Capitolo 63

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Le parole di Dianna invasarono il cuore di Tristan. Lo colpirono come una freccia che scocca improvvisa, come un sasso che viene lanciato con una pesante forza, ma queste erano similitudini astratte, perché chiunque lo guardasse in quel momento, -anche per puro caso-, vedeva solamente un volto tirato, freddo, persino mesto, quasi impassibile. Ma se l'ipotetico osservatore che lo stava esaminando fosse stata una sua amicizia di vecchia data, avrebbe sicuramente riconosciuto quello sfolgorio sorpreso nei suoi occhi e avrebbe persino captato a vista i movimenti del suo petto che si gonfiava rapidamente sotto i frenetici balzi del suo cuore.
Perché ti amo.
In tutta la sua secolare e millenaria esistenza, nessuno mai lo aveva sorpreso tanto a parole.
E nessuno mai, nel profondo inconscio, lo aveva reso più appagato.
In qualche modo, Tristan sorrise istintivamente. Tuttavia, non era uno di quei sorrisi grandi, ampi e lucenti mirati a dimostrare una molto spesso finta e costruita gioia. Era bensì un sorriso debole, lievemente accennato: gli angoli delle sue labbra si erano alzati di poco, quel necessario per concordarsi allo sguardo emozionato.
Al contempo, anche Dianna era scossa dallo stupore: le parole le erano scivolate di bocca incontrollate, e prima che pensasse di doverle tenere in sé, le aveva già proferite. Ora vedeva Tristan pietrificato che la guardava con occhi animati: le sue ciglia si alzavano, sbattevano e poi roteavano. Solamente di tanto in tanto -e per non più di qualche secondo- riusciva a guardarla negli occhi.
Erano molto vicini. Tanto vicini che Tristan avrebbe voluto rubarle un bacio, ma sapeva che, anche se sembrava che la battaglia si fosse fermata per un lungo momento per dargli modo di degustare quelle sensazioni, la morte lo circondava. Davanti a sé, però, vedeva la vita, vedeva lei, vedeva la vita che avrebbe voluto trascorrere con lei.
Tristan era però indeciso: se l'avesse lasciata andare e l'avesse affrancata dall'uso del fevior, durante la cavalcata di ritorno Dianna avrebbe potuto imbattersi in spade e in lance, e ora lui sapeva -perché aveva intercettato quelle occhiate- che Dianna era stata notata da molti occhi nemici. D'altra parte, sarebbe ugualmente incappata in molti altri pericoli anche se lui avesse deciso di prenderla sotto la sua protezione.
Tristan si fece perciò guidare dal cuore e dall'istinto e ciò che ne venne fuori fu rapido: non poté fare altro che distendere un braccio e afferrare le redini del cavallo di Dianna -che riconosceva essere di Kassandros dal manto- e attirarlo al suo fianco. Distolse lo sguardo dalla sirena e guardò dinanzi a sé, parlando però con qualche leggera difficoltà, con numerosi sospiri che ingolfavano le sue parole: "Cavalca al mio fianco. Non ti allontanare. Tu stordiscili, io li finisco."
Inizialmente, Dianna si mostrò perplessa davanti a quella formula sconosciuta, ma non tardò a comprenderla, perché poco dopo vide Tristan sfilare dal fodero la sua daga e infilzarla con barbarie nella giugulare di un oplita che correva pugnace nella sua direzione. Il soldato spalancò le labbra e i suoi occhi fermarono il loro muoversi: allungò le mani verso il proprio collo, e nell'istante in cui Tritone sfilò la spada recuperandola, il sangue schizzò a fiotti e Dianna si voltò, non riuscendo a sostenere la vista di un tale dolore, seppur nemico.
Tristan notò la sua reazione. "È la guerra, Dianna," ammise con una dolce nota nella voce profonda, quasi volesse tentare di equilibrare l'amore a un simile sferragliare.
Agli antipodi del campo di Aléxandroupolis, anche i sette Olimpi stavano combattendo: Ares, con un sorriso infernale, respingeva i colpi con il suo grande scudo e urlava a quella cerchia militare composta da soldati mortali che, per lui, le loro picche erano deboli come spighe di grano. Efesto, invece, con le sue armi ancora bollenti di foggiatura, bruciava e marchiava a fuoco i colli sprovvisti di protezione di un paio di guerrieri, ed Ermes, che si stava battendo vicino alla riva del mare piatto, calava dall'alto del suo cavallo il suo caduceo sui capi degli avversari, ed osservava con vittoria e con occhio cruento come i suoi lunghi, viscidi e letali rettili si torcessero attorno alle gole degli uomini, sino a portarli al soffocamento.
Eppure, essi non parevano eccessivamente spaventati dalla presenza dei sei Titani che vagabondavano e mietevano chiunque sotto la gravità dei loro piedi. Erano Zeus e Poseidone, piuttosto, i più smarriti, i più confusi e i più irretiti dal giogo balordo della paura: sentivano il peso dello sguardo del padre Crono sopra le loro spalle.
Fu proprio il titano maggiore a fermarsi. Crono si chinò verso un gruppo di uomini che si stava dando alla fuga e solo uno di loro non riuscì a sfuggire o, perlomeno, a distaccarsi dalle grinfie del mostro chimerico. Il titano osservò il pover'uomo con una curiosità ironicamente malvagia e lo esaminò ancor più da vicino, sino a che le sue grandi froge da drago non si allargarono. Parlò ai due figli senza tuttavia osservarli: "Non avevo ingoiato anche vostro fratello Ade?" E agguantò il soldato con un'estrema facilità. Lo sollevò e tutto ciò che rimase dell'uomo fu solamente il suo agitarsi convulso e terrorizzato prima che Crono lo lanciasse dentro le sue fauci. Lo masticò velocemente e poi sputò sulla sabbia una miscela grumosa di sangue e pelle.
Zeus e Poseidone rabbrividirono anche nella loro illusoria tenacia imperscrutabile e indolente. Avrebbero voluto agire assieme, perché glielo si leggeva negli occhi quel desiderio di collaborazione, ma da troppo tempo non coadiuvavano più.
Dianna, nel frattempo, era riuscita a frastornare un paio di soldati difficili da piegare a morte e Tristan li aveva ferocemente uccisi colpendoli alla schiena mentre erano inginocchiati già doloranti sulla sabbia.
Trascorse qualche minuto, o forse ore, il tempo non esisteva più in quel lembo di mondo divino ed invisibile.
I clangori delle ultime spade rimaste si levavano acuti verso il cielo argentato e annuvolato, mentre qualcuno osava avere l'illusione di sentire lontane le voci e i pianti delle prefiche che si riversavano in lacrime sui corpi morti dei guerrieri più prodighi.
Tristan oltrepassò Dianna al galoppo e si posizionò davanti ai contingenti della falange che, seppur sfasciati e dispersi, si stavano battendo. Con un urlo, alzò il braccio con la sarissa dalla lama oramai insanguinata. "Falange! πίσω!"
Pochi compresero l'ordine urlato in un greco perfetto: molti dei soldati dell'esercito avversario venivano dall'antica Persia, dalle sponde del Tigri e dell'Eufrate, e alcuni erano natali persino della vecchia Battriana.
E gli uomini di Tristan, anche se in combattimento, serrarono velocemente gli scudi, assunsero una posizione impettita, abbassarono le lance e iniziarono ad indietreggiare: i soldati che più si erano allontanati dalle postazioni ordinate dei sedici battaglioni si riunirono lentamente in un unico ordine quadratico e compatto.
Ciò accese di perplessità l'esercito nemico, il quale sbarrò gli occhi con uno stupore improvviso. Anche i Titani, dall'alto del loro troneggiare, socchiusero scettici le enormi palpebre grinzose.
Con la corazza insanguinata, lo scudo sfregiato e la daga smussata, Eryx spostò gli occhi caratterizzati da un leggero strabismo verso l'esercito di Tristan, e continuò a fissarlo anche mentre si avvicinava confuso verso il fratello Ippotoo: "Che stanno facendo?"
Ippotoo inclinò il capo. "Stanno retrocedendo, a quanto sembra."
Eryx sorrise e riusciva già a sentire sulla lingua l'agrodolce sapore della vittoria. "Peccato," disse, "avrei preferito condurli io alla resa."
Tuttavia, Eryx non riuscì ad aggiungere altro. Infatti, in pochi istanti che si mossero invisibili e veloci nel tempo, con un rapido gesto del braccio che si alzò, Tristan lanciò un altro chiaro segnale: il suo esercito si divise in due metà e i soldati camminarono lateralmente verso le due estremità, aprendo un varco nel mezzo.
Eryx e Ippotoo sbatterono più volte e con lo stesso ritmo gli occhi, con la confusione che attecchiva ai loro visi, come se fossero spettatori di un'opera che non riuscivano a comprendere, di cui non facevano oramai più parte.
Tristan, con il cavallo dalla folta criniera che aveva oramai perso le sue sfumature originarie, sorrise a sua volta e il suo urlo fu talmente roboante che la sottile cupola invisibile sembrò tremare."τοξότες !"
Il suo esercito rimase immobile e ogni soldato s'impegnò a reggere diritta la propria sarissa, sebbene fosse spezzata, insanguinata, o addirittura senza lama.
Fu alle sue spalle che qualcosa si mosse. Dal promontorio a meridione -che racchiudeva il campo in una baia isolata assieme a quello a settentrione- uscì l'esercito di arcieri di Apollo, i quali s'immisero correndo nel varco aperto tra le due metà della grande falange riunita, tendendo verso il nemico i micidiali archi a doppia curvatura e reggendo alla cintura le faretre di cedro intarsiate d'avorio.
Come una pioggia di morte, le frecce scoccarono, salirono in alto, percorsero velocemente un'ampia parabola nel cielo sfolgorando come fulmini e ricaddero vibrando e conficcandosi nei petti dei nemici in un eccesso di elettricità.
L'esercito di Eryx venne decimato a poco a poco, fino a che non rimase solamente un modesto gruppo di opliti che si guardavano attorno alla ricerca del cavallo più vicino da montare per darsi alla fuga.
Tritone ghignò e guardò i due fratellastri poco lontano. Nonostante sapesse che non potevano sentirlo, sussurrò tra le labbra rosse: "Sono arcieri immortali."
Gli uomini con l'arco calarono le loro armi con classe ed eleganza e si accodarono al loro re: Apollo.
Re al quale somigliavano: come il dio, anche loro avevano capelli biondi sontuosamente acconciati e arricciati con il calamistro.
I pochi superstiti dell'esercito titanico vennero bersagliati da Dianna, che non disponeva né di scudo, né di spada, né di lancia e né di arco. Semplicemente, come aveva già fatto nei minuti -o nelle ore- precedenti, li guardava, impuntava il proprio sguardo sul loro, spalancava di poco gli occhi e, chinando leggermente il capo, concentrava tutte le proprie forze e la propria attenzione su quello scambio di sguardi fissi.
E ogni nemico cadeva, così, morente e starnazzante, sotto la potenza del fevior. I più combattivi si lasciavano cadere a terra, però impegnavano tutta la loro restante volontà per rimanere in vita e respirare ancora, ma venivano uccisi da Tristan.
Ora che l'esercito avversario era pressoché falcidiato, era più semplice raggiungere i Titani: Dianna spronò il suo destriero, e facendosi largo tra i guerrieri che allungavano spade e lance verso di lei, raggiunse quasi le zampe di Oceano, tra tutti il Titano più malfatto e guardò come i suoi occhi infernali si chiusero un istante per guardare poi nella sua direzione.
Per qualche strana ragione, Dianna non venne assalita dal terrore quando la bestia si piegò verso di lei, bensì iniziò a fissarla con un'intensità ancor maggiore di quella con cui aveva mietuto gli altri soldati, ma ciò richiese un indicibile sforzo.
Oceano rimase a scrutare con una malvagia ammirazione la sirena sul suo destriero e spingeva il muso verso il suo cavallo, andando avvicinandosi, ma Dianna, senza perdere la concentrazione, arretrava e serrava labbra e mandibola.
Tuttavia, c'era qualcosa che lei non riusciva a spezzare in quel contatto visivo. Sapeva che sarebbe stata in grado, se solo si fosse impegnata maggiormente, di radere al suolo ogni anima in quel campo di battaglia, ma sapeva anche che qualcosa stava ostacolando quel suo intento. In una semplificata teoria, lo sguardo di Dianna e quello del titano si stavano incontrando, stavano sbattendo l'uno sull'altro, e quello della sirena avrebbe dovuto solamente sforzarsi e spingere con potenza contro quello di Oceano per farlo indietreggiare, ma sembrava che un muro si fosse improvvisamente eretto in tutta autonomia a bloccare quel contatto, e Dianna non riusciva ad abbatterlo.
Sentiva un impedimento e gli occhi le divennero pesanti.
Persino le sue palpebre iniziarono a gravare come sassi sulle sue iridi blu.
Dianna avvertiva la mole della propria forza imprigionata in corpo, ma era come se non riuscisse a trovare la chiave adatta per aprire quella cella e sprigionarsi in tutta la sua potenza.
Il legame era troppo duro, il contatto troppo intenso. Tuttavia si sforzò, la testa prese a vorticarle, ma Oceano cedette alla sua potenza, chiuse gli occhi mostruosi e fece tremare il suolo cadendovi sopra a peso libero.
Era temporaneamente indebolito.
Ma non era morto.
E questo pensiero fece agitare Tristan che, alle spalle di Dianna, aveva osservato l'intera scena sempre sul punto di intervenire, con il cuore in gola e il respiro corto.
Qualcuno, con la lancia che sbatteva contro l'armatura, sorprese Tristan alle spalle. "Io non... è scappata con il mio cavallo lasciandoci doloranti in ginocchio, Tristan. Non sono riuscito a fermarla. Mi... mi dispiace." Kassandros alzò lo sguardo verso l'amico, i capelli castani oramai sfatti.
Tristan si voltò per un istante a guardarlo e lo vide ricoperto di sangue dalla fronte ai sandali e capì che, nonostante non lo avesse visto, Kassandros era già da tempo nel campo di battaglia. Dopodiché annuì distrattamente e tornò con l'attenzione verso Dianna: la notò assentire debolmente e scostare lo sguardo verso un altro Titano che si girava attorno senza una destinazione, come imbastardito, ma nella sua visuale irruppe una figura che corse verso un punto ben definito. Ippotoo.
Prima che Tritone potesse reagire, Ippotoo aveva già infilzato la propria spada nella milza di Kassandros e aveva inferto un altro colpo al suo petto. Tristan spalancò gli occhi, la bile gli salì in gola e non respirò per un lungo istante, scioccato, terrorizzato. "Kassandros!" urlò.
Ippotoo si voltò verso Tritone e con un sorriso lasciò scorrere un dito sulla lama della sua spada e raccolse il sangue della sua recente vittima. "Lo lascerò morire sotto il peso dell'agonia."
Kassandros portò una mano al petto e la vide intingersi immediatamente nel proprio sangue, in una morte rossa. Poi chinò il capo, con uno sguardo stralunato, quasi dormiente, a guardarsi il petto, come non riuscisse a capire cosa gli fosse accaduto, e subito dopo vomitò fiotti di sangue. Fu un momento: barcollò e cadde inerme a terra, con gli occhi che si apprestavano, forse, a muoversi per un ultimo istante prima di lasciare la vita per sempre.
Tristan fu oppresso dalla disperazione, dall'istinto, dalla rabbia e dalla vendetta. E quest'ultima era di tutte le sensazioni la più dominatrice. Aveva già alzato la lancia esiziale e funesta per lanciarsi al galoppo verso Ippotoo, ma un movimento lontano e dapprima indistinto lo costrinse a fermarsi e a voltare il capo: Eryx aveva afferrato da terra un arco e ora lo stava tendendo per scoccare una freccia verso Dianna che, troppo impegnata a piegare il secondo Titano, non era conscia del pericolo che ora gravava su di lei.
Inevitabilmente, Tristan si trovò dinanzi ad una scelta che non aveva possibilità multiple, una scelta a senso unico: deviò rotta e afferrò le redini del proprio destriero ancora una volta. In un fulmineo momento, il suo stallone saltò, si impennò scalpitante per pararsi davanti a Dianna e per schermarla dal colpo, dalla freccia che era già scoccata e stava roteando veloce fendendo l'aria e il tempo.
E l'arma sottile si infilzò nel fianco del cavallo di Tritone.
L'animale quasi ululò, lanciando nitriti doloranti e sofferenti, acuti quanto lo squillo di una tromba: agitò gli zoccoli all'aria in impennata e scosse il muso nero, respirando a fatica dalle froge larghe.
E, con la morte, abbandonò il suo cavaliere.
Tristan cadde da cavallo.
E, lontano, si udì un urlo disperato di madre: Anfitrite era riversata a terra, guardando il figlio cadere.
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Ora so che mi odierete perché ho ferito Kassandros (che ora non è morto), e nei prossimi capitoli scopriremo se sopravvivrà o meno. Secondo voi?
E mi odierete anche perché ho fatto cadere Tristan da cavallo (r.i.p. piccolo cavallino), soprattutto sotto gli occhi di Eryx che ora si scaglierà sicuramente su di lui. Vi ricordate la poesia su Alessandro Magno che Dianna aveva cantato a Tristan? Beh, era un presagio: Tristan è caduto da cavallo allo stesso modo. Riuscirà Tritone a difendersi? Chi interverrà? Kassandros morirà?
Povera Anfitrite, comunque :'(
Come avete visto, il fevior non funziona molto contro i Titani, a dispetto di tutte le aspettative, quindi vi chiedo... come moriranno?
Fatemi sapere che ne pensate di questo capitolo e cosa credete che accadrà! Votate e commentate!
Grazie mille a tutti e buon Ognissanti!

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