervore le sue vertebre.
Le parole di Tritone non si discostavano molto da quelle precedenti di Jana -pensò Dianna- ma nel tono con cui le aveva proferite era impresso qualcosa, il marchio che lo distingueva, quel calore che la sua voce le infondeva, stentorea e persuasiva com'era.
Dianna si beò del suo tocco delicato, della sua carezza suadente, che rendeva i suoi sensi sensibili e appagati. Poi aprì gli occhi e alla mente le ritornarono le parole di Jana.
Essere pettinata è la sensazione più piacevole del mondo. E' un dolce massaggio, rilassante, carezzevole.
Si volse verso Tristan: i loro visi erano vicini, tantoché i loro respiri si mescolavano. Fissò gli occhi sui suoi e vi lesse attesa. "Pettinami."
"Che cosa?"
"Pettinami," ripeté Dianna.
Tristan aggrottò la fronte, ma le sue labbra si stesero in un sorriso improvviso. Aprì maggiormente la mano e fece scorrere le dita tra i suoi capelli.
La sirena scosse il capo, posò una mano sulla sua e la allontanò dolcemente. "No, non così."
"E come?"
"Con il pettine."
"Prendilo, dunque."
Dianna si alzò e lisciò il tessuto della sua veste, stringendo la giacca sulle spalle. Fece per muovere qualche passo, ma la voce possente di Tritone alle sue spalle la fermò. "Dove intendi andare?" Il tono in allerta.
La sirena si voltò. "A prendere il pettine."
Tristan scosse il capo e batté ripetutamente il palmo della mano sulla coperta. "Tu non vai da nessuna parte. Tu ti siedi qua. Non uscirai di qui."
"E perché?" La voce di Dianna si tinse di arroganza.
Tritone sbarrò gli occhi e si alzò in tutta la sua robustezza magnanima, compitando con accuratezza le parole: "Perché è pericoloso e io non intendo spingerti nel pericolo più di quanto tu non sia già."
"Non sono in pericolo se ci sei tu." Dianna avrebbe voluto portare una mano alla bocca dopo aver pronunciato quelle parole, che, dal cuore, avevano raggiunto le sue labbra senza frenare.
Tristan trasalì sbalordito, ma tentò di mascherarlo con un rapido colpo di tosse che lo obbligò a portare il pugno davanti alle labbra e a nascondere il viso per un istante.
"Per favore." Dianna insistette con voce metodica e querula.
Tristan osservò i suoi occhi, come se essi celassero una profonda tentazione. Le si fece vicino e le infilò una mano tra i capelli, sentendo la sirena inebriarsi e scemare nella sicurezza al suo tocco. "Non posso pettinarli così? Con le dita? E sentire sotto i polpastrelli la loro morbidezza? Devo davvero permettere che sia un pettine a gustare ciò che potrebbero avvertire le mie mani?"
Dianna alzò lo sguardo su di lui: i suoi occhi avevano un'influenza magnetica e il loro sforzo per dissuaderla dalla sua idea era ammirevole. Ma la sirena scosse il capo. "No. Il pettine è più..." Si interruppe. "Più...?" Tristan incalzò.
Intimo.
"Niente."
"Ti accompagno." Tritone fece per aprire la rugginosa porta della cella, ma Dianna lo fermò.
"No, in due potremmo dare nell'occhio."
"Allora vado io."
"E mi lasceresti qui, da sola, al buio, al freddo, scoperta da ogni protezione?"
Tristan alzò un sopracciglio e la studiò in viso. "Sei così complicata."
Dianna sorrise. "Torno subito."
La sirena si inoltrò nel buio feroce delle scale che portavano al mezzanino dell'istituto. Per la prima volta trovò il coraggio di raccogliere la gonna della veste tra le mani e salire i gradini delle scale che, però, i suoi occhi non riuscivano a distinguere. Alle sue spalle, sentiva l'agitazione scaturire dalle mani di Tritone che stringevano le sbarre della cella.
La penombra e i contorni distorti delle lunghe pareti tappezzate di una lurida carta da parati si sostituirono alla completa assenza di luce dei sotterranei.
Dianna condusse i propri passi verso i corridoi. Le porte dei dormitori erano chiuse, sigillate nel loro torpore notturno, e le luci degli allarmi scarichi lampeggiavano spaventosamente.
Il corpo di Dianna fu scosso da un tremore. Non le piaceva come quel silenzio criptico profanava l'istituto. Avanzò con una camminata lenta, impercettibile e prudente, mentre lo sguardo descriveva tragitti incompiuti e spezzati. Riuscì a distinguere nella penombra la stanza numero 73 -la sua stanza- e vi si diresse accelerando il passo e ignorando, invece, quelli che stavano avanzando verso di lei. Le sue orecchie non colsero quelle camminate rapide e i suoi occhi non carpirono le sagome delle due figure. Dianna comprese di aver imboccato l'immaginario tunnel del pericolo quando due braccia la sollevarono da terra e due mani le coprirono il viso.
E sentì con nitidezza la porta di quel tunnel chiudersi alle sue spalle, sigillata forse per sempre.
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Finalmente Jana ha baciato Byron, yeeeeeeeee! Che ne pensate delle parole che ha rivolto a Dianna? Ricodate la citazione di Oscar Wilde... servirà nei prossimi capitoli.
Il phon maledetto ahahaha
Diciamo che non riesco davvero a capire Dianna: potessi farmi pettinare io dalle mani di Tristan!
Che ne pensate dell'avvicinamento tra i due? Ci siamo quasi al momento tanto atteso... *tace*
Non vi scandalizzate per il "cock", l'ho fatto apposta per far apparire Dianna più stupida *malefica*
Comunque, sicuramente avete capito chi sono le figure che hanno rapito Dianna.
Come reagirà Tristan? E, soprattutto, come lo scoprirà? Verrà aiutato? Chissà...
Fatemi sapere che ne pensate. Votate e commentate!
Grazie mille come sempre per il vostro sostegno!

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