Capitolo 69

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Se nel suo corpo, nel suo corpo -in qualche modo- divino ed immortale, si fosse conservata una traccia di umanità nei battiti del cuore, ora Eryx avrebbe considerato una lastra di pietra ogni organo del suo corpo. Difficilmente riusciva a respirare e sentiva le sue braccia perdere flessibilità: esse erano rigidamente distese lungo i fianchi, come inermi.
I suoi occhi -che ora erano di un colore indefinito ed indistinto- persero ogni tipo di sfumatura e divennero un'unica pozza scura. Sentiva crescere gradualmente un fastidioso pizzicore che partiva dalle vertebre centrali, gli percorreva i fianchi e gli stringeva le braccia fino a stringerle in una morsa quasi metallica: Eryx si sentiva perforato, infilzato, come una forchetta con un'insipida pietanza.
Vide Tritone dinanzi a sé, con gli occhi macchiati dalla tempesta dei sentimenti, e con i pugni stretti che si contraevano in spasimi incontrollati. I suoi pollici, nascosti sotto le altre dita piegate, schioccavano in continuazione, producendo un'eco di triste presagio che rimbalzava sulle pareti.
Vide Tritone allungare lievemente una gamba sul lastricato, mettersi in posizione e bilanciare il peso sul fianco destro, e oramai aveva imparato a capire che ciò non portava buona sorte.
Ricordò i momenti in cui si erano battuti ad Alexandroupolis, e pensò anche che avrebbe voluto usare maggiormente la spada contro di lui. Avrebbe voluto sentire sotto le dita la daga stridere, incrinarsi, per poi spezzarsi, magari, purché avesse la certezza di essersi battuto fino alla fine. Ma ciò evidentemente non era accaduto, perché Tritone era lì, e lo guardava, acerrimo nemico più di prima.
E d'un tratto, Eryx rimembrò anche la sera in cui Tristan, al casolare, furioso ed innamorato, aveva accantonato la vendetta per riprendersi la sua donna, che gli era stata sottratta, dunque Eryx credette di essere stato così sciocco a credere che, questa volta, invece, Tristan non avrebbe vinto.
Perché sì, -pensò- Tritone vinceva sempre.
Una dura e tristissima realtà con cui avrebbe dovuto imparare a convivere.
Ade era alle loro spalle, appoggiato alla parete di sinistra con le braccia conserte al petto e le gambe ugualmente intrecciate. Infatti, sembrava particolarmente disinibito, visto il modo in cui arcuava il piede e batteva sul suolo con la punta dei lunghi stivali neri. Eryx sapeva che il re dell'oltretomba stava guardando curiosamente Tristan, forse per ravvisare il suo volto maturo, per riconoscerlo. Però, Tritone non guardava Ade. Bensì, aveva ancora lo sguardo fisso su Eryx e sull'altro fratellastro, Ippotoo, che giunse alla scena poco dopo. Ma osservava, di tanto in tanto, oltre le spalle di Eryx, con occhiate fugaci, anche Dianna. Eryx capiva che stava guardando lei perché il suo sguardo si raddolciva un poco, le sopracciglia perdevano la loro rigidità e s'incurvavano teneramente sugli occhi chiari.
Aggrappandosi alle sbarre della cella nella quale era rinchiusa, la sirena stava urlando al suo amato a tutta voce: gli chiedeva di andare via con le parole, ma il tono in cui lo diceva lo pregava di restare.
Nel frattempo, Ippotoo si era avvicinato ad Eryx e quest'ultimo ne approfittò per mormorare al suo orecchio, decifrando lo sguardo bellico di Tristan: "Stagli al fianco sinistro: lui impugna la spada di destro. Colpiscilo dove non è protetto da armi."
Per la prima volta, l'espressione sul viso di Tritone mutò leggermente ed egli sollevò un angolo delle labbra: aveva sentito. "Oh, ti sbagli." E, superando i fratelli, si avvicinò ad Ade, e prima che questi potesse ridestarsi e fermarlo, Tristan gli aveva già sottratto le due spade che aveva appese ad un balteo di maglia. Dopodiché, alzò lo sguardo verso il dio e gli sussurrò: "Perdonatemi, ma ho una certa inclinazione a sottrarre le armi agli dei." E si girò prontamente per guardare Eryx e dirgli: "Ti sbagli: impugno sia di destro che di sinistro." E prese a far roteare le spade che reggeva alle mani, fendendo l'aria e producendo un sibilo veloce e sordo che ricordava il suono di una folata di vento che, fulminea, spazza il mondo sollevando tempesta con sé.
E, in quel complesso di edifici oscuri che avevano il sapore della morte, in quell'anticamera buia e angusta, iniziò il duello.
Ade, che poco prima aveva iniziato a tastarsi i foderi vuoti con un certo fastidio, ora assottigliò concentrato lo sguardo.
Eryx fu il primo ad attaccare con un vigoroso abbrivio: sapeva che se lo avesse fatto Tristan -con la foga che sempre lo aveva contraddistinto- per lui sarebbe stata la fine. Mirò al petto del nemico, ma Tritone rispose velocemente al colpo con la forza di mille braccia e, balzando indietro di qualche passo, schivò la spada, per poi colpirla con la propria.
Fu il primo clangore a sancire l'inizio della battaglia.
Tristan, che mai aveva temuto scontri armati perché riconosceva la propria forza e superiorità, ora serrò le labbra e torturò il proprio labbro inferiore con i denti, affondando aggressivo nella carne, martoriandola, fino a sentire il sapore ferroso del sangue intaccargli il palato. Era il suo modo di concentrarsi: stava lottando per salvare lei e il loro amore, prima di se stesso.
Eryx ostentò sicurezza, sebbene questa non fosse sincera, in quanto era costretto sempre ad alzare la sua daga sopra il proprio capo, per rispondere alle spadate di Tristan che, fisicamente più formoso e di statura decisamente più imponente, sfruttava la sua altezza per colpirlo sul viso. Ippotoo, invece, seguì le disposizioni del fratello Eryx e si fece vicino al fianco sgombero di Tristan. Gli impegnò il braccio sinistro, sperando in una sua mancante coordinazione, ma lui riusciva comunque a coadiuvare sia i colpi inferti di destro che di sinistro, alternando lo sguardo una volta su una spada e una volta su un'altra, in una gragnuola di colpi.
Eryx e Ippotoo si scambiarono un'occhiata complice, un'occhiata che parlava, e i due si compresero all'istante: Ippotoo retrocedette ed Eryx scattò in avanti, piegandosi sulle ginocchia e distendendo il braccio armato: puntò la spada al petto di Tristan, ma questi la colpì superbamente con la propria. In poco tempo, la daga di Tritone era sotto il mento di Eryx, che fu costretto a reclinare il capo all'indietro per non essere trafitto, in quanto già sentiva l'arma nemica premere sulle sue vene.
Un solo movimento e si sarebbe ritrovato in una pozza di sangue.
Fu Ippotoo a salvare il fratello alleato: difatti, scostò con la propria la spada di Tristan e schermò Eryx con il proprio corpo, difendendolo.
Il figlio di Poseidone sfoggiò un viso compiaciuto e intenerito: "Che cosa romantica."
Temporaneamente, il duello si restrinse a due: solamente Ippotoo contro Tristan.
Quest'ultimo, trovandosi dinanzi ad un solo avversario, decise di inferire colpi solamente di destro, pertanto piegò dietro la schiena il braccio sinistro con l'altra spada, smargiassato fino all'estremo.
Ippotoo arricciò il naso aquilino dinanzi a quello sfoggio di braveria e alzò il sopracciglio sinistro, mentre ruotava il busto per proteggersi dalle spadate avversario. "Che spavaldo."
"Lo so," rispose Tristan in un sospiro. "Posso permettermelo." Perché Tritone, ora che sapeva -e sentiva- gli occhi di Dianna su di sé, voleva perlomeno concedersi il piacere di ucciderli divertendosi.
Ippotoo e Tristan arrivarono entrambi ad alzare le spade, spingendo la lama di una contro quella dell'altra, in un gioco di forza che fece avvicinare i loro visi tesi in una smorfia di sforzo e fatica.
"Sei un osso... duro," digrignò tra i denti Eryx.
"Ti avevo messo in guardia."
Vinse Tristan: con una spinta veloce, fece ruzzolare Ippotoo a terra, accanto ai piedi di Ade che si scostò leggermente disgustato e sprezzante.
Avanzò quindi Eryx, che, nel momento di pausa, aveva avuto modo di assorbire una nuova forza.
Tristan mantenne il braccio sinistro piegato dietro la schiena e i due presero a girare in circolo, i busti sporti in avanti e gli occhi dell'uno fissi sul corpo dell'altro, aspettando qualche veloce spasimo, una mossa, un attacco rapido, la rincorsa e la carica dell'altro.
Eryx, di tanto in tanto, si sbilanciava in avanti, desiderando porre sempre sull'attenti Tritone, in modo da coglierlo impreparato quando avesse attaccato realmente.
Ma Tristan possedeva un'invidiabile concentrazione. Era certamente, in segreto, in un angolo della sua anima, invaso dai sentimenti, mosso dall'amore per quella donna che lo aspettava lì, la cui vita dipendeva dall'esito di quell'improvvisato duello, ma lui aveva, inaspettatamente, all'apparenza, la capacità di esentarsi e di reprimere ogni tipo di emozione, di accantonarla, nasconderla.
Solo in tal modo avrebbe potuto concentrarsi.
Eryx tentò di colpire Tristan alla clavicola e quest'ultimo, agendo sotto il dominio dell'impulsività, decise di bloccare la spada tagliente di Eryx in pugno, ma questa si rivelò una mossa troppo azzardata e arrischiata, perché, quando il fratellastro ritirò rapidamente l'arma, la lama di questa ferì profondamente il palmo della mano di Tristan, conducendolo ad un urlo soffocato.
Il sangue iniziò a piovere a fiotti sul terreno, gocciando come pioggia densa, e Tristan rimase ad osservare il suo percorso sul proprio polso, sul braccio, fino a strisciare in prossimità del gomito. Ciononostante, il dolore non vinse sulla sua determinazione; dunque, stringendo i denti, rispose all'avanzata di Eryx che, aiutato dal recente vantaggio, gli piombava velocemente addosso con spadate di rovescio. Eppure, Tritone sentiva la mano quasi marcire, e ogni volta che stringeva l'elsa in pugno, il contatto della ferita con la spada era sempre una piccola morte.
Anche Ippotoo tornò ad attaccare e si affiancò al fratello Eryx.
Vedendolo sopraggiungere, Tristan fu costretto a dispiegare il braccio sinistro nascosto dietro la schiena e, se una volta colpiva di destro la spada di Eryx, una volta si difendeva di sinistro dall'arma di Ippotoo. Era quasi piacevole constatare la sua abilità nel destreggiarsi, nell'armonizzare i colpi, nel coordinare ogni contrattacco, tantoché ogni lembo della sua pelle bruciò un po' d'adrenalina.
Con un colpo del braccio sinistro, Tristan riuscì ad incastrare la punta della spada nell'elsa della daga di Ippotoo e, semplicemente sollevando di un poco il polso, riuscì a sfilargli l'arma dalle mani. Essa cadde lontano, proprio davanti alle sbarre della cella dove era rinchiusa Dianna.
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La sirena osservò la spada di Ippotoo rimbalzare un poco sul suolo, prima di stabilizzarsi con un acuto rumore metallico a qualche passo da lei. A carponi, alzò lo sguardo e vide Tritone rivolgerle un'occhiata supplichevole, ammiccando alla daga poco distante dalla cella. Era uno sguardo complice, che voleva silenziosamente dirle qualcosa. Dopodiché, vide Ippotoo voltarsi e correre a recuperare la sua arma.
Dianna annuì lievemente a Tristan: aveva capito cosa doveva fare.
Nel momento esatto in cui Ippotoo arrestò la corsa e si piegò per afferrare la sua spada, Dianna distese il braccio e gli sottrasse rapidamente la sciabola: dopodiché, la sirena sospirò, pronta, e approfittò della posizione sospesa a mezz'aria del nemico per infilargli l'arma in petto, dritta al cuore. Sentì lo sciaguattio delle sue membra spezzarsi, trafitte e sanguinanti, e alle orecchie le giunse nitido il respiro mozzato di Ippotoo. Egli aveva infatti spalancato le labbra in un moto stupito e i suoi occhi scesero dal vagone della vita, la lasciarono, l'abbandonarono. Poco dopo, Ippotoo cadde a terra, tra le braccia della morte, la spada insanguinata diritta come un obelisco trionfante sul suo petto.
Dianna capì di aver agito in un momento di mancato raziocinio perché sentì di tornare alla realtà solamente quando la sua mano era già macchiata di sangue. A quel punto, scioccata e basita come non mai, si osservò il palmo e notò decine di gocce rosse che stillavano dalle sue dita.
E si sentì un'assassina.
Sbatté più volte le palpebre, sconcertata, e, ritirando le ginocchia al petto, arretrò, rincantucciandosi in un angolo, addentando l'interno della propria guancia, sfogando l'orrore.
Nel medesimo istante, Eryx si voltò per richiamare il fratello, ma lo notò esanime a terra, grondante di sudore e sangue, pallido come un cielo annuvolato, con le labbra violacee dischiuse e il volto inclinato, poggiato su una tempia sanguinante. Eryx illanguidì e perse contatto con la propria spada: infatti, abbandonò la presa, tanto fu l'incredulità, e il suo braccio ricadde lungo il fianco.
Tristan, davanti a lui, osservò il suo sbigottimento: già era soddisfatto per la morte di Ippotoo -sebbene non fosse avvenuta per mano sua- quindi non poteva essere misurato il suo appagamento quando, sfruttando il momento di distrazione di Eryx a suo favore, gli piantò entrambe le sue spade al petto.
Eryx sobbalzò, come in un rapido singhiozzo, e riuscì a volgere il capo per guardare Tritone con occhi sbarrati, occhi che si piegarono verso lo squarcio ora aperto sul suo petto. Sembrò sul punto di voler dire qualcosa, ma neppure un suono -se non un sibilo soffocato- uscì dalle sue labbra.
Tristan si sporse verso il fratellastro morente e lo osservò con una malignità che aveva trovato sfogo, una vendetta che aveva vinto. Squadrandolo da capo a piedi con sprezzo, gli si avvicinò con il viso e gli bisbigliò: "Avevi i giorni contati, e lo sapevi." E spinse ancor di più la spada dentro il cuore del fratello. "Questo è per avermi sfidato." Spinse ancora, quasi conficcandovi l'elsa. "E questo per aver pensato di poter vincere."
E Tristan lasciò la presa.
Eryx cadde morto, come un ammasso di carne morta, sul suolo dell'oltretomba, immerso in nugoli di sangue.
Dall'alto del suo troneggiare, Tristan drizzò la schiena e gonfiò il petto solido, i capelli biondi montati furiosi sulla fronte e il viso arrossato e accaldato. La sirena lo vide chinare lo sguardo verso la sua recente vittima, increspare le labbra alla visione ripugnante e scavalcarla con assoluta leggerezza, calpestando persino le sue braccia.
Poi, Dianna lo vide correre verso di lei. Era talmente tanta la voglia di abbracciarlo, di stringerlo a sé e di sentire il calore del suo petto, che, incurante di Ade accosto lì al fianco, fece appello a tutta la forza che ancora teneva custodita in corpo per alzarsi sulle gambe, aggrapparsi alle sbarre e incontrare le sue mani, ma una figura si interpose tra lei e Tristan.
Era una donna.
"Aspetta un attimo," disse la sconosciuta.
Dianna non riuscì a vederla in viso perché la donna le rivolgeva le spalle, ma notò la sua lunga capigliatura argentata caderle sinuosa sulla schiena, l'abito fastoso nei toni dell'arancio e dell'oro e una lunga mantella rossa buttata sulle spalle che arrivava sino alle caviglie. Le braccia, fasciate da lunghi guanti bianchi, erano rilasciate elegantemente sui fianchi.
La sirena vide Tristan rimanere ad osservare perplesso la donna che ostacolava il passaggio, e vide anche la sua pazienza scemare poco a poco.
La sconosciuta inclinò il capo. "Tu saresti?" Guardò il giovane dinanzi a sé.
"Tritone, figlio di Poseidone e della nereide Anfitrite."
La donna drizzò le spalle, come se fosse sorpresa, e si voltò verso Ade alla sua destra. Ora Dianna riuscì a scorgere una maschera dorata coprirle parte del volto, lasciandole scoperti solo gli occhi.
Il re dell'oltretomba parve sorpreso in egual modo. Affilando lo sguardo, esaminò Tristan e gli disse: "Dal tuo abbigliamento non sembra."
"Ma dalla sua bellezza sì," aggiunse la donna.
"Chi siete?" le chiese Tristan, impassibile.
Dianna sentì la sconosciuta sopprimere una risata, pausare per un istante e vociare con enfasi: "Oh, non ho avuto modo di presentarmi," disse. "Io sono Persefone."
Sorprendentemente, Tristan non ebbe alcuna reazione visibile: la sua espressione rimase la medesima, così come il suo respiro. Regolare. Non disse nulla.
Persefone camminò lentamente alla sua sinistra, congiungendo le mani in grembo e fissandosi i guanti attillati, in una meditabonda riflessione. Poi, si fermò d'improvviso e le sue scarpe cessarono di tacchettare. "Credo di essere arrivata troppo tardi. Ti ho visto solamente infilzare con la tua spada quell'essere laggiù," ammiccò ad Eryx, "quindi credo di necessitare di una spiegazione." Guardò Tristan. "Perché sei qui?"
"Per riprendermi la mia donna."
"La tua... donna?" Persefone calzò sull'ultima parola, interrogativa. "E chi è costei?"
Fu Ade ad intervenire e parlò lui per Tristan. "Voltati."
La regina dell'oltretomba fece come suggeritole e si girò verso Dianna. Mugolò silenziosamente e piegò il capo sulla spalla sinistra, soppesando la sirena, la quale ebbe modo di notare, dietro la maschera dorata, un paio di occhi neri, profondi ed espressivi. Persefone le si fece vicino, si accosciò e allungò una mano verso di lei oltre le sbarre, ma Dianna, pudica e decorosa, si scostò: non le piaceva chi, senza alcun permesso, la sfiorava; era come un affronto alla sua persona.
Inarcando un sopracciglio, Persefone si rialzò e camminò al centro della grande anticamera, rivolgendo nuovamente l'attenzione su Tritone. In realtà, il suo era più di un semplice sguardo: era ammirazione, elogio, consenso. Tristan l'aveva colpita. "E credi che ora sarai accontentato solamente perché hai ucciso i tuoi... -suppongo- avversari? Qui non barattiamo semplicemente."
"Persef..." fece per dire Ade in un sospiro. "
"Stttt, lasciami parlare." La regina guardò lo sposo. "È da tanto che voglio intromettermi nelle tue questioni. Ti ho visto solamente distinguere le anime in colpevoli ed innocenti, condannare spiriti già defunti e accusare ipotetici visitatori per lesa maestà. Ora che il gioco si fa finalmente più interessante, lasciami giocare." E distese le labbra in un sorriso freddo e costruito. Ora camminò verso Tristan. Quando gli giunse dinanzi, estremamente vicina, dischiuse le labbra scarlatte e alzò una mano inguantata per accarezzargli la mascella scolpita.
Dianna digrignò i denti.
"E a cosa saresti disposto a rinunciare per lei?" Persefone parlò in un suadente sussurro.
Tristan sorresse il suo sguardo e dal suo corpo non trasparì nulla: né timore, né perplessità e né eccitazione. Un altro uomo si sarebbe sicuramente fatto soggiogare ed incantare dal suo sguardo di fata, ma lui rimase distaccato ed imperturbabile.
Trascorsero lunghi istanti e lo scambio di parole stagnò.
Ad un tratto, Tristan rispose: "Alla mia immortalità."
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*cori da stadio*, *platee che si alzano*: SONO MORTIIIIIII! Finalmente Tristan ha fatto fuori quei disgraziati di Eryx e Ippotoo. O meglio, è stata Dianna ad uccidere Ippotoo (o come dite voi, "Ippopotamo") Vi è piaciuto il duello e quell'aria di spavalderia che aveva Tritone?
Però dagli Inferi non si esce facilmente (magari!), e Tristan dovrà affrontare altre prove. E chi gliele pone davanti? Persefone. Non poteva mancare lei. Sarà un personaggio molto mistico e parecchio puntiglioso. Potrebbe sembrare anche antipatica, ma a me affascina molto. Chissà che dura prova sottoporrà a Tristan...
Intanto, lui si dice disposto a rinunciare alla propria immortalità. Scommetto che non ve lo aspettavate. Secondo voi sarà così? Ve lo immaginate Tritone umano? Accetto ipotesi!
Votate e commentate, grazie mille!

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