Capitolo 4

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Quella mattina -quando il bacio scintillante del sole lacerava perentorio lo specchio marino- Poseidone era agitato e burrascoso, come l'urlo sordo del mare che governava. Egli, infatti, lisciandosi la barba, si era alzato di buon ora dal suo crogiolo e aveva camminato con ansietà attorno al suo trono, con il viso sempre chino a ricercare sufficienti spunti per le sue riflessioni. Da giorni, oramai, il suo cuore era in tumulto. Per l'esattezza, dal giorno in cui Atena -sua acerrima nemica sin dai tempi più remoti- aveva sussurrato l'indicibile alle sue orecchie: come se non bastasse la lotta interna per lo sterminio dei disobbedienti, anche i Titani stavano tornando.
Al principio, quando il Creato era ancora immerso dalla foschia, i Titani -nati dall'unione di Urano e Gaia- erano le forze primordiali del cosmo. Essi imperversavano sul mondo con brutalità e autorevolezza, sfoggiando il loro naturale spirito di ribellione.
Il Titano Crono era padrone di ogni respiro. Sposò Rea, e da ella ebbe sei figli: Estia, Demetra, Era, Ade, Zeus e lui, Poseidone. Ma il timore che uno di essi potesse sradicarlo dal trono, portò Crono ad ingoiare i suoi figli.
Solo uno di essi si salvò. Zeus. Egli crebbe in intelligenza e maestosità e, divenuto maturo, fronteggiò il padre e gli fece vomitare i suoi fratelli, riportandoli in vita.
E così, i sei figli di Crono incedettero con sicurezza nel loro troneggiare. Anche loro si sposarono ed ebbero dei figli. La loro genealogia fu ampia e articolata.
Per questa ragione non fu difficile definire chi potessero essere gli dei in grado di reggere tra le mani le sorti del mondo. Essi vivevano sull'Olimpo ed erano dodici: Zeus, Era, Poseidone, Demetra, Dioniso, Ermes, Artemide, Apollo, Atena, Afrodite, Efesto ed Ares. Tra loro nacquero discordie, litigi, amori e tradimenti, rispecchiando così la loro indole in un'unica grande sfera in cui virtù e difetti si fusero.
Venne per loro il tempo di vendicare i torti subìti in passato. Dichiararono quindi guerra ai Titani.
La Titanomachia, così chiamata successivamente, vide schierarsi nel campo Olimpi e Titani, rispettivamente la nuova e l'antica generazione di capostipiti. Fu solo grazie all'astuzia dei dodici dei che i Titani furono relegati e gettati per sempre nel Tartaro.
Per sempre, si diceva.
Ma Poseidone, lì, struggendosi tra le onde del suo vasto regno, riusciva quasi a sentire il tonfo dei passi dei Titani ribollire nell'oltretomba. La terra sembrava tremare di un'ira esiziale.
La venuta dei Titani avrebbe comportato confusione e spargimenti tremendi di sangue, crudeltà incontrollate ed il ritorno di antiche avversità. La compattezza degli dei dell'Olimpo, inoltre, non era più solida e stabile come una volta: i continui litigi ed inclemenze avevano frammentato la loro forza.
Neppure il rapporto tra fratelli era il medesimo e Poseidone lo sapeva bene. Per questa ragione, il dialogo con i suoi fratelli più stretti, Zeus e Ade, si era interrotto. Ognuno dominava sul proprio mondo e la supremazia portò all'egocentrismo: non ci volle molto tempo perchè i tre fratelli decidessero di custodire gelosamente i loro regni senza intrusioni.
Anche il rapporto con Atena era degenerato: in passato, il popolo greco era stato tenuto a scegliere tra i nomi degli dei l'appellativo per una delle sue città più eclatanti. Atena e Poseidone si erano fronteggiati. Il popolo scelse la dea della saggezza. Da qui il nome Atene per la città dominante dell'Attica.
Poseidone, però, sapeva che il passato era una gemma sgraziata oramai rilegata in abissi profondi, e sapeva anche che le scelte prese nel presente avrebbero percosso lo sviluppo del futuro, quindi si impose di ragionare con razionalità e serietà.
I Titani non erano affatto un dettaglio da sottovalutare, e il dio del mare avrebbe dovuto sciorinare le sue armi più affilate. Il suo esercito era molto forte, combattente, abituato ad una vita di sacrifici, lotta e allenamenti, ma non sarebbe bastato per tenere testa a quei logori vermi.
Aveva bisogno anche della sua Corte di servitori. Tritoni, Nereidi e Sirene.
Le Sirene! pensò. Ognuna di quelle creature aveva un potere peculiare, una caratteristica in grado di contraddistinguerle in campo di battaglia. Ogni potere era annotato negli archivi del regno, affiancato dal nome della sirena che lo possedeva. In questo modo, il re delle acque avrebbe potuto richiamare a sé la creatura ogni qualvolta ne avesse avuto bisogno.
La sua non era una semplice corte di servitori: era un esercito, un convoglio di militari di ogni specie e razza, di ogni età e sesso capace di impugnare un'arma e difendere la propria patria per innalzare il trono del proprio capostipite.
Poseidone, quindi, agitò il tridente con foga e lo sbatacchiò su uno scoglio, per poi alzare una mano e descrivere archi indefiniti nell'aria. La sua voce tuonò come il preludio di una tempesta. "Figlie! A me!" richiamò.
Come una calamita che risucchia a sé la propria vittima, le interpellate non tardarono ad arrivare. Pochi istanti dopo, infatti, uno sguizzo veloce mosse un lembo di spuma nelle acque. Roda e Bentesicima, giovani figlie di Poseidone, lasciarono scintillare le loro pinne di un'aurea graziata ed il mare parve avvolgersi con ammirazione attorno alle curve fertili dei loro petti. Poi, come legate da una simbiosi, si prostrarono con un'ampollosa riverenza dinanzi allo sguardo del padre.
Poseidone rimase impettito e i suoi occhi vitrei si piegarono verso le figlie inchinate al suo cospetto. "Ho bisogno del vostro aiuto." Poi accarezzò la sua lunga barba e la intrecciò in complicati riccioli attorno all'indice.
Il capo di Roda -simile ad un avviluppato fogliame dorato intessuto con i raggi del sole- si alzò diffidente, e due occhi oltremare si spalancarono. "In cosa possiamo rendervi servizio, padre?"
Affiancata a lei, sua sorella Bentesicima espirò rumorosamente e dimenò la frasca di capelli ordinatamente rassettati. Questi erano del bronzo più lucente.
Poseidone prese a camminare, indossando il suo solito atteggiamento riflessivo. "Ricordate, figlie mie, il giorno in cui avevo dichiarato guerra a qualunque esponente della mia corte si rifiutasse di continuare a servirmi? Ebbene sì, è necessario accantonare il problema, ora come ora." La sua voce sembrava essersi pacifizzata, ma poi si alzò bruscamente e la presa delle dita attorno al tridente si fece più rapace. "Perchè ne è sorto un altro! I Titani, creature sporche e luride, stanno ritornando. Il Tartaro non li ha rilegati a lungo. E Atena, dannata sgualdrina, ha intenzione di annientarli autonomamente, così da innalzarsi. Ma no, questa volta sarà il re del mare a spiccare sull'Olimpo. Indi per cui... " sciamò "ho bisogno dell'aiuto delle Sirene e di un occhio vigile che mi assista. Chiamate vostro fratello -e velocemente!-, mentre io starò qui a controllare i registri del mare."
L'uomo pareva ansimare affannosamente, quasi avesse tenuto un borioso discorso, quindi si lasciò ricadere sul trono.
Roda alzò il suo corpo di fanciulla, e le spighe dorate dei suoi capelli scivolarono come fiori lungo le sue spalle. Scattò sull'attenti con un'impressionante velocità. Fece poi per profilarsi in un gesto di commiato, ma una mano si strinse attorno al suo polso: Bentesicima guardò trucemente la sorella e la inchiodò con lo sguardo. "No, vado io. Solo io so dove si crogiola sempre quel vizioso di Tritone."
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Bentesicima non impiegò molto per percorrere il viottolo acquoso che costeggiava una lunga schiera di scogli adunchi. Ella era una giovane molto spigliata, disinvolta e ribelle, veloce nell'intuito e nel ragionamento, seppur la sua indole fosse brutale come una pericolosa luna calante.
Il paradiso di suo fratello era una reggia protetta da immense palme di alghe, insinuata tra le onde più fredde e scure degli abissi. Era un riparo scavato nella roccia marna, dove aleggiava una foschia inebriante per i sensi e dal quale si libravano dolci melodie seduttrici.
Bentesicima vi si affacciò e assottigliò i piccoli occhi ambrati in un piglio indagatore. Poi scosse il capo, rassegnata. Tritone sdraiava comodamente su un lungo divano, un gomito posato su di un bracciolo e il capo reclinato in un gemito di apprezzamento. I suoi sghignazzi tamburellarono sulle pareti canute. In una mano reggeva un calice di ambrosia, che talvolta portava alle labbra per sorseggiare con gusto. Attorno al suo sguardo avido serpeggiavano un paio di sirene dai petti gonfi e dai lineamenti dolci e tentatori.
Tritone increspò le labbra un momento e fece scorrere lo sguardo lungo il corpo armonizzato delle due creature. Stava per sorridere beffardo nella loro direzione, quando incrociò lo sguardo della sorella. Quindi alzò un sopracciglio, fece scivolare la sua coda in posizione eretta e agitò il calice. "Bentesicima, ti ringrazio per essermi venuta a fare visita, è davvero apprezzabile l'interessamento, ma non mi sentivo affatto solo," beffeggiò e strinse a sé le due sirene, facendo scivolare un braccio attorno alla loro esile vita.
Una delle due sirene sorrise soddisfatta e si strinse peccaminosamente al suo corpo di giovane uomo, lasciandogli un bacio sul collo e sorridendo affettatamente. L'altra, invece, si limitò ad osservare la sua compagna con una fitta gelosia impressa nello sguardo.
Ma, ben presto, Tritone si allontanò dalle donzelle per avvicinarsi sospettoso alla sorella che, intanto, era rimasta scura in volto dinanzi a lui. "Dimmi... cosa ti ha portato qui? Sembra grave."
"Lo è."
"Che vuoi dire?"
Bentescima sospirò. "Nostro padre ha richiesto il tuo aiuto. Dice che si tratta del ritorno dei Titani e... e ha bisogno di un occhio vigile. Né a me e né a Roda ha spiegato minuziosamente la situazione, perchè è chiaro..." Fece ruotare lo sguardo in alto, come seccata, "il figlio maschio è dotato di un'intelligenza più acuta." Il suo sguardo si fece rimproverevole.
"La tua è invidia, cara sorella." Tritone sgolò l'ultimo sorso di ambrosia e lanciò il calice dietro di sé, lasciandolo corrugare contro un masso. "Ma verrò. Dammi solo il tempo di salutare queste due meraviglie..."
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Poseidone stringeva tra le mani i registri dell'abisso in cui erano annotati i nomi dei suoi dipendenti. Talvolta portava un indice alle labbra, lo inumidiva e sfogliava animatamente le pagine, come spinto da un'immensa foga che rendeva i tratti del suo viso apparentemente più anziani.
Poi allungò una mano verso il suo tridente e lo brandì con possesso, mentre la sua mano ricadette con furia contro una pagina del registro aperto. "Ecco! Ho trovato la soluzione al nostro problema, figliolo. Mai sottovalutare le facoltà delle Sirene. Qui si parla di... fevior. Coloro che posseggono questo potere sono in grado di annientare il nemico con un'occhiata gelida, elettrica, lampante e con un canto così dolce che lascia il nemico bloccato, paralizzato. Un immobilizzamento istantaneo. E ciò è indispensabile se vogliamo batterci con quelle furie energiche dei Titani." Alzò lo sguardo verso il figlio e i suoi occhi incontrarono le scintille del mare in quelli di Tritone. Poi osservò un'ultima volta il registro. "Così è deciso. Colei che possiede il fevior, secondo i registri, si chiama... Dianna Cox. Va' a cercare quella sirena, va'!" Chinò il capo e alzò un braccio, indicando al figlio la strada da percorrere.
Il respiro soffocato di Tritone lasciò rumoreggiare le onde. L'indole gagliarda del ragazzo avrebbe preferito rimaner in ozio nel suo angolo di paradiso, circondato da quelle sirene, il più alto sinonimo della bellezza femminile. Riluttante, si voltò ed iniziò a nuotare con vigorose bracciate. Sapeva chi era Dianna Cox. La figlia del tritone Lyenth, chiaramente. Tante volte aveva intravisto la sua rigogliosa chioma di capelli vermiglio nel campo di addestramento, ma mai avrebbe supposto una così piccola creatura custodisse un potere così immenso. Il fevior portava il nemico allo sbaraglio, al completo congelamento.
Quando approdò accanto allo scoglio che presumeva essere la dimora del tritone Lyenth Cox, allungò un braccio e vi si appoggiò con naturalezza. Inclinò il capo e scrutò l'oscurità che si estendeva nel suo profondo. Solo una debole luce fioca brillava claudicante. Il giovane sfoggiò un'espressione sorpresa: gli pareva così penoso vivere attorniati dal buio. In qualche modo, quel riparo lo fece rabbrividire. Scivolò cautamente al suo interno e ben presto la sua lunga pinna color giada sparì in una poltiglia di tenebra.
Tritone sospirò e allargò le braccia, pronto al richiamo. "Chiunque viva in questo avvizzito assemblamento di pietra è pregato di farsi avanti." La sua voce sembrò saltare in un'eco ponderosa.
Mentre attendeva risposta, si divertì a succhiare l'acqua marina e a gettarla poi fuori in abiti giochi di forme, ma il suo intrattentimento venne interrotto da uno sciaguattio sordo che andava avvicinandosi.
Una figura anziana apparve all'uscio. Un convoglio di capelli canuti si chinava a baciare una folta barba argentea, che scivolava su un orgoglioso petto virile. L'uomo apparve perplesso, perchè dietro i suoi occhi cristallo sembrava nascondere insicurezza. "Chi siete?"
Tritone sogghignò appena. "Oh, perdonatemi, che maleducato, non mi sono presentato!" Si inchinò in una falsa baldanza. "Tritone, figlio di Poseidone e della nereide Anfitrite, fratello di Roda e Bentesicima, braccio destro del vostro padrone e grandioso amante delle sirene."
Lyenth sobbalzò in un acuto singhiozzo e si precipitò con subitaneità in un inchino. "Voi dovete perdonarmi! Io... davvero, non ho avuto modo di riconoscervi. Non ho mai visto il mio re, tantomeno suo figlio." Dopodiché alzò lo sguardo e considerò la meravigliosa chioma dorata di Tritone e la sua mente fu pervasa da un'immensa tristezza. Come appariva lontana, ora, la giovinezza!
Tritone chiuse gli occhi e alzò un braccio, schiaffeggiando l'acqua. "Non sono qui per perdere tempo. Anzi, è stato piuttosto seccante abbandonare quelle belle donzelle..." Prese a perlustrare la stanza. Un letto a baldacchino disfatto solo su un'estremità giaceva in un angolo e una lunga tela intessuta era accatastata sul pietrisco. Tritone avanzò e le sue dita carezzarono il materiale scheggiato della testiera del letto. Pareva interessato. "Cerco vostra figlia... Di... -come si chiama?- Dianna, ecco," pronunciò.
Lyenth rabbrividì. Fu come avere dinanzi allo sguardo l'arco teso di un cacciatore spietato, la cui freccia avvelenata inghiottiva i sensi. La sua Dianna! Era forse in pericolo, laggiù, nel mondo degli umani?
In preda a folli pensieri esasperati, l'anziano iniziò a torcere le mani in grembo, per poi allungare le braccia lungo il busto e scheggiare con le unghie le squame della sua coda attempata, tanto era vittima del panico. "Io... Dianna, dite?"
Il giovane dinanzi a lui apparve sorpreso. Sollevò lo sguardo e si avvicinò di più, con aria minacciosa. "Esatto, vostra figlia. Chi altri? Vostra moglie, forse? Mi sembra sia morta tempo fa e che..."
"Non pronunciate il nome di mia moglie, per Zeus!" Lyenth alzò un dito tremante davanti al viso. Dopodiché, sospirò. "Mia figlia non c'è."
Tritone sorrise di rimando, stendendo le labbra vermiglie in una linea di colpevole beffardaggine, e si accasciò sul letto con le braccia piegate dietro la testa. "Oh, non c'è problema, caro e vecchio tritone, l'aspetterò. Sono certo sarà a canticchiare con le sue compagne. Con cos'altro possono impegnarsi, altrimenti, quelle creature?" Rifletté. "Avete dell'ambrosia?" Chiese con tono superbo.
"Mia figlia non tornerà."
"Come, prego?"
Il cuore di Lyenth parve scemare nel petto, come scosso da potenti scariche elettriche. Gli occhi del ragazzo erano accesi di perplessità, ma riusciva a leggere in essi anche una viva rabbia che iniziava a bollire, mescolandosi con l'ardore giovanile. "Avete capito bene. Dianna non tornerà mai più. Non fa più parte di questo mondo."
Tritone balzò fuori del letto e strinse le mani a pugno lungo il busto, le dita che scottavano come tizzoni ardenti. Poco dopo si ritrovò ad un palmo dal naso del vecchio. "Che vorrebbe dire ciò? Sapete bene che nessuna creatura può fuggire dal mondo che ha ospitato la sua nascita. È contro la legge. Quindi, per piacere, non innalzatevi in gloria con finte constatazioni. Dite la verità." Alzò con ironia una mano e prese a torcersi attorno all'indice una ciocca della barba dell'anziano.
Qualcosa in Lyenth crebbe. Le sue sensazioni, il suo volere, le sue emozioni e le sue parole non ebbero più un limite di misura. Scoppiò in pazienza ed alzò lo sguardo, fronteggiando Tritone. La sua voce apparve seria, grave e profonda. "Dianna è fuggita. Il volere omicida di vostro padre mi ha costretto a spianare una via di fuga alla mia bambina. Non ho intenzione di rendere anche mia figlia schiava delle vostre barbarie."
Le bionde ciocche ondulate di Tritone sembrarono accendersi delle scintille più focose. "Nessuno può fuggire di qui..." mormorò tra i denti con un perentorio accenno di sfida.
"Vi sbagliate."
Tritone si scagliò in avanti, con un veemente scatto che innalzò il suo ruggito giovanile. Afferrò il collo dell'uomo e lo sbatacchiò contro un angolo della grande barriera di scogli. La sua presa sul viso dell'anziano si fece folle. "Vediamo se anche mio padre Poseidone la pensa in questo modo, lurido traditore."
E, detto questo, il ragazzo trascinò con violenza l'uomo fuori del suo abitato e prese a nuotare con furia, danzando vorticosamente con la sua lunga pinna color giada. Ogni bracciata pareva lasciare dietro di sé una scia sfolgorante di lucentezza.
Una rigogliosa vegetazione marina sbocciava con ardita impertinenza: dal corallo cremisi alle alghe smeraldo, dai licheni verde cinabro alle mangrovie rapaci. La flora svettava impudente, intrecciandosi in articolati abbracci di suadenza. Parevano baciati dal soffio di Afrodite.
Ma il regno di Poseidone, d'altronde, non era mai venuto meno in bellezza.
Tritone impiegò una manciata di istanti per raggiungere il trono del padre. Il suo respiro era affaticato e la sua mano si stringeva attorno al collo di Lyenth, obbligando quest'ultimo a reggere lo sguardo chino dinanzi al suo re. "Padre, dinanzi a voi il tritone Lyenth Cox. Sicuramente vi starete chiedendo perchè io non sia qui con sua figlia. Ebbene sì," sospirò melodrammatico, "la dolcissima sirenetta si è data alla fuga sotto ordine di suo padre. Per quale ragione, poi?" Si chinò verso il volto sudicio e affranto dell'anziano con un sorriso corrotto. "Siete forse uno di quegli sporchi ribelli che ha paura di essere immolato sopra l'altare del vostro re?"
Poseidone sembrò non aver neppure udito il discorso di suo figlio Tritone. La sua mente vagava in balìa del terrore che si rimescolava dentro di lui. Si alzò con un ringhio, facendo leva sugli appoggi del trono e scagliò a terra il suo tridente. "Dannazione!" urlò. "Ho bisogno di quella sirena e del suo potere! Il fevior è indispensabile contro i Titani. L'Olimpo non è più forte come un tempo da permettersi autonomia! Abbiamo bisogno dell'aiuto dei nostri funzionari! E tu..." Poseidone si avvicinò a Lyenth, brandendo crudeltà e gonfiando il petto di uomo. I suoi occhi grigi si rinfransero con lo stesso sfavillio della folgore di Zeus. "Tu a morte. Come tutti i traditori."
Tritone intervenì. "Oh, no, padre. Perchè morire in solitudine? Una volta che si sarà ritrovata sua figlia, potranno ardere appassionatamente assieme."
"A te spetta quel compito, figliolo."
"Cosa?"
"Devi ritrovare la ragazza."
Un lungo momento di silenzio ne seguì. Tritone sapeva bene che non poteva venir meno agli ordini di suo padre.
Poseidone continuò. "Ho a mia disposizione le streghe più abili del reame, mi occuperò di chiedere il loro aiuto. Localizzeranno in meno di un istante la ragazza." Poi si chinò a raccogliere il suo tridente e con la sua lama carezzò con sguardo sadico la coda di Lyenth, ma la sua attenzione era ancora rivolta al figlio. "Dovrai agire di astuzia. Da tempo, oramai, non visiti il mondo degli umani, devi prestare attenzione, confonderti, fingerti un loro simile. Quando ti sarai ben mimetizzato, cattura Dianna Cox e riportala a me."
Tritone scosse il capo, si inumidì le labbra e sfoggiò un sorriso sardonico. "No, sarebbe un gioco troppo semplice, non ne trarrei divertimento. Le disertrici infedeli devono essere punite e torturate crudelmente."
"No!" lamentò Lyenth, ma Tritone lo mise a tacere affondando le unghie di predatore sul collo dell'uomo.
Poseidone percosse una roccia con il tridente e si voltò fulmineo verso il figlio, alzando un indice in tono raccomandativo. Il suo sguardo non ammetteva repliche. "Fai i bagagli. Trovati un nuovo nome e una nuova identità. Esci di qui e tieni un profilo basso. Non accetterò altre negligenze da parte tua. Guai a te, Tritone, se sgarrerai ancora una volta! E guai a te -ripeto!- se il mondo degli umani ti darà ancora alla testa! Devo forse ricordarti quella volta in cui, nel 1756, a Mosca, hai rapito un'attrice teatrale per farne la tua serva, la tua sgualdrina, e i soldati russi ti hanno poi catturato? O forse non ricordi quando nel 1887, a Londra, sei entrato in un club e hai fatto credere ai lord ci fosse una sparatoria a Trafalgar Square e hai mobilitato tutte le forze dell'ordine inglesi per puro divertimento? E che mi dici di quella volta, in Italia, nel 1943, quando entrasti nella casa di un povero contadino e ti fingesti un nazista per farti dare sua figlia? Solo per i tuoi sporchi desideri."
Tritone rise al ricordo e addentò il proprio labbro inferiore. "Non rimpiango ciò che ho fatto. E' stato anche parecchio divertente. I miei comportamenti, giusti o sbagliati che siano, mi hanno reso un uomo libero."
Poseidone alzò il tono della voce e squadrò il figlio. "Ti do l'ultima possibilità. E' per una giusta causa. Torna nel mondo degli umani e prendi la ragazza. Non fare lo stupido e non farti notare."
"So passare inosservato," rispose Tritone.
Ma ancora non sapeva che, quella, era la menzogna più grande avesse mai detto.
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(Pubblicità a We are demigods - percy2002j)
Ed ecco il nostro Tritone! E' un personaggio forte, ribelle, guerriero e molto seducente, a parer mio. Nella foto del capitolo, a partire da sinistra: Bentesicima, Roda, Tritone ed infine Poseidone.
Sulla mia pagina Facebook dedicata alla storia (Alexandra-writes on Wattpad) ho pubblicato una foto modificata da me che ritrae Tritone a Mosca nel 1756, a Londra nel 1887 e in Italia nel 1943, come ha detto Poseidone. Andate a dare un'occhiata, se vi va, ho impiegato 3 ore per creare quella foto.
Il capitolo è abbastanza lungo, spero vi sia piaciuto. Ma cosa accadrà, ora, quando Tritone incontrerà Dianna?
Votate e commentate!

L'inevitabile attrazioneDove le storie prendono vita. Scoprilo ora