Capitolo 42

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Tristan si era lasciato cadere sulla coperta e ora esaminava con sguardo fermo il soffitto. In realtà, neppure il più acuto degli osservatori avrebbe potuto dire se la sua mente era più impegnata a pensare o a fissare effettivamente le crepe grigiastre che correvano lungo le pareti.
Senza la presenza di Dianna -pensò- quella cella odorava di marcio, come se una pompa avesse aspirato il suo profumo. Tritone amava il modo in cui la sirena lo aveva osservato, amava quel sorriso lievemente accennato sul suo viso quando si decideva a guardarlo con occhio diverso. Inoltre, il loro rapporto stava cambiando, qualcosa in loro si stava intensificando, la loro conoscenza si era tramutata in confidenza, e Tristan non avrebbe potuto definirsi più felice.
Ma, ora, ogni secondo si faceva più pesante. Era come se il tempo avesse rallentato il suo scorrere per prolungare quell'eterna agonia. Ogni minimo rumore, cigolio o crepitio lo faceva scattare sull'attenti come un soldato sulla linea di guerra: infatti si alzava immediatamente a sedere e allungava lo sguardo a scrutare oltre il banco di oscurità fuori della cella, sperando nel ritorno di Dianna.
La sirena, però, non tornava.
Trascorsero così i minuti, in un burrascoso avvicendarsi di sensazioni: dapprima il terrore suscitava in lui un triste presagio, poi una colorata speranza placava le sue paure, e poi ancora terrore.
Sospirò.
Sospirò ancora e si rigirò tra la coperta. Dopodiché si alzò a sedere. Quella posizione non era comoda. Quindi si alzò e prese a camminare lungo il perimetro della cella come un fantoccio.
Portò le mani alla testa.
Respirò affannosamente, sino a che il suo cuore non parve scoppiargli nel petto. A quel punto afferrò la giacca abbandonata sul pavimento e se la infilò distrattamente, non curandosi di spiegare le increspature che andavano arricciandosi sulle maniche. Corse fuori della cella e salì le ripide sale, il cuore in gola e le speranze accartocciate come carta nel fuoco.
Respirava a fatica.
Quando si affacciò sui corridoi dell'istituto, i suoi occhi si mossero rapidamente alla ricerca di quei capelli rossi che gli incendiavano i sensi, senza frenare lo sguardo apprensivo e attento.
Ma l'oscurità aleggiava sulle corsie come bruma nera. Solamente il cadenzato lampeggiare degli allarmi perforava quel vicolo ombreggiato, imitando e scandendo i battiti insostenibili del suo cuore.
Ovunque osservasse, Tristan pregava con animo disperato e agonizzante di vedere quel rosso o di scorgere in lontananza quegli occhi oceano brillare nella penombra. Ma vedeva solamente il riflesso dei propri occhi ricercare qualcosa che non c'era.
Tristan avanzò correndo e ad ogni suo passo rapido qualcosa cigolava all'interno dei dormitori: alcuni lamenti sonnolenti si alzavano, accompagnati da mugolii contrariati e infastiditi. Se Dianna era stata sincera, avrebbe dovuto attraversare quel corridoio per raggiungere la sua stanza, ancorata alla parete di destra, ma Tristan non riusciva né a percepire la scia del suo profumo né a distinguere la sua sagoma in lontananza. Vide solamente qualcosa di scuro accasciato sul pavimento. Assottigliò lo sguardo vigile: era una giacca.
La giacca di Dianna.
Il terrore gli morse le vene, gli seccò il sangue in corpo e gli gelò la capacità di riflettere razionalmente e obiettivamente. In quel momento, solo due nomi pulsarono nella sua testa: Eryx e Ippotoo.
Pertanto i suoi passi raggiunsero senza indugi la porta della camera di Dianna. Vi bussò così potentemente che avvertì la pelle delle dita squarciarsi contro il legno e il sangue macchiare le sue unghie. I tonfi dei colpi inferti sulla porta riecheggiarono in un'eco sorda lungo il corridoio. "Apri!" urlò Tristan.
Dopodiché allungò le braccia sugli stipiti e vi si resse, lasciando che la testa sprofondasse e s'incassasse al suo petto.
I pensieri nuotavano nella sua testa come un'onda che ancora non ha trovato il suo posto nel mare.
Un fischio acuto batteva sulle sue tempie e il respiro si spezzava ad ogni ansimo. Lanciò un colpo ferreo alla centralina dell'allarme che aveva iniziato a gridare fastidiosamente, e la mise a tacere. "Apri!" ripeté con più enfasi, la voce che toccava note basse e rauche.
Alcuni passi si mossero all'interno della stanza. La porta venne aperta ed Elena -con le spalle avvolte da uno scialle scuro- alzò lo sguardo su Tritone e lo osservò con sguardo interrogativo.
Sembrava sola.
La finestra alle sue spalle era aperta.
Prima che la ragazza potesse parlare, Tristan irruppe con veemenza nella camera, i passi pesanti come pietre e i capelli che scivolavano sulla fronte ad ogni movimento brusco e nervoso. Si avvicinò alla porta del bagno e la spalancò con un calcio, per poi slanciare lo sguardo al suo interno, ma quando vide che la stanza era vuota, la sua attenzione tornò alla camera. Girò attorno ai letti e ne afferrò le lenzuola, scoprendoli e battendo le mani sui materassi sbilenchi. "Dov'è Dianna?" La sua voce scosse le pareti.
Elena si mantenne ad una notevole distanza da quel corpo che sembrava elettrizzato da uno spirito demoniaco. Arretrò di un passo e portò lo scialle al collo. "Io... non lo so. Credevo fosse con te."
"Non c'è. Aveva detto che veniva qui a..." Tristan lanciò un cuscino sul pavimento, come se si aspettasse di trovarvi sotto la sirena raggomitolata. "... a prendere il pettine."
Elena si voltò. "Il pettine è lì... sul pavimento."
Tristan seguì il suo sguardo e il suo corpo si pietrificò per un istante. Prima che potesse giungere ad una conclusione, le lacrime si erano già addossate, schierate in fila come militari, al ciglio dei suoi occhi. Lo sguardo ghiaccio si appannò e sembrò trasparente. Poi si ridestò e camminò verso Elena.
La ragazza arretrò, finché la sua schiena non incontrò la parete alle sue spalle. Tristan allungò le braccia ai lati del suo capo e la imprigionò nella sua morsa. La osservò come un uomo disperato. "Dimmi dov'è. Ti prego, dimmi dov'è."
Elena rimase in silenzio, ma sostenne con abilità il suo sguardo. Restò a straziarlo per qualche momento, regalandogli solo il suono del silenzio. Poi annuì lievemente e gli fece cenno di indietreggiare. "Ti aiuterò, ma... allontanati."
Tritone retrocedette di qualche passo e lasciò ricadere le braccia sui fianchi, in attesa.
Elena avanzò e lo superò, rivolgendogli la schiena. Poi strinse le braccia attorno alle sue spalle e Tristan vide, dallo specchio delle vetrate della finestra, i suoi occhi chiudersi. Sembrava pensare, riflettere, sognare. Il corpo della ragazza sembrò essere scosso da spasmi, come se gelide scariche elettriche si stessero profondendo in una carezza. Poi grugnì e chinò il capo, come dolorante. Un lamento stridulo le uscì tra i denti serrati.
Le speranze di Tristan si dissolvevano ad ogni secondo trascorso nella più totale assenza di suoni.
Dopodiché, Elena aprì gli occhi. Non si voltò quando disse: "Put In Creek Road. C'è un... un casolare abbandonato. È lì."
Tristan le rivolse uno sguardo grato. Non le chiese quale identità superiore si fosse impadronita di lei per aiutarlo. Non erano importanti le domande. Non attese: si voltò e sparì, correndo via più veloce di come era arrivato.
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Tritone, ora, guidava la Chevy Camaro con più veemenza e rapidità di quanto non aveva fatto lungo la Interstate 64 il giorno prima. Eppure, dinanzi a lui si stendevano solamente stretti viali dissestati, riempiti di un sottile strato di ghiaia che il vento aveva trasportato dal mare poco lontano. Accelerò e diede di sprone.
La sua mano destra si mosse verso il cambio marce, che afferrò con un'arroganza belluina e con una collera così acerba che un travaso di bile lo investì e l'animo gli andò in veleno. La sua mano sinistra, invece, si stringeva con abilità attorno al volante: le nocche delle sue dita sbiancarono sotto la stretta.
Il suo sguardo era incollato alla strada che dilagava oltre il parabrezza: l'asfalto sembrava ferirsi sotto il graffio delle ruote della Chevy e i marciapiedi si piegavano supplichevoli alla luce pulsante dei fanali. L'alone luminoso rischiarò le figure di un paio di anziani stretti l'uno all'altro che camminavano lentamente e cautamente sul ciglio della strada: al passaggio fulmineo di Tristan, trasalirono. Ma il ragazzo, in quel momento, aveva annullato ogni inclinazione ad interessarsi del mondo che lo circondava: i suoi occhi, la sua mente, il suo animo ed il suo cuore erano solamente proiettati verso il suo scopo, ferrei, inflessibili.
Tristan aveva già preso la sua decisione: avrebbe scatenato una guerra contro Eryx e Ippotoo.
Una battaglia fredda, inumana, letale. Tempo addietro, aveva analizzato con più scrupolo e con più ragionevolezza il medesimo pensiero, ma aveva promesso a se stesso di agire e di sfuriare con le proprie vendette quando fosse iniziata la vera guerra, quella contro i Titani. Ma ora, che stava guidando ad una velocità insostenibile, smisurata e inestimabile, la sua mente fu trascinata in un vortice di sensazioni e di emozioni violente ed ancestrali: non avrebbe atteso i Titani per avere la sua vendetta.
Dianna gli aveva rapito il cuore, oramai. E la sofferenza di quella sirena avrebbe avuto una degna giustizia: la sua.
I suoi pensieri -furibondi, bisbetici, disperati e passionali-, avvicendandosi con la sveltezza di un ingranaggio meccanico che ruota sempre su se stesso, divorarono la sua mente e il tempo.
Tristan non contò gli attimi, i secondi e i minuti: essi scivolavano sulla sua pelle e si disintegravano in volo.
Raggiunse in corsa la periferia di Mathews, un complesso di distese pianure trascurate, dove l'erba cresceva alta ed incolta, lasciata martirizzante sotto le intemperie del giorno e della notte. Solamente qualche vecchio magazzino e un paio di piccole fabbriche tessili svettavano alte ma non troppo imponenti verso il cielo rabbuiato, accompagnate occasionalmente da modeste botteghe e da altrettanto umili ristoranti oramai chiusi.
Quando Tritone svoltò con un fischio in Church Street -facendo ululare moribondo l'asfalto- le strade iniziarono a restringersi, come spinte sui lati da temibili giganti. Essendo il lungo viale rettilineo, il suo piede affondò sull'acceleratore senza titubanze. Il paesaggio gli sfrecciò affianco come la pellicola di un filmato velocizzato.
La luna controllava ogni suo movimento, proteggendolo come una madre in apprensione.
Dopodiché, con una brusca sgommata che scatenò scintille sulle ruote, Tristan s'inabissò, finalmente, in Put In Creek Road. Era un viale dalla lunghezza sconfinata ma dal bitume sconquassato che si mescolava al pietrisco dei campi adiacenti. Il deserto di vita che languiva in lontananza era intriso di una nebbia solferina. Solamente un antico casolare abbandonato spezzava quella malinconica monotonia.
Il casolare.
Tristan inchiodò violentemente, spingendo distratto la Chevy sul ciglio della strada. Scese dall'abitacolo come un montone infuriato.
Il vento della notte gli sferzò le braccia e il viso, lasciando che il tessuto della sua camicia si dimenasse contro il suo petto. Dopodiché iniziò a correre, trapanando l'aria gelida: i capelli s'alzavano al vento e le gambe si scaldavano, mosse dall'adrenalina, dal terrore e dall'ira. Tritone non avrebbe saputo dire con certezza quale di queste tre sensazioni lo imprigionasse maggiormente.
Non trascorse neppure una manciata di secondi perché Tristan si ritrovasse, grondante di sudore, dinanzi al lercio casolare. I suoi occhi si levarono a descriverlo: era il retro di una sporca fattoria dai mattoni bianchi e dalla tettoia arrugginita. Qualche pietra restava pericolosamente in bilico sui davanzali delle piccole fessure -rimanenze di antiche finestre- adornate dai fili di lunghe ragnatele che sbattevano al vento. Un comignolo oramai in disuso era ricoperto di cenere rinsecchita, mentre sulle pareti esterne correva qualche pianta d'edera rampante.
Tristan, con un calcio, sfondò la grande porta di legno ed entrò. La sua figura venne seguita dalla flebile luce lontana della luna, che aprì un varco luminoso all'interno del casolare.
L'arco lunare rischiarò un paio di grandi balle di fieno abbandonate su fastelli di paglia, dalle quali si levava un tanfo nauseabondo di lerciume.
Costretto a socchiudere lo sguardo alle folate di aria malsana che gli intaccavano gli occhi, Tritone avanzò di un passo, camminando sulla porta crollata sulla paglia.
Silenzio.
Un sommesso cigolio sembrò arrestarsi alla sua entrata.
Tristan volse lo sguardo circospetto, le braccia robuste tese lungo i fianchi e le spalle ampie che avrebbero sollevato il mondo per vendetta.
D'un tratto, come se la luna cambiasse posizione alle sue spalle, l'alone luminoso sembrò muoversi verso un angolo del casale.
E le figure di Eryx e Ippotoo risaltarono come spettri in rilievo, immobili, pietrificati. Prima di soddisfare il suo desiderio di sangue, però, gli occhi di Tristan ricercarono altro: vide, all'angolo opposto, il corpo esanime di Dianna steso lascivo sulla paglia, le braccia legate dietro la schiena, un bavaglio nella bocca e la pelle evidenziata da profondi tagli. Solamente quando la vide in quel triste stato, Tristan capì di amarla.
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Chiaramente finisco in suspance perché sono crudele, muahahahah.
Ecco il compito della nostra Elena nella storia: salvare la vita a Dianna. Senza il suo aiuto, probabilmente Tristan non sarebbe giunto in tempo.
Che ne pensate del Tritone disperato che sfreccia come un pilota della Formula Uno?
È abbastanza minaccioso quando entra nel casolare?
Questo è forse un capitolo di passaggio, però c'è una graaaaande rivelazione alla fine. La ama! La ama! *fuochi d'artificio*
Secondo voi, Dianna è svenuta? Morta? Oppure ancora viva?
La sfuriata di Tristan si vedrà nel prossimo capitolo.
Piccolo spoiler: vedremo un Tritone adirato ma anche premuroso nel capitolo 43.
Come ben capite, il Massbury Insitute non è più un luogo sicuro per i nostri piccioncini, che saranno costretti a fuggire. Quindi, dato che la storia ora inizia a focalizzarsi sulle figure di Tristan e Dianna, saremo costretti a non sentire per un po' Jana, Elena, Byron e Kristiàn, ma non disperate: scriverò di loro, di come la loro vita procede al Massbury Institute. Vi dico già per certo che appariranno nel capitolo 53, che ho già scritto, ma, se ho altre idee, posso scrivere di loro anche prima, dovrei solo trovare il capitolo giusto per attaccare il loro punto di vista.
Inizialmente, avevo in mente di farli apparire solamente nell'epilogo, poi ho capito che mi avreste lanciato il Monte Bianco in testa, e ho deciso di farli intervenire prima ahahahaha
Comunque, ora la storia cambierà scenario, capirete perché.
So che pensate al bacio e *rullo di tamburi* arriverà tra poco, quando meno ve lo aspettate.
Fatemi sapere che ne pensate! Votate e commentate!
Grazie mille per il vostro sostegno, buona domenica!

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