Capitolo 22

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Dianna sedeva sul letto, le gambe intrecciate sotto la veste bianca e lo sguardo perso sugli omini di panpepato che Jana aveva sudato per rubare quella mattina dalle cucine. Le aveva spiegato che erano dei biscotti tipici degli anglosassoni ma molto apprezzati anche in America, proibendole inoltre di reputarli dei dolci adatti ad un pubblico infantile, perché -a detta sua- quegli orsettini sbriciolosi erano in grado di essere degustati dai più abili divoratori di tutte le età.
Quella mattina era Natale.
Dianna non credeva ciò potesse influire sul suo confuso stato mentale, demolito e zoppicante, ma -senza alcuna forma di dubbio- il Massbury Institute si sarebbe acceso in festa, regalando ai suoi studenti una giornata più gaia -o meno buia- delle precedenti.
Almeno così sperava Jana, eternamente fremente e infuocata del brio più vivace la sua giovane età le permettesse di sfoggiare.
Quella mattina, infatti, al suon della sveglia -Dianna aveva oramai assimilato il termine- Jana era balzata in tutta fretta giù dal letto calorosamente fervida come non mai, forse per la gioia data dalla festività che bussava alle porte o forse per i sensi ancora solleticati dai cocktails della sera prima e dalla musica stereotipata del Dance Dark. Dopodiché era uscita dalla camera a piedi scalzi e aveva zampettato lungo i corridoi, tornando successivamente con una teglia colma di omini di panpepato, per poi dar voce squillante al suo pensiero che si rifiutava di credere che quella dannata scuola offrisse anche simili prelibatezze.
Dianna però non aveva soppesato le parole della compagna, perché queste spesso rimanevano in sottofondo, un farneticare abitudinario. Aveva quindi intrattenuto il suo tempo affibbiandosi silenziosamente il titolo di fragile sciocca. Come aveva potuto dar ancora motivo di soddisfazione a Tritone? Come aveva potuto piangere in sua presenza?
In quel momento, Dianna fu certa di preferire una lenta agonia che portasse alla morte, nel pensiero masochista che le suggeriva di metter fine alla propria vita, nella speranza di evitare in tal sistema di continuare a dar ragione di godimento a Tristan Waves.
Ancora una volta, però, quel sottofondo e quel farneticare abitudinario di Jana la salvarono dai conflitti dei suoi pensieri.
Dianna chinò il viso e nascose le guance arrossate dietro gli omini di panpepato.
Jana osservava i biscotti con occhio curioso, l'espressione assente ed estasiata di una bambina che esamina un regalo che desiderava da tanto tempo. Poi allungò l'indice per accarezzare e raccogliere sul polpastrello lo zucchero a velo. "Non trovi siano simpatici? Guarda, questo è persino strabico!" disse, indicando dei piccoli ammassi rotondi di glassa reale schiacciati sui biscotti a formare gli occhi degli omini. "È da molto tempo che non mangio i biscotti di panpepato. Anzi... " Alzò gli occhi, ora perplessa, "in realtà... in realtà credo di non averli mai mangiati in vita mia. Però sono buoni. Credo... credo che ci sia della farina..." Jana socchiuse i piccoli occhi perla e prese ad investigare i biscotti, avvicinandoli pericolosamente al volto ed inclinando il capo per scrutarli con sguardo più esperto, "... del burro... della cannella... miele -o marmellata?- No, è decisamente miele. Poi... poi credo ci sia... credo ci siano degli spinaci frullati con del peperoncino!"
Dall'altra parte della camera, Elena, seduta ai piedi del letto, portò le mani alle labbra e sputò con occhio comicamente disgustato ciò che aveva in bocca.
"Page, sto scherzando." Gli occhi di Jana si accesero di risa. "Non farei mai mangiare ad una scrittrice come te dei biscotti avvelenati, altrimenti dubito che potrai un giorno scrivere un libro su di me." Jana continuò a sbocconcellare il suo biscotto, poi si voltò fulminea, scossa da un pensiero improvviso. Guardò Elena. "Perché tu scriverai un libro su di me, giusto?" I suoi occhi si chiusero a fessura.
La risposta di Elena -che alzò rigidamente un sopracciglio- fu tacita, rapida e concisa, nonché evidentemente traducibile in una vivace negazione.
"Io mi fidavo di te." Jana si finse profondamente offesa e portò una mano al viso per schermarsi il volto e gli occhi dalla tentazione di guardare Elena, sbattendo teatralmente le palpebre nel tentativo di frenare le lacrime sul ciglio degli occhi.
Dianna osservò le sue compagne di stanza. Nonostante fossero tremendamente differenti e tremendamente speciali nelle peculiari caratteristiche e virtù che le distinguevano da chiunque Dianna avesse mai conosciuto, pensò tra loro vi fosse un legame invalicabile.
E a Dianna piaceva vedere, credere e -soprattutto- sperare vi fossero sentimenti tanto forti che allacciano i cuori di due persone altrimenti in balìa dei tornadi della vita.
"Mentre stavo tornando dalle cucine ho incontrato Byron." Jana tentò di amalgamare il tono della voce, altrimenti spezzato dai tumulti del suo cuore che le facevano sobbalzare il petto.
Dianna alzò lo sguardo e raccolse tra le mani le briciole di panpepato cadute sul pavimento. "E?"
"Mi ha detto che questa sera ci sarà una festa alla piana del fuoco."
"Fantastico!"
"Fantastico un corno!" Jana si alzò furibonda, la mascella serrata e le unghie conficcate sui fianchi. "Ha detto che inviterà tutta la scuola! E io non voglio! Per me... per me..." Jana prese a camminare confusamente per la stanza. "Per me la piana del fuoco è un luogo intimo, il nostro posto nascosto, il nostro paradiso fuori dal mondo!"
"Potrai fare nuove conoscenze." Dianna provò a stabilizzare la situazione. "Cerca di... umh... vedere l'acqua mezza piena nel... bicchiere..."
"Si dice vedere il bicchiere mezzo pieno, e poi non voglio fare nuove conoscenze! Preferisco vivere la mia lunga ed eterna solitudine, piuttosto che stringere amicizia con questi viscidi omini. Ecco, magari..." Jana rivolse una fugace occhiata alle briciole dei biscotti che dormivano sulla teglia, "preferisco essere amica degli omini di panpepato, ecco! E poi... poi..." Dianna notò gli occhi di Jana rilucere di una passione prorompente. "Voglio Byron tutto per me."
La sirena rimase in silenzio, colpita da quel tono infantile.
E dolce.
"Io lo amo, Dianna. E quando un amore è forte, è geloso ed egoista. Io sono gelosa ed egoista. Ma non posso farne a meno, perché... perché quando ami, desideri che l'oggetto del tuo amore non sia esposto all'ammirazione altrui, hai paura che altri se ne innamorino. E che magari riescano ad ottenere l'amore corrisposto che tu hai sempre sognato." Jana chinò lo sguardo, ora seria. Prese ad accarezzare con espressione assente i lembi della scrivania, sospirando. "Non so se puoi capirmi. Solo chi ama può comprendere queste mie parole. E, chissà, forse non sei ancora innamorata."
Dianna tacque.
Dello sproloquio della compagna, solamente una parola aveva fatto breccia nella sua mente: ancora.
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Al calar del sole, la piana del fuoco era avvolta da un mantello arabescato delle sfumature più vive: dal rosso cremisi che ornava l'orizzonte all'ingenuo lavanda che picchiettava sui colli poco lontani, dalle scie di corallo che si annodavano in cielo al malva spruzzato disordinatamente attorno ai riccioli delle nubi.
In tal modo, anche l'estesa pianura verdeggiante appariva più infocata che mai, baciata dalla vita che quei colori donavano a quell'angolo di mondo.
Fiotti di studenti s'annidavano sotto la quercia solitaria della piana, altri invece camminavano confusamente in circolo, il passo lento di anziane raccolte in preghiera.
Elena s'addentrò in solitudine nella piana, senza badare agli studenti che si gettarono al suo fianco: era infatti troppo impegnata a reggere penna e taccuino tra le mani, alzando occasionalmente lo sguardo per osservare il cielo, le foglie della quercia e l'orizzonte -dove la larga pianura baciava la lontana tavola del mare- per poi chinarsi sulla sua agenda e abbozzare qualcosa ad inchiostro.
Dianna pensò che, nonostante avesse creduto che la conversazione con Elena al Dance Dark avesse acquisito una piega alquanto inquietante, non poteva far a meno di ammirare e di osservare segretamente gli atteggiamenti e la semplice ma complessa filosofia di vedere il mondo che aveva quella ragazza.
La sirena rimase al fianco di Jana, che invece sfoggiava un cipiglio adirato, eternamente corrucciato, le mani intrecciate saldamente al petto e il respiro confuso, vittima di una danza concitata.
"Jana, suvvia, Byron ti conosce da molto tempo e... e ha" Dianna pensò, "friling con te..."
"Si dice feeling."
"Sì, giusto... feeling..."
"Non mi importa!" Jana sbatté un piede a terra e, allungando voracemente il braccio, afferrò il gomito di Dianna e l'attirò a sé. Poi sussurrò al suo orecchio: "Guardalo. È laggiù. Sta stendendo una tovaglia da picnic sull'erba per quel gruppo di poco di buono-lungi da me chiamarle ragazze!- E sai qual è il fatto? Sai qual è?"
"No, non lo so."
"Quella tovaglia è la nostra tovaglia!"
"Ci sono scritti i vostri nomi sopra?"
Jana sembrò soppesare le parole di Dianna e la sua espressione s'addolcì un poco. "Umh... no, però l'ha sempre usata durante le nostre scampagnate del sabato! E io non lo accetto! No, non lo accetto!"
Dianna roteò furtivamente lo sguardo al cielo e si decise ad annuire alle parole di Jana, comprendendo oramai che ogni tentativo di persuaderla dall'idea di sconfitta che la stava attagliando non sarebbe andato a buon fine. Quindi concentrò la propria attenzione sui disegni che le nuvole creavano in cielo, perdendosi in quella proibita bellezza.
"E guardalo, guardalo!" Jana la strattonò. "Ora sta persino lanciando la legna sul focolare. Perché, sai, sicuramente quelle poco di buono avranno freddo e lui le deve riscaldare! Che gentiluomo!" La voce beffarda e ironica era però intrisa di una rabbia che non avrebbe tardato ad affogare con impeto chiunque fosse stato nel campo visivo di Jana.
"Forse sta accendendo il fuoco per fare luce..." Dianna tornò ad ascoltarla.
Jana voltò il capo per osservarla, lo sguardo rigido che l'additava silenziosamente come una sciocca. "Perché, sì, ovvio, con questo tramonto accecante c'è la fervida necessità di fare luce..." Poi alzò la voce. "No, ti dico che sta sicuramente accendendo il fuoco per quelle... " La voce di Jana divenne un sussurro. Poi si fermò. "No, aspetta. Quello che sta alimentando il focolare è Tristan. Si chiama così?"
Una freccia bollente scoccò nell'animo di Dianna. La sirena alzò repentinamente il capo, gli occhi sbarrati e il sangue che ora fluiva appesantito nel suo corpo. Le sue guance s'accesero, in contrapposizione con un solidissimo gelo che invece le stringeva il cuore. Lo guardò.
Sì, era Tritone.
Egli era solo.
Era accovacciato sull'erba, le braccia aitanti allungate pericolosamente sul fuoco e le mani che stringevano tizzoni ardenti che talvolta lanciava tra le fiamme. Poi si fermò, rimase ad osservare le faville giallastre che si levavano dal focolare e si spegnevano in aria con uno scoppio, e lasciò perdere il suo sguardo tra i bagliori, che illuminavano ancor più avidamente le onde dei suoi scarmigliati capelli di sole.
Ma d'un tratto spostò lo sguardo. E i loro occhi s'incrociarono. Nonostante la distanza, la confusione e le giovani grida che li sovrastavano, i loro sguardi sembrarono allacciarsi con furore, ghiaccio su blu, blu su ghiaccio, in un duello all'ultimo sangue. La compostezza stoica di Tristan -che aveva solamente sbarrato gli occhi alla vista di Dianna- vinse sull'agitazione frenetica della sirena, che non aveva potuto fare a meno di lasciar aggrovigliare i suoi pensieri -ora sfatti- assieme agli strappi del suo cuore.
Dianna scostò lo sguardo, ansimando.
Jana la guardò per un istante. Sembrò apprensiva. "Soffri d'asma?"
La sirena scosse il capo.
D'un tratto la voce di Byron irruppe da lontano. Spalancò le braccia e con tono possente richiamò a sé il gregge di studenti, una forchetta stretta tra le mani. "Volete rimanere a digiuno per tutta la serata?" E ammiccò alle decine di cestini di pietanze appollaiati sull'erba.
Jana sospirò. "Mi avvicinerò a lui solamente per vedere come la camicia dell'uniforme si stringe al suo petto, e nella speranza che gli cadano i pantaloni, non perché ho intenzione di mangiare la stessa sbobba che mangiano quelle poco di buono." E s'inoltrò nella folla, le mani strette a pugno lungo i fianchi, e il bacino ancheggiante.
Dianna fu costretta a seguire il suo passo zampettante, ma fu altrettanto obbligata a rallentare la corsa quando una figura irruppe dinanzi a lei: Kristiàn stringeva imbarazzato le labbra, una mano dietro il collo e una infilata nella tasca dei pantaloni, il ciuffo di capelli platino che oscurava lo stesso sguardo perla della sorella.
Dianna sospirò e prese a gesticolare. "Perdonami ancora per ieri sera... io..."
Kristiàn scrollò le spalle e parlò a voce alta per sovrastare il cicaleccio vicino. "Non ti preoccupare. È acqua passata. Comunque..." Accennò ad un sorriso. "Buon Natale."
Dianna decise di accontentarlo con un fioco ringraziamento in risposta e un ricambiato augurio.
"Non mangi?"
"No... non ho..." Dianna lanciò un'occhiata alle spalle di Kristiàn, notando Tristan alzarsi, "fame." E strinse le braccia attorno alle spalle.
"Hai freddo?"
"Emh... no... forse... "La sirena rise nervosamente. "Non lo so."
Kristiàn le si fece vicino e fortunatamente non notò come Dianna arretrò istintivamente; si sfilò la giacca e l'avvolse attorno alle spalle di Dianna, con un sorriso vittorioso che lasciava intendere come fosse tremendamente fiero del suo nobile gesto.
Mentre balbettava un ringraziamento in risposta, Dianna notò, alle spalle di Kristiàn, Tristan osservarli serrando la mascella.
Kristiàn sbatté un paio di volte le palpebre e si voltò, nella speranza di intercettare con lo sguardo ciò che Dianna era così lesta ad osservare. "Che cosa... che cosa stai guardando...?"
La sirena scosse il capo e tornò a rivolgere l'attenzione su Kristiàn. Si sentiva maledettamente in colpa per non essere abbastanza forte da resistere alla tentazione di guardare Tristan. Ma le pareva così impossibile! "Nulla, scusami."
"Va bene..." Kristiàn dondolò sui talloni e rimase per un istante in silenzio. "Allora?"
"Cosa?"
"Ho un'altra possibilità?"
Lo sguardo di Dianna si fece cupo. Era alquanto perplessa, non riusciva a comprendere il messaggio celato dietro alle parole di Kristiàn. Probabilmente era ingenua, sciocca e dotata di una scarsa abilità di intuizione, ma trovava assai ardua la pratica di decifrare il linguaggio umano.
Kristiàn, però, tradusse l'incertezza della ragazza in una risposta fermamente negativa e mascherò la delusione con un sorriso impacciato. "Va bene. Credo di aver capito... Comunque... insomma... io... io non mi arrendo. Byron mi ha detto di... di non arrendermi mai."
"Oh, già, Byron." Dianna si costrinse ad annuire per fingersi partecipe alla conversazione. Ma il suo sguardo era eternamente rivolto alle spalle di Kristiàn.
Il ragazzo tentò di deviare l'attenzione generale su un altro argomento, assumendo una rigida posizione impettita che conferiva al tono della sua voce una sfumatura professionale. "Sai, la piana del fuoco non è l'unico luogo degno di ammirazione della contea di Mathews."
"Ah, no?"
"No. Più lontano..." Kristiàn si accostò al fianco di Dianna, spalla su spalla, e stese un braccio, indicando un punto indistinto all'orizzonte. "Più lontano c'è il mare. E una piccola spiaggia. Modesta. Frastagliata. La si può raggiungere in quattro e quattr'otto. Se vuoi..." Kristiàn avvampò. "Insomma, se vuoi... potremmo andarci." E il suo sguardo s'agitò velocemente nel vuoto. "Ora, magari."
Dianna non ebbe il tempo materiale di rispondere. Non sapeva neppure se avrebbe accettato o rifiutato l'invito con titubanza, ma il silenzio generale che calò nella piana del fuoco la costrinse a rivolgere l'attenzione altrove: poco lontano, Jana, affiancata a Byron, guardava questi con preoccupazione.
Byron stringeva tra le mani una carta. Una lettera, si sarebbe detto. Il suo sguardo verdognolo scorreva velocemente tra le righe e lui tendeva la mascella ad ogni sillaba. Poi, dopo aver tratto un sospiro, chiuso gli occhi per riacquistare calma e compostezza, accartocciò la lettera tra le mani e strinse i denti. Poi, sfilandosi la giacca e gettandola sull'erba con furia, prese a camminare rapidamente, allontanandosi dalla folla e tornando a raggiungere i cancelli del Massbury Institute. Ad ogni studente che gli si faceva vicino, domandandogli cosa mai avesse reso così vulnerabile il suo umore, lui rispondeva con linguaggio sgarbato che sarebbe stato per loro più educato prendersi cura dei loro affari, aggiungendo che ai propri ci avrebbe pensato lui.
Jana, però, lo seguiva docilmente. Lo richiamava a gran voce, nonostante lui non si voltasse al suon della sua voce, e corse nella sua direzione.
Dianna vide in quella scena un amore sottomesso, succube. Quindi, onde evitare che la sua compagna ricevesse da Byron un urlo che la intimasse di allontanarsi, decise di seguire Jana per fermarla lei stessa e tentare di convincerla che sarebbe stato più fruttuoso lasciare Byron a riflettere in solitudine.
Con un veloce cenno di congedo si allontanò dunque da Kristiàn e fece per raggiungere Jana, che aveva però oramai scavalcato i cancelli e che stava ora percorrendo a grandi passi il loggiato dell'istituto, la voce pallida che urlava il nome di Byron.
Dianna fece altrettanto: scavalcò con qualche difficoltà i cancelli e atterrò sul cortile con un ripido slancio. Poi, dopo aver rassettato la gonna dell'uniforme, portò una mano al petto e corse. Anch'ella raggiunse il loggiato, che creava dei perfetti archi rinascimentali sopra il suo capo, ma si immobilizzò quando notò una figura nascosta dietro un'alta colonna.
Dianna assottigliò lo sguardo.
Era Tristan.
E stava parlando con una giovane donna.
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Jana e gli omini di panpepato saranno la nuova coppia dell'anno!
Povero Byron...! Secondo voi, qual è il contenuto della lettera e chi la spedisce?
E, soprattutto, con chi sta parlando Tristan?
Votate e commentate!
Grazie mille!

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