Capitolo 39

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Gli occhi di Dianna si sollevarono con timidezza verso Tristan. Poi deglutì e si obbligò a chinare lo sguardo, ma questo -come risucchiato da un'attrazione indissolubile- si alzò nuovamente. La sirena poté giurare di avvertire le palpebre avvampare. Dianna sentiva il profumo di Tritone spirare dalla giacca che reggeva in grembo: la sua giacca. Ne lisciò il tessuto, soppesandolo tra le dita e accarezzandolo come fosse una fragile gemma di cristallo.
Tristan abbassò completamente i finestrini e la pelle di Dianna fu avvolta da una vampata di aria gelida che s'insinuò prepotentemente tra i suoi capelli; dopodiché si inumidì le labbra, posò con disinvoltura una mano sul volante e una sul cambio marce, lanciò un'occhiata provocatoria a Byron -appiattito e prosciugato nell'autostima al suo fianco- e schiacciò il piede sull'acceleratore.
Dianna addentò il labbro inferiore.
La guida di Tritone era rapida, sicura, precisa. E spericolata. Il suo braccio posato con noncuranza accanto al finestrino rivelava un'abilità affascinante, una disinvoltura accattivante, seducente. Il vento che irrompeva nell'abitacolo molestava le ciocche dorate dei suoi capelli, che s'agitavano febbricitanti, s'intrecciavano, s'inerpicavano, per poi ricadere sconfitte sulla sua fronte. Altri spifferi nutriti, invece, scivolavano sotto la sua camicia, freddavano la sua pelle ardente di adrenalina e aderivano ai muscoli possenti del suo addome, un addome scolpito dalla guerra, da furenti battaglie. Anche le maniche della sua camicia, trascinate dal vento, si alzavano sulle sue braccia tanto da rivelare delle vene sottili e gonfie che correvano sotto una peluria scura. Poi Tristan cambiò marcia in un solo, unico, rapido gesto. Superò con un'azzardata sgommata un'auto e s'inoltrò nella corsia di destra, vuota, spianata al suo passaggio. L'Interstate si inchinava al suo comando. Persino il sole, che ora sembrava affacciarsi titubante dietro un colle in lontananza, pareva voler cambiare rotta, non seguire più quell'arco nel cielo per raggiungere lo zenit, ma sembrava voler puntare la propria luce su di lui, su quel guidatore tanto esperto ma temerario.
Dianna trattenne il respiro. Volle imprigionarlo tra le labbra, ma ciò che uscì dalla sua bocca era più un profondo sospiro concitato di apprezzamento. Ed eccitazione. Ma la sirena era troppo orgogliosa, ingenua e schiva per considerare i sussulti del suo corpo una reazione inevitabile alla visione di Tristan.
Gli occhi del ragazzo erano imperscrutabili: coperti dallo specchio scuro degli occhiali da sole, sicuramente osservavano con vittoria la strada, talvolta lanciando un'occhiata al panorama circostante, ancora accesi da una fiamma furibonda. Tristan accelerò, di nuovo. Ogni volta che lo faceva, il suo capo si muoveva leggermente verso lo specchietto retrovisore.
Dianna sapeva che la guardava. Ma non aveva ancora capito per quale ragione. La sirena stava ancora delineando il suo profilo -che sembrava scalpellato dal più abile degli scultori- quando Jana si mosse repentina al suo fianco e la svegliò dal suo sogno: si sporse oltre il finestrino, lasciando che il suo viso fosse investito dalle folate gelide, e urlò. Probabilmente un grido di gioia, di liberazione, spensierato, perché poi Dianna la vide allungare le braccia verso il vuoto e chiudere gli occhi, sorridendo e lasciando che il freddo increspasse le sue labbra. Elena, sulle sue gambe, si scostò leggermente, carpendo con lo sguardo la felicità che sembrava essere impressa con un marchio a fuoco sul volto della compagna. E prese il suo taccuino. Anche Dianna sorrise, perché l'amica sembrava aver ritrovato la gioia perduta, seppellita. Improvvisamente, la sirena non si sentiva più una pedina nera in mezzo a cinque scacchi bianchi: ora si sentiva parte di quella piccola, fraterna e solidale famiglia. Ognuno di loro era fuggito da un passato infelice e da un destino avverso: anche lei. Ognuno di loro cercava il proprio posto nel mondo.
Ognuno di loro voleva credere, per una volta, che la vita avesse riservato un posto in prima fila anche per lui.
Dianna avrebbe voluto urlare con Jana, partecipare alla sua dimostrazione di felicità, ma si limitò a sorridere, celando e rinchiudendo la propria contentezza nell'antro più buio del suo cuore. Perché a Dianna piaceva osservare la felicità altrui, ma era troppo timorosa di dimostrare la propria, poiché sapeva che, prima o poi, anche quella sensazione di sarebbe affievolita come un ricordo lontano. Quando resuscitò dai propri pensieri, vide Jana battere una mano contro lo sportello del passeggero, afferrare e stringere la mano penzolante di Byron fuori dal finestrino, per poi dire: "Urla con me! Mostra al mondo la tua felicità! Insulta gli altri conducenti, ma urla, gioisci! Miami ci sta aspettando!"
"Jana..." Byron tentò inutilmente di metterla a tacere.
Ma l'altra continuò decisa: ora si rivolse al ragazzo con voce sommessa, impregnata di un'amorevole dolcezza. Dianna, però, la sentì chiaramente sussurrare: "Come puoi pretendere di tornare a sorridere se non cerchi la tua felicità? La felicità non ti rincorre, Byron, devi prenderla e farla tua. È come un cane che gira su se stesso per addentare la propria coda: se non l'afferra, questa non sarà mai sua."
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Erano le otto e mezza di sera quando i sei amici scavalcarono le porte d'accesso alla città più famosa della Florida: Miami. Tristan non aveva perso le forze, in quanto sembrava stringere il volante con lo stesso vigore di molte ore prima. Era taciturno, riflessivo e dannatamente avvenente. Il suo fascino aveva lacerato il cuore di Dianna come una freccia intrisa di un veleno letale. Aveva ripiegato le aste degli occhiali da sole su se stesse e li aveva appesi al bavero della sua camicia: ora si vedevano i suoi occhi gelati, cristallini, quasi diamantati, che, riflessi sullo specchietto retrovisore, parevano spruzzare un caleidoscopio di luci e sfumature trasparenti.
Le parole di Jana avevano messo in moto una serie di ingranaggi dal profondo rumore meccanico nella testa di Byron, perché questi ora si obbligava a cantare sommessamente le canzoni dei Bee Gees trasmesse alla radio, cambiando furiosamente frequenza una volta ogni trenta secondi.
Jana, invece, si lamentava per i -a sua detta- pessimi gusti musicali di Byron; Kristiàn, da più di un'ora, osservava il cielo buio con il binocolo, ma sua sorella sosteneva egli si fosse addormentato dietro il cannocchiale; Elena lottava per mantenere gli occhi aperti, piegando e torturando con le dita gli angoli delle pagine del suo taccuino, imbrattato di parole ad inchiostro nero. Dianna si sporse leggermente per tentare di leggervi qualcosa, ma ogni suo sforzo si rivelò vano. Imboccarono una galleria. La musica alla radio iniziò a distorcersi e a dissolversi in un rauco sottofondo. Decine di luci bianche si intervallavano ad attimi di buio. Quando vi uscirono, uno scenario paralizzante si plasmò davanti ai loro sguardi: stavano costeggiando il litorale di Miami. Dinanzi a loro solamente un paio di corsie trafficate bordeggiate da un filare di alte palme non ancora all'apice della loro bellezza. Su automobili di lusso e lucenti si riflettevano le variegate luci dei locali: un arcobaleno di colori sgargianti, sfolgoranti. Le insegne dei pub lampeggiavano, quelle delle discoteche sfrigolavano. I semafori proiettavano sull'asfalto il loro sguardo sangue. L'aria era iniettata di salsedine e di musica ingabbiata tra le pareti delle birrerie. Non pochi giovani, relitti di una serata spesa all'insegna di distrazioni sfrenate, si riversavano sui marciapiedi in preda ai fumi dell'alcool, instabili e barcollanti.
Jana, però, sembrava percepire solamente un'atmosfera festosa: si resse al vetro del finestrino abbassato e fece scivolare il naso all'aria aperta. "Byron, guarda quel locale! Somiglia al Dance Dark!" La sua voce urlava sopra le grida dei conducenti nel traffico. "E poi guarda," continuò, indicando un cane in lontananza, "quel barboncino indossa un giubbottino fosforescente! Non lo trovi tenero?"
"Anche il sedere della sua padroncina sembra tenero. Non trovi, Tristan?" Byron allungò una gomitata al compagno e lo costrinse a voltare lo sguardo.
Tritone sfoggiò un'espressione indifferente. "Ho visto di meglio."
"Ovvero?"
Tristan tacque.
E Jana si ammutolì, arresa, spingendosi contro il sedile con un sospiro deluso.
D'improvviso -probabilmente risvegliato dal balzo che il suo corpo fece quando la Chevy Camaro investì una buca- Kristiàn abbassò il binocolo, strizzò per un istante gli occhi, con un grugnito allungò una mano verso la tasca posteriore dei suoi pantaloni -alzando leggermente il bacino dal sedile- e vi estrasse un piccolo foglio arancione sgualcito. Lo tese verso la sorella.
Jana lo ricevette con occhio diffidente e vi rivolse uno sguardo confuso increspando perplessa la fronte. Poi disse, sventagliando il foglio con disinteresse. "E cosa vorresti fare?"
Dianna alternò velocemente lo sguardo da Kristiàn a Jana, da Jana a Kristiàn.
"Sai che desidero andarci da quando avevo sette anni!" La voce di Kristiàn si fece querula.
"Disabituati a questo desiderio."
"Ti prego!" Kristiàn congiunse le mani in un gesto pio e si sporse verso la sorella, gli occhi sbarrati da una viva speranza che viaggiava in bilico, come su un dirupo.
Jana considerò le parole del fratello. Storse un angolo delle labbra, arricciò il naso, ruotò lo sguardo e incrociò le braccia al petto. Poi socchiuse lo sguardo e assunse una voce flemmatica prima di dire: "Cosa mi dai in cambio?"
Kristiàn sfoggiò un sorriso, pronto a negoziare. Lanciò fugacemente un'occhiata a Byron. Poi tornò a guardare la sorella, certa che lei avesse decifrato il suo sguardo. "Potrei mettere una buona parola tra voi due..."
Dianna non sapeva che cosa significasse quell'espressione, ma vide Jana annuire e portare a termine il tacito contratto sporgendosi verso Tristan. "Accosta. Prenderemo l'autobus. Direzione South Miami Avenue. Andiamo al planetario."
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I sei amici si erano lasciati la Miami affollata e gremita di vita alle spalle. Ora attendevano l'autobus sotto una pensilina in plastica, tappezzata di svariati annunci pubblicitari, che includevano i nuovi e scontati trattamenti di bellezza e gli ultimi rampolli della più famosa linea statunitense che confezionava barattoli di cetrioli sott'aceto. Quando un grande e lungo veicolo giallo irruppe nel viale quasi deserto, Dianna sobbalzò: le sembrava un'enorme vespa ronzante che volava minacciosamente nella loro direzione. Jana, per timore di passare inosservata, alzò un braccio e lo agitò con enfasi, con un sorriso bianco e aperto.
L'autobus accostò e due porte cigolanti si aprirono sotto l'ordine di chissà quale congegno. Dianna sbatté più volte le palpebre, perplessa.
Byron entrò per primo. Al suo seguito, Jana zampettò all'interno dell'autobus.
Dianna salì poco dopo. Quando lo fece, fu assalita da un fetore di marcio che camminò spudoratamente sulla sua pelle. Fu costretta a trattenere il respiro.
Alle sue spalle, Tristan avanzava deciso.
La sirena s'inoltrò in una stretta corsia che correva tra due sponde di sedili dai rivestimenti macchiati e scuciti. Poco lontano, ancorata al sedile più lontano, un'anziana e nostalgica signora stringeva tra le mani una radiolina, dalla quale si alzava fiocamente una lenta melodia; alcuni ragazzi dormivano con i capi reclinati all'indietro, le labbra schiuse in sonnolenti respiri; altri fissavano il vuoto con uno sguardo vitreo e altri ancora disegnavano con il dito figure sconnesse sui finestrini appannati. Alcuni uomini d'affari, invece, -stretti in attillate giacche scure e resi più o meno affascinanti dalle cravatte allacciate al collo- si dedicavano alla revisione di alcuni moduli lavorativi, una penna tra le mani e il tappo trattenuto tra i denti.
Byron saltò velocemente su un sedile e Jana si sedette con soddisfazione al suo fianco. Dianna vide l'amica osservare furtivamente e con occhi famelici il riflesso di Byron attraverso il finestrino chiazzato. Dianna procedette titubante e barcollante, spinta dai continui sbalzi di velocità dell'autobus in corsa. Quando trovò un paio di sedili vuoti, esattamente alle spalle di Jana e Byron, ne occupò uno con frenesia, respirando con affanno. Inclinò il capo verso il finestrino e chiuse gli occhi, ma un movimento al suo fianco la obbligò a riaprirli con la stessa rapidità con cui li aveva serrati: Tristan si era seduto al suo fianco, era scivolato sul sedile con disinvoltura, aveva steso con avvenenza una gamba e abbracciato il poggiatesta del sedile di Dianna con atteggiamento protettivo. Ma la sirena lo vide alzare gli occhi. Seguì il suo sguardo: stava osservando con vittoria Kristiàn, che, alle sue spalle, aveva evidentemente sperato sino all'ultimo sangue di occupare il sedile accanto alla sirena. Tra i due ragazzi imperversò un duello di sguardi, di antipatie e di sottile odio.
Tristan vinse l'immaginaria battaglia perché, pochi istanti dopo, Kristiàn passo oltre, alla ricerca di altri sedili sgombri.
Fuori dai finestrini, fotogrammi di viali alberati si susseguivano a immagini di vecchie locande affollate da una clientela attempata e ubriaca, mentre il cielo, in lontananza, disegnava sopra l'orizzonte un velo che graduava verso toni freddi, scuri e cupi. Il giorno lasciava spazio alla notte.
Ma non era mai notte a Miami.
La città sembrava insonne.
L'autobus arrestò la sua corsa bruscamente. Le porte si aprirono con un debole fischio. Alcuni passeggeri ne uscirono, altri ne entrarono. Tra coloro che salivano sull'automezzo, Dianna distinse tre figure adulte, corpulente e dai lineamenti biechi e torvi farsi strada tra i sedili, reggendo penne e moduli intonsi tra le mani.
Si sporgevano verso i passeggeri e questi allungavano qualcosa che Dianna non riuscì ad identificare nella loro direzione. Jana si voltò come uno spettro verso la sirena, sporgendosi oltre il suo sedile. I suoi occhi erano sgranati, la pelle pallida, le labbra chiuse e la gola solcata da continue deglutizioni agitate. Dopodiché ammiccò alle tre figure e sussurrò: "Sono i controllori," disse. Poi continuò: "E noi non abbiamo i biglietti."
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Vi è piaciuto il Tristan versione Schumacher?
E cosa credete succederà ora che i sei amici sono stati scoperti senza biglietto? Diciamo che Jana si lascerà prendere dall'ansia e ne combinerà delle belle!
E Tristan VS Kristiàn per il sedile accanto a Dianna? Ahahahah
So che il capitolo precedente era un po' più corto rispetto ai soliti, però, come vedete, pubblico sempre due volte a settimana e vi assicuro che non è facile scrivere ogni tre giorni un capitolo che rasenti l'accettabile. Inoltre mi preoccupo sempre di terminare in suspance, forse perché sono un po' bastarda (?) E poi, alcuni capitoli sono di passaggio.
Il prossimo, che spero di pubblicare presto, sarà molto lungo, ecco perché non ho potuto inglobarlo con questo. E accadranno molte più cose.
In ogni caso, spero questo capitolo vi sia piaciuto. Fatemi sapere che ne pensate.
Votate e commentate! Grazie mille a tutti!

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