Capitolo 47

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Il mattino successivo l'ira di Poseidone sembrava essersi attenuata e, con lui, anche il mare calmò la sua tempesta. Dunque, Tristan e Dianna salparono ai primi albori del giorno.
Nuotarono sulle soglie più profonde dell'Oceano Atlantico, imbattendosi di tanto in tanto in correnti gelide che seccavano le energie e talvolta in lunghe ed estese barriere coralline che sperperavano in grande quantità le bellezze più sensuali del rosso magenta. Non era raro incontrare alacce, dentici e lucci di mare, che sfoggiavano le loro pinne squamose e che boccheggiavano disperatamente, come ad assorbire le parole che, però, non riuscivano a proferire.
Una sera, dopo circa due giorni di viaggio, immersi nell'esatto punto in cui, voltandosi, si ricordava l'America e in cui, osservando dinanzi, si respirava l'Europa, Tristan e Dianna incapparono nelle guglie ghiacciate e robuste di un iceberg che sfregiavano come radici lo specchio del mare. Lo raggirarono e proseguirono oltre, ma in Dianna nacque un pensiero destinato ad incidersi nella sua mente: quei blocchi ghiacciati mostravano le stesse impareggiabili sfumature degli occhi di Tritone.
In bilico tra il terzo ed il quarto giorno di viaggio, quando le coste della Spagna erano ancora lontane ma il pensiero che fossero irraggiungibili si stava lentamente dissipando, un paio di enormi mostri con una pinna sul dorso grigio e una malefica e ombrosa bocca a mezzaluna sul lungo petto bianco apparvero dinanzi ai loro occhi. I diavoli marini presero a scrutarli e a girare loro attorno, gonfiando minacciosamente le branchie ad ogni annusata, e poi spalancarono le maestose fauci, dove una schiera di denti aguzzi come punte di diamante si univa ad un fetido alito di morte.
La sirena fu scossa da un impetuoso trasalimento e Tristan la strinse a sé, disinvolto. Egli fissò i due mostri, immobile come una pietra nell'oceano, ed il magnetismo del suo sguardo bastò a chiudere le imponenti fauci e a far arretrare i due demoni, che sembrarono poi profondersi in un deferente inchino al figlio del re dei Mari.
Tristan li chiamò squali, ma la visione di questi aveva innescato un così pungente circolo di brividi nel corpo di Dianna che ella dimenticò subito quel nome.
Talvolta si fermavano per una sosta, che -tuttavia- non durava più di qualche minuto, perché Dianna non voleva che Tristan si sentisse in obbligo di concederle qualche attimo di riposo, poiché lui, invece, sembrava essere sempre in forze: il suo corpo profondeva continuamente un'energia implacabile.
Quando le coste mediterranee si fecero vicine e i due si accostarono alla superficie, dove il sole picchiava come un fuoco d'ambra, la luce scoprì i lineamenti del corpo di Tristan: la schiena era bronzea e le scapole si restringevano sotto lo sforzo delle bracciate. I muscoli correvano sinuosamente lungo il dorso, aprendosi come un'edera rampante e il torace, baciato dall'acqua, luccicava come una sfera di cristallo. Le braccia erano distese e le spalle lambivano le sue orecchie, mentre tutto il corpo s'alzava e s'abbassava nella nuotata precisa e regolare, esperta e maschile.
Spesso, sotto gli strati oltremare dell'oceano, Tristan si voltava a guardare Dianna e la notava macchiata da uno sguardo contemplante.
Dianna ammirava la coda di Tristan. Durante tutta la sua esistenza trascorsa negli abissi, non ne aveva mai viste di più belle. Era una coda color giada, ma il contorno delle squame sembrava disegnato con un intenso smeraldo, che assorbiva la luce soave e liquida dell'acqua e la rifrangeva come uno specchio diamantato. La pinna si muoveva veloce, schiaffeggiando le onde e sputando dietro di sé una spuma biancastra.
Impiegarono sei giorni e tredici ore per raggiungere la loro destinazione. E, dovunque guardasse, Dianna vedeva sempre i riflessi di quella coda color giada, splendidamente lucente, sempre brillante, sempre viva.
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Sotto le acque di Eretria, Isola di Eubea, Grecia.
Un largo viale si aprì nelle profondità blu. Esso era costeggiato da alti grappoli di rose di mare dalle corolle che toccavano ogni sfumatura del vermiglio, dell'arancio, dell'ambra, dell'oro, del lilla, del turchese, del bianco. Sopra i petali si abbarbicavano i pesci, che richiudevano le loro pinne variopinte e s'accoccolavano sopra gli stami d'argento, mentre dai peduncoli verdi spirava un sentore di fresco e di rinascita.
Attaccate sui fondali sabbiosi, le margherite di mare pulsavano e respiravano come piccoli soli d'arancio, e qualche stelo cespuglioso svettava verso l'alto come uno scettro.
Enormi piante s'alzavano come lunghe braccia e s'intrecciavano oscillando come ballerine danzanti e lasciando piovere dai loro rami petali dorati.
Tristan continuò a nuotare in quel paradiso di colori, la schiena diritta, l'atteggiamento regale e possente e le spalle di un dio.
Alla sua avanzata, sirene e nereidi si prostravano con sussurri fatati, chinando i capi acconciati e allungando le braccia a spandere sul cammino del loro signore petali e frammenti di stelle marine che luccicavano sotto la luce dell'acqua.
Dianna seguiva Tritone con disciplina, le braccia raccolte in grembo e la sinuosità dei capelli che rivaleggiava con qualunque altra sirena nelle vicinanze, ma anche il suo sguardo si chinava all'imperiosità e alla prodezza di colui che seguiva.
Non riusciva a scorgere lo sguardo di Tristan, quindi provò a visionarlo nella sua mente e lo immaginò pulsare di soddisfazione e macchiarsi di orgoglio.
Tra le onde risuonava una melodia celestiale e ipnotizzante, quando un movimento veloce frantumò la compattezza di quel silenzio: una figura maschile e poderosa nuotò nella loro direzione, affacciandosi da un alto cespuglio. "Re del lago Tritonide nella Cirenaica e figlio del re dei Mari, nonché mio signore, mio padrone e amico." L'uomo si avvicinò a Tristan e gli posò una mano sulla spalla, la voce grave che lodava con deferenza. "Da tempo gli abissi ricercavano il tuo dominio e la tua protezione."
"Kassandros, mio aiutante di campo, valoroso e abile ipparco, la cui forza è in grado di dominare ogni più indomita unità di cavalleria." Tristan abbozzò un sorriso in direzione dell'uomo, ma le sue parole non sembravano esprimere un elogio, bensì una presentazione, come se la sua mente necessitasse di rammentare chi fosse l'uomo che aveva dinanzi.
Kassandros era un guerriero dalla stazza robusta e dal petto florido, con un torace gonfiato da forza e audacia. I suoi occhi erano grigi, annidati sotto una fronte bronzea e solcata da un paio di piccole cicatrici di guerra che si stendevano a rigare anche la sua arcata sopracciliare. La magrezza delle guance era nascosta da una barba curatissima che incoronava la bocca regolare e che conferiva alla sua espressione un'aura di intensa diplomazia.
L'uomo scostò una ciocca dei suoi capelli castani dalla fronte con un riporto sulla nuca. "Il tempo è giunto, si avvicina, ci corre incontro, Tritone. Il tempo non c'è più."
"Quando?" domandò Tristan, come se conoscesse già il sottinteso argomento di discussione.
"Tra poco più di sessanta giorni, quando l'alba illuminerà la pianura stepposa del litorale di Alexandroupolis, nell'antico regno di Macedonia," sospirò Kassandros, e decine di bolle scivolarono dalle sue labbra. "L'Olimpo è unito, ora. Ogni antica discordia e ogni lotta intestina sembra essere stata sostituita dalla consapevolezza del pericolo. Gli eserciti si stanno riunendo e a tuo padre è stato dato il compito di rifornire le fanterie. Ha fatto squillare le trombe dell'adunata e ha dato ordine al generale Lazaros di addestrare gli uomini. Non c'è stato abbastanza tempo per richiamare maestranze più esperte."
Tristan inarcò un sopracciglio e si girò, preda di un impeto di rabbia. "A chi?"
"Al generale Lazaros," ripeté Kassandros.
Tritone serrò la mascella, strinse i pugni, si abbandonò ad un moto rabbioso e chiuse gli occhi. Poi, quando ebbe superato il largo viale adorno di luci e colori, riaprì gli occhi e ringhiò: "Gli avevo detto esplicitamente di..."
Kassandros tornò a posare una mano sulla sua spalla e si sporse verso quel volto macchiato dal desiderio smodato di agire. "Lo so, Tritone, ma Poseidone non credeva più nel tuo ritorno."
Quando Tristan alzò lo sguardo, nei suoi occhi crebbe una rabbia ardente e un'ombra scura e sinistra si addensò sotto le sue iridi. Respirò profondamente e nuotò con qualche bracciata, prima di voltarsi verso Kassandros e dirgli con voce più mitigata: "Ne discuteremo più tardi. Attendimi nelle adiacenze. Mio padre e mia madre mi aspettano."
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"Figlio!" Poseidone si alzò velocemente dal suo trono d'oro e con altrettanta rapidità afferrò il suo tridente. Spalancò gli occhi vitrei e la sua lunga barba bianca sembrò ingrigirsi alla vista di suo figlio.
Dianna notò, in disparte, le sue iridi brillare rabbiose.
Solamente una donna -una bellissima donna- si alzò dal proprio scranno e si avvicinò a Tristan.
Aveva dei lunghi capelli castani, di cui alcune ciocche s'avviluppavano in un intricato intreccio sulla nuca, e altre ricadevano con superba bellezza sulle sue spalle. La figura era resa regale da una piccola tiara dorata sui capelli, nella quale tre gemme incastonate riflettevano le stesse sfumature degli occhi cristallini e allungati sotto palpebre leggermente annerite. Le labbra erano rosate, piene, e la loro forma si imprimeva come un cuore sulla pelle lucida che metteva in risalto l'ovale perfetta del viso.
Quando la donna prese tra le mani il viso di Tristan con un'apprensione ardente, Dianna capì ella fosse Anfitrite.
La regina accarezzò le guance del figlio con un intenso affetto materno e ne studiò i lineamenti espressivi e maturi, con occhi che tradivano nostalgia e tristezza, logorati dalla mancanza e dall'ansietà, tantoché le sue guance sembravano d'un tratto solcate dalle privazioni. "Sei tornato."
Tritone tacque, ma annuì lievemente.
La voce di Anfitrite tornò a soffiare con una deliziosa melodia. "Per una madre non c'è nulla di più distruttivo e doloroso del pensiero del proprio figlio in pericolo. Ho provato a crescerti come un pensatore, ma sei cresciuto come un guerriero. Ho provato a sfilarti dalle mani la spada per sostituirla con una cetra, ma con la lama hai spezzato le corde dello strumento." La mano della regina scese sul collo di Tritone e avvicinò il suo viso al proprio, chiudendo gli occhi.
Dalle sue lunghe ciglia, stillò una lacrima solitaria.
Poi continuò: "Non hai mai seguito le orme degli altri, ma hai calpestato la sabbia intatta. E non ti vorrei diverso. L'immagine di te creata dalla tua indole è migliore di quella che il mio amore di madre avrebbe plasmato. Ma per Zeus e per tuo padre," la sua voce si appassionò, "sta' in guardia! Non permettere che le tue energie formidabili offuschino la tua prudenza! Non voglio piangere un figlio." Anfitrite baciò la fronte di Tritone, posandovi le labbra per un lungo istante, mentre le lunghe dita curate stringevano i suoi capelli.
Dianna avvertì sulla pelle nuda delle braccia una scossa di brividi, come se le lacrime che aveva versato in passato per la morte di sua madre ora corressero elettriche sul suo corpo.
Anfitrite riaprì gli occhi profondi con un lento movimento e rivolse uno sguardo alla sirena. "È lei?"
Tritone guardò Dianna e le allungò una mano, invitandola ad avanzare. "Sì, è lei."
"È molto bella." Anfitrite sorrise e il suo volto s'illuminò per un momento.
"Lo è."
Alle spalle della regina, da un piccolo scranno in bronzo, si levò un giovane corpo femminile, dalla bellezza ninfeica, gli occhi da cerbiatto e la dolcezza dello sguardo di un capriolo. La morbida acconciatura spruzzava un denso colore dorato che ricordava le sfumature dei capelli di Tristan.
Era Roda, sua sorella.
Ella si avvicinò a Dianna indirizzando con un sorriso un caldo saluto, a cui però non seguì altro.
Un'altra figura, più alta, appariscente e snella si levò da un altro scranno. Si avvicinò con una camminata ancheggiante e sicura, il bacino inclinato in avanti a mostrare il seno fiorente. Le labbra pallide erano increspate e lo sguardo -reso criptico da un piccolo neo sotto le ciglia inferiori- si posò con una spavalderia altezzosa su Dianna.
La giovane prese a girare attorno alla sirena, esaminando la sua coda turchese e i suoi capelli fiamma. "Quindi è lei..." E posò un dito sotto il mento di Dianna per alzarle il viso, voltarlo a destra e a sinistra per soppesarlo, quasi fosse una schiava da esaminare.
Tristan si mosse con un veloce slancio e si parò davanti a Dianna. "Sì, è lei. Riesco a sentire sin da qui la galoppata furente della tua invidia, Bentesicima."
Quest'ultima sfoggiò un sorriso sardonico, gettò il capo bronzeo all'indietro e la sua risata teatrale e costruita proruppe per un istante tra le onde. Bentesicima allungò le braccia, spinse ai lati Anfitrite e Roda e si posizionò tra i loro corpi. Alzò lo sguardo su Tritone. "Fratello, forse non sai che ho talmente tanti corteggiatori che non so a chi concedere la mia mano."
Tristan le si fece vicino e la squadrò con sguardo sprezzante. "Sei talmente acerba che non vorrebbero neanche il tuo piede."
Bentesicima si irrigidì.
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"Che cosa..." Dalla voce di Tristan trasparì una triste incredulità. "Che cos'è?"
Egli indossava una tunica e una clamide macedone bianca orlate d'oro, con un nastro d'argento intorno alla testa che coronava le ciocche dei capelli in preda ad una giovane energia che le faceva agitare al vento.
Le spalle di Tritone sembrarono irrobustirsi e i suoi occhi si socchiusero come fessure dinanzi alla scena: in una vasta, desertica e sabbiosa pianura -quasi simile alle antiche dune egiziane- l'esercito degli abissi si piegava sotto gli sforzi dell'addestramento. I volti dei combattenti erano talmente imbrattati di terriccio che l'opacità della loro pelle venne contrastata dai bagliori disperati degli occhi traslucidi.
Le armature erano scheggiate ed indolenzite, tantoché ad ogni movimento cigolii arrugginiti irrompevano nell'ampia distesa di terra, come un sinistro preludio.
Il sole scottante e pulsante della Grecia splendeva impietosito sulle schiene ossute e scheletriche degli uomini che levavano al cielo rantoli d'agonia.
I soldati erano suddivisi in tre grandi gruppi: in uno di questi un paio di centinaia di uomini stendeva sulla sabbia, le gambe raccolte in grembo e le braccia che s'alzavano per sollevare lance di ferro dalle quali pendevano ulteriori pesi; nel secondo gruppo -più vasto, che contava all'incirca quattrocento uomini- i soldati duellavano singolarmente con piccole daghe grigie che minacciavano di staccarsi dalle proprie else dorate; nel terzo ed ultimo gruppo, un centinaio di fanti di cavalleria sedevano sopra grandi destrieri morelli, galoppando lentamente attorno a lunghi bastoni conficcati verticalmente nel terreno, in un gioco di coordinazione ed eleganza.
Dianna vide Tristan tendersi, le mani stringersi a pugno attorno ai lembi della clamide e i sandali graffiare la sabbia, come un toro pronto a puntare all'assalto. Egli ripeté: "Che cos'è tutto questo?"
Al suo fianco, Kassandros interloquì con voce insicura: "Il generale Lazaros addestra uomini adulti che hanno già combattuto guerre, ogni giorno dal mezzodì al tramonto."
Tristan avanzò di un passo e tuonò, la bellezza greca abbagliante: "Quei cavalli camminano o galoppano?"
"Tritone, ti prego..."
Tristan alzò la voce: "E quelle daghe sono insulse spazzole marcite per capelli o spade? E quelle sono sarisse o picconi? Dimmi che questa è una messa in scena, Kassandros."
Poseidone, che era al loro fianco, -ora un re poderoso vestito di una lunga stola regale di bisso che scendeva sulle sue spalle- inforcò il tridente e disse: "È l'addestramento, Tritone. Arretra o sarai solamente d'intralcio."
Tristan s'immobilizzò.
Poi si voltò con un'eccessiva lentezza torva: i suoi occhi erano pericolosamente spalancati, le narici pulsanti e le labbra che tremavano sotto spasmi nervosi. I muscoli del suo collo si rilevarono e Dianna arretrò di un passo perché vide il sangue scorrere così impetuosamente nelle sue vene da bruciargli la pelle.
Tristan alzò un braccio e urlò, alternando lo sguardo da suo padre a Kassandros, da Kassandros, a suo padre: "Non si combatte una guerra così!"
Kassandros trasalì per l'imperiosità della sua voce e, posando una mano sulla guaina della spada appesa alla vita, si avvicinò a Tristan, ma prima che potesse aprire bocca, questi lo precedette dicendogli: "Dov'è Lazaros?"
Kassandros allungò una mano e indicò un uomo segaligno dalla carnagione olivastra tipica delle zone della Laconia, con una folta barbetta da capra nera: "È quell'uomo laggiù. Vado a chiamartelo..." E mosse qualche passo.
Tristan gli afferrò il braccio e lo tirò indietro. "No. Lo faccio io." Poi urlò: "Lazaros!"
Il generale, non lontano più di un paio di decine di passi, si voltò e s'apprestò a focalizzare la figura maestosa del giovane che lo aveva richiamato.
Tritone alzò una mano, voltò il palmo verso l'alto e piegò più volte l'indice: "Venite qui."
Lazaros sembrò aver riconosciuto il figlio di Poseidone e, dopo aver tratto un sospiro di sconcerto, unì le gambe in una formale battuta e si mosse con capo piegato e rispettoso verso Tristan, abbandonando l'esercito. Quando gli giunse innanzi, disse: "Mio signore, non sapevo del vostro ritorno."
"Risparmiati il fiato. Taci."
L'altro si ammutolì.
"Da questo momento in poi siete sollevato dal vostro incarico."
"Ma..." Lazaros balbettò e rivolse un'occhiata a Poseidone, "vostro padre mi ha esplicitamente ordinato di preparare l'esercito alla guerra e..."
"Cosa che non state facendo. O meglio, compito che state assolvendo senza professionalità."
Poseidone borbottò indignato, strinse il tridente e si avvicinò al figlio. "Tritone!" gridò. "Non ti è concesso di modificare decisioni che tuo padre ha preso da tempo, tantomeno hai il diritto di sollevare un uomo che ho scelto io per il suo incarico."
"Pessima scelta."
"Tritone," Poseidone fronteggiò il figlio, "una sola parola e giuro sul mio regno che..."
Tristan si voltò verso Lazaros. "Tu, va'! Va' via!"
Il generale batté obbedientemente in ritirata, seppur nel suo sguardo fosse velata una pungente umiliazione, dopodiché succhiò il proprio labbro inferiore e sparì, lasciando alle sue spalle una decina di orme sulla sabbia.
Tritone sfoggiò un sorriso beffardo, sfilò il nastro d'argento dai capelli e lo legò attorno al proprio polso destro, prendendone un lembo e tirandolo, per poi sbatterlo contro il suo palmo come un elastico. Levò lo sguardo sul padre, i capelli che ora sbattevano sulla fronte: "D'ora in poi avrò io le redini dell'esercito. Lo addestrerò io. Perché se, padre, non siete in grado di riformare un esercito e se non siete capace di scegliere con saggezza l'uomo a cui affidarlo, lo farò io. Ma ricordate," e il suo volto si avvicinò a quello del padre, "che, quando vincerò la guerra, voglio la corona del merito."
Poi, mentre Poseidone ribolliva alle sue spalle, Tristan si voltò e camminò verso un soldato steso sulla sabbia, gli afferrò la lancia tra le mani e gli disse: "Tu! Raduna l'esercito al mio cospetto! Ora le cose cambieranno. Tritone è tornato." E conficcò la lancia nel terreno.
E la sua lama vibrò pericolosamente.
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(Nella foto, a partire da sinistra, i visi che mi hanno ispirata per Kassandros, Anfitrite, Roda e Bentesicima)
Come avete letto, in questo capitolo sono comparsi nuovi personaggi. Quale preferite? Kassandros mi piace molto, è un vecchio amico di Tristan e il fatto che lui abbia una spalla destra a me piace molto. Ma il mio amore è Anfitrite. Ne sapremo di più su di lei e sul rapporto che la lega al figlio, che è particolare -spero- e lo vedrete nei prossimi capitoli. Roda è dolcissima, la sorellina buona, diciamo, ma Bentesicima è una strega!
Io sono fissata con il Settecento (e questo lo sapete), ma anche con Alessandro Magno. Ho trasmesso queste "fissazioni" a Tristan, ecco perché ho deciso di "posizionare" la battaglia ad Alexandroupolis, non è per vanità perché io mi chiamo Alexandra, no.
Nel prossimo capitolo scoprirete il lato guerriero e di comandante di Tristan. Siete curiose?
Quale parte vi è piaciuta di più di questo capitolo? (Se vi è piaciuto).
Fatemi conoscere il vostro parere! Votate e commentate!
Grazie mille come sempre!

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