Capitolo 29

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Dianna e Kristiàn terminarono l'esperimento di chimica in due pomeriggi: una triste e cupa sera in biblioteca e un altrettanto nebbiosa e frigida sera in laboratorio. Dianna lo aveva notato eccessivamente silenzioso in seguito all'episodio avvenuto in biblioteca, un tacere assordante, che trascendeva i limiti della normalità.
La sirena non sapeva se fosse rimasto traumatizzato dalla scossa di terremoto -nonostante non credesse fosse così infantile e spaurito da un semplice evento naturale, o meglio, artificiale- oppure se fosse ancora ricoperto di onta e imbarazzo al ricordo del bacio mancato.
In ogni caso, Dianna lo aveva notato esclusivamente concentrato sui libri o- quando erano nel laboratorio di chimica- sulle fialette, e risultava particolarmente restio persino ad alzare lo sguardo, come se gli costasse una gran fatica. Inizialmente Dianna se n'era domandata la ragione, si era persino chiesta se il silenzio poco amichevole di Kristiàn fosse stato causato da qualche suo comportamento ostile, ma aveva infine deciso saggiamente di non prestare particolare attenzione alla vicenda, certa che il tempo avrebbe rassettato ogni incomprensione.
Inoltre -cosa che non avrebbe mai creduto di pensare- era piuttosto grata a Tritone: il suo intervento l'aveva sottratta a un bacio che non avrebbe voluto imprimere sulle proprie labbra e ad un legame che inevitabilmente si sarebbe venuto ad instaurare in seguito a quel contatto che racchiudeva il primo passo verso l'intimità.
Ma evitò di domandarsi cosa avesse spinto Tristan a far tremare la terra.
Perché era certa di non poter intuirlo.
Si limitò quindi ad accettare di essere oramai sotto l'influenza vulnerabile di quel dio.
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Jana sembrò friggere sulla sedia, impaziente, nervosa, infastidita: le sue mani s'allungavano perentoriamente ad abbassare la gonna di rigore sulle gambe, seppur prestando attenzione a non graffiare o incidere le calze con le sue lunghe unghie smaltate in toni nettamente rock. Il suo sguardo vagava curiosamente ad analizzare i circoli di studio mattutini che si formavano attorno a qualche banco nell'aula scalcinata, poi esso si spostò bruscamente sulle sue dita, che iniziarono a piegare i margini delle pagine del libro di chimica in preda ad un inconscio attacco isterico.
Dianna la guardò silenziosamente, tuttavia con un occhio interrogativo urlante.
Jana parlò, bofonchiando e contorcendosi sulla sedia, come se stesse nascondendo qualcosa. "Sono preoccupata per l'esperimento di chimica... Insomma, non ricordo il procedimento che abbiamo utilizzato, quindi ho affibbiato ad Elena il compito di esporlo a questo branco..." guardò poi alcuni studenti per trovare ispirazione, "di lucertole dell'Alaska -anche se dubito fortemente della presenza di lucertole in uno stato freddo come l'Alaska- nonostante sappia delle sue difficoltà ad interagire con i professori e con il pubblico." Poi sospirò, pausando. "Mi sento un tiranno maligno. Tarquinio il Superbo. Caronte. Cerbero. No, Pisistrato."
"Possiamo tralasciare ogni argomento che riguarda il mondo greco-romano?"
"Perché?"
Dianna scrollò le spalle ed iniziò a disegnare linee sconnesse sul foglio, impugnando la penna con poca grazia e invece energico vigore, tantoché fu costretta a farla cadere sul banco quando avvertì il sangue fluire algido nelle sue dita.
Jana tornò ad attaccare e spintonò Dianna con un gomito, ammiccando con il capo all'altro capo dell'aula. "Guarda Byron. È serio stamane. D'altronde, si può pretendere altrimenti? Si può pretendere di sorridere quando si ha la consapevolezza di non essere amati da nessuno, neppure da chi ti ha dato la vita?"
Dianna la guardò perplessa. "Ma tu lo ami."
Jana soffocò una risata sconsolata e rassegnata. "L'amore va mostrato. L'amore non nutre, non guarisce, se non viene manifestato. L'amore è come un bambino: finché non parla, finché non dà libero sfogo alla sua voce, non potrà mai comunicare. Così è l'amore: se non viene palesato, non riuscirà mai a risanare un cuore. E io ancora non riesco a mostrare amore. Preferisco tenerlo dentro."
Ogni riflessione e analisi che Dianna avrebbe voluto esprimere a riguardo fu interrotta da Mr. Warren, che entrò in aula particolarmente burbero, reggendo sotto braccio la sua valigetta scotennata, per poi sfilare gli occhiali da vista accavallati sull'abbottonatura della camicia e lanciarli sulla cattedra, balbettando un augurio di buona giornata intriso piuttosto di una mascherata maledizione.
Uno studente si alzò freddamente dalla sedia e sbatté un paio di volte le palpebre, prima di dire: "Professore, io e... io e Richard non abbiamo potuto svolgere l'esperimento di chimica perché... perché ho dovuto raccogliermi in preghiera."
Alcuni studenti armonizzarono l'aula con sciocche risate, mentre Mr. Warren alzò un sopracciglio. "Si spieghi meglio."
"Ho saputo che mia sorella ha avuto un incidente stradale la scorsa notte."
Come aspirato dal magnetismo di una calamita, lo sguardo di Dianna si spostò su Elena, seduta in disparte in un banco sconquassato. La vide raccogliere la testa tra le mani e annuire coscienziosa. Poi intercettò lo sguardo di Dianna, lo ricambiò per un istante e lo chinò nuovamente.
Dianna deglutì.
Mentre si sedeva, Mr. Warren segnò qualcosa sul suo taccuino personale e lasciò vaporizzare nel nulla le parole che avrebbe voluto proferire, prima di dire, alzando lo sguardo seccato: "Qualcun altro si serve di una valida giustificazione per non aver concluso il compito assegnato?"
La sirena ravvisò una mano alzarsi in un angolo dell'aula, e quando si voltò vide solamente lo sguardo beffardo di Tristan -accasciato con rilassamento e disinvoltura contro lo schienale della sedia- accompagnato da un sorriso sardonico inchiodato alle labbra di sangue. "Io."
Mr. Warren, ora più disturbato che mai, si alzò nuovamente dalla sedia e girò pensieroso attorno alla cattedra, le braccia incrociate al petto e un dito tamburellante riflessivamente sul mento. "Mi esponga le sue ragioni, signor Waves."
"In realtà non c'è una ragione ben precisa." Tristan tornò a sedersi compostamente sulla sedia, incrociando le mani sul banco, risoluto. "Perché di tempo ne ho avuto davvero tanto."
Mr. Warren assottigliò lo sguardo, ricercando il messaggio celato in quelle parole.
"Credo semplicemente sia un compito alquanto inutile che non mostra la reale bellezza della scienza del Settecento," pronunciò velocemente Tristan, le parole piccanti arse di sfida che lasciarono schiudere le labbra dei presenti in una smorfia di sconcerto e di trepidante attesa. "Lavoisier è stato un grande uomo, certo, ha indubbiamente rivoluzionato la chimica, ma gli scienziati minori hanno fatto molto di più, mi creda. Sono stati anche loro a capire dalla semplice osservazione dei fenomeni quotidiani che c'era qualcosa in più del semplice caso. Sono stati loro a dedurre che il mondo è mosso da leggi ben precise, quelle della fisica." I suoi occhi si strinsero spavaldi, le parole che fluivano con esperienza. "Ma di loro i libri di scienze non parlano mai. Nessuno ha mai voluto attribuire al popolo e alla gente comune la scoperta e lo studio di ciò che oggi ci circonda."
Dianna, intanto, spostava lo sguardo da Mr. Warren a Tristan, certa di poter leggere nel viso del primo una crescente umiliazione sfociata nel momento meno opportuno, e nell'espressione del secondo la convinzione di aver rivelato solamente un frammento della sua -altrimenti molto più vasta- conoscenza.
Ma Mr. Warren si rivelò essere un uomo conscio e abile nello sfruttare i suoi freni inibitori: infatti, si limitò a sospirare contrariato e a congiungere le mani, dicendo: "Allora suppongo che lei sarà così gentile da argomentare la sua tesi alla classe, cosicché le sue parole possano essere più chiare, perché sa..." la sua lingua tintinnò sul palato, "credo di non averne colto il senso..."
"Glielo farò cogliere ben presto, si fidi." Tristan mascherò un sorriso vittorioso, mentre il sole battente picchiava imperterrito sui suoi capelli. "Inizi aprendo le ante di quell'armadietto , all'angolo dell'aula."
"È un armadio inutilizzato da almeno otto anni."
"Lo apra, le dico."
"Non c'è assolutamente nulla al suo interno." Per un attimo, la voce di Mr. Warren sembrò voler forzatamente competere con la sicurezza in quella di Tristan.
"Scommettiamo?"
Il silenzio calò pesantemente tra gli studenti, come la notte che giunge bruscamente sul giorno senza avvalersi del tramonto.
E tutti i giovani sguardi si spostarono verso il piccolo armadio ancorato in un angolo dell'aula.
Il viso del professore si inclinò leggermente, pronto a voltarsi con titubanza o a rimanere impassibile: in un momento sembrava voler accondiscendere al desiderio di aprire l'armadio, in un altro pareva voler dedicare un istante in più all'analisi delle parole di quello strano studente. Infine vinse l'istinto, e Mr. Warren incedette con sicurezza verso l'angolo dell'aula. Si voltò un momento verso Tristan, gli occhi piccoli che spararono silenziose sentenze, prima di aprire l'armadio e di richiamare in ritirata le sue precedenti ed errate convinzioni: l'armadio non era vuoto. Al suo interno c'era invece una grande ampolla, un'asta di vetro e un marchingegno dotato di una manovella.
Alcuni studenti si accasciarono sui banchi, tremanti per le risa e soddisfatti di notare, per la prima volta nella loro vita di collegiali, Mr. Warren calpestato in dignità da colui che credevano essere uno studente pari a loro. Altri, invece, si limitarono a spostare diffidenti gli occhi verso Tristan, certi che nelle sue parole ci fosse qualcosa di irrazionale legato ad una probabile stregoneria. Un'altra abbondante categoria, invece, idolatrò Tristan con occhiate energicamente consenzienti, impregnate di stima e rispetto.
Dianna, invece, tacque, sia con gli occhi che con le labbra. Non alzò voce in capitolo, forse per la mancanza di parole e forse per il bruciore improvviso che le rasentò le guance e che le impedì ogni forma di contatto con il mondo esterno.
Capì di essere stata soggiogata dalle parole suadenti, esperte e terribilmente colte di quel dio.
Mr. Warren addentò l'interno della sua guancia e richiamo Tritone con un impercettibile e contrariato cenno del capo. "Prego. Le cedo il palcoscenico." Poi, posizionò ampolla, asta e marchingegno sulla cattedra.
Tristan si alzò dalla sedia, posò le mani sul bavero della camicia, lo strigliò per un istante per ridonargli una forma ordinata e s'avvicino alla cattedra.
A Dianna parve essere più alto.
E quella sua altezza non era altro che indice di imperiosità.
Era sicuro, maestoso.
Quando si posizionò alle spalle dell'ampolla, Tristan arrotolò le maniche della camicia sul gomito, scoprendo braccia energumene e vene gonfie di sangue maschile. Prima di parlare, osservò il pubblico dinanzi ai suoi occhi e, quando lo notò sottomesso e ben attento, iniziò il suo sermone con tali parole: "Il Settecento... il secolo dell'Illuminismo, della ragione, delle scoperte, che è difficile definire in poche parole. Però si possono citare le parole del filosofo tedesco Emmanuel Kant, che disse, come un motto: abbi il coraggio di servirti della tua intelligenza."
Alcune sopracciglia s'aggrottarono perplesse.
Tristan continuò: "E questo riassume lo scopo dell'illuminismo: vivere usufruendo del pensiero, della ragione, della luce in senso figurativo, la luce che rischiara il pensiero dell'uomo." Poi si sporse verso la cattedra e vi si posò con un braccio, mentre l'altra mano prese a gesticolare davanti al viso. Gli occhi si socchiusero, imprigionando in sé la professionalità di quelle parole. "Perché il Settecento pose al centro l'uomo. Non la fede, non i riti, non gli animali, le città, le industrie, no!" gemette tra i denti. "Ma l'uomo. Tutto questo coincideva con lo sviluppo della chimica, della fisica e della scienza." Ora posò anche l'altro braccio sulla cattedra, incrociò i piedi, si sporse maggiormente, e arroventò gli sguardi degli studenti con il proprio. "Giovanni Polemi, che impartì in Italia lezioni di fisica -all'epoca chiamata filosofia sperimentale- si dedicò all'osservazione della quotidianità, perché -come accade oggi- all'epoca tutti, ogni giorno, avevano sotto gli occhi un piccolo fenomeno elettrostatico, come il righello," indicò uno studente solitario in un banco in fondo all'aula che rigirava tra le mani un righello dagli angoli spezzati, "che attrae a volte la carta. Nel Settecento tutto questo era ben noto, ma si iniziò a scoprire che si poteva trasmettere questo fenomeno agli oggetti." Poi rimase per un attimo in silenzio, addentò il proprio labbro inferiore e accennò ad un sorriso, gli occhi ghiaccio che lampeggiarono con fierezza. "E ora vi mostrerò come."
Dianna lo guardò: qualora le avessero domandato se, in vita sua, aveva mai visto qualcuno di più risoluto, avrebbe risposto di no.
Perché, infatti, vide in Tristan il paradigma della sicurezza, della decisione, della fierezza, dell'alta convinzione di rappresentare un archetipo perfetto -cosa che solo uno sciocco avrebbe negato- e, soprattutto, della cultura.
Per la prima volta, notò in Tritone una sfumatura diversa, una caratteristica nettamente differente dalla stoltezza, dalla crudeltà, dalla malignità e dalla perversione -peculiarità che, tuttavia, non credeva egli avesse abbandonato: notò infatti la cultura, la sete di conoscenza.
Notò un maestro.
Nei suoi apparenti diciott'anni, Tristan rivelava però la saggezza data solo dall'esperienza.
Dianna li vedeva, vedeva gli sguardi stralunati e sconvolti degli studenti, vedeva le loro espressioni attonite, vedeva la loro attenzione risucchiata dalle parole di Tristan -quasi fossero magneti-, li vedeva indubbiamente pendere da quelle labbra di mare.
E tentò in ogni modo di non unirsi alla massa.
Tristan afferrò l'asta di vetro e la strofinò contro il tessuto della propria camicia.
Nel farlo, alzò un lembo dell'indumento, rivelando il paradisiaco intreccio dei muscoli bronzei scolpiti sull'addome.
Poi parlò: "Sto strofinando quest'asta contro un lembo della mia camicia per caricarla positivamente, e ora l'avvicinerò all'ampolla in ottone. Vedete queste foglie d'oro al suo interno? Ecco, ora noterete qualcosa di molto strano, ma al quale la scienza del Settecento ha saputo dare una risposta." Dopodiché, quando avvicinò l'asta all'ampolla, le due foglie d'oro s'allontanarono tra loro.
Alcuni sguardi si sbarrarono, compreso quello di Mr. Warren, che rimescolava il suo risentimento in silenzio in un angolo dell'aula.
"Perché queste due foglie si sono allontanate? vi chiederete," spiegò Tristan. "Le cariche positive vanno all'interno di quest'ampolla e alimentano positivamente le due foglie, e noi sappiamo che cariche dello stesso segno tendono ad allontanarsi. Nel Settecento si capì che non solo c'era questo fenomeno di comunicazione tra gli oggetti che ci circondano quotidianamente, ma c'era anche il principio di attrazione e repulsione. E questo ha dato il via a tutta una serie di esperimenti."
Dianna si ritrovò a deglutire: aveva improvvisamente caldo.
"Davvero interessante..." Il commento -forse ironico o forse serio- di Mr. Warren capitombolò nel silenzio sbalordito.
"Sì, lo so." Tristan gli rivolse un sorriso acerbo che mise a tacere altre sue probabili osservazioni. Dopodiché, continuò nella sua spiegazione, spostandosi di un passo verso sinistra. "Per quanto riguarda questo marchingegno -composto da un involucro di vetro al cui interno c'è un disco di carica positiva e piccole sfere di legno- si assiste ad un fenomeno di elettricità statica. Badate," avvertì poi. Posò la mano sulla manovella dell'apparecchiatura e la girò: le sfere in legno iniziarono a rimbalzare convulsamente contro il disco, saltando con agitazione, come spinte da un'improvvisa pazzia. "Girando la manovella dell'apparecchiatura, come vedete, si genera dell'elettricità statica che viene trasmessa alle sfere di legno che sono neutre dal punto di vista elettrico, ma, come noi sappiamo, all'interno di un campo elettrico si comportano curiosamente: cominciano a saltare quando si gira la manovella e vengono attratte verso l'alto da quel disco che è positivo, ma loro hanno una carica contraria, dunque vengono respinte." E congiunse le mani, fregandole tra loro con appagamento, chinando lo sguardo ad analizzare i visi bollenti e curiosi degli studenti dinanzi a sé, alcuni dei quali inclinavano il capo e osservavano l'ampolla, come se stessero cercando di ricostruire mentalmente la scena vista poco prima, forse per mancanza di acuità.
Poi, però, il suo sguardo si posò su Dianna. Quel contatto lontano bastò però ad accendere il suo corpo, tantoché fu certa di sentire il calore di una vampa arderle i precordi.
Nessuno notò il loro tacito scambio di parole, che un osservatore acuto avrebbe potuto tradurre in una guerra fredda.
La sirena deglutì: il calore le marciva le vene.
Tritone la osservò con un sorriso sardonico, inclinando il capo e increspando le labbra.
Dianna spostò per un istante lo sguardo.
Tristan rimase a scrutarla, come se volesse estrapolare dal suo volto bianco i suoi pensieri contorti.
Ma Dianna non gli avrebbe mai detto che, in quel momento, il suo charme la stava irretendo, spingendo in trappola.
Non gli avrebbe mai detto che, per la prima volta, lo reputava maledettamente ed irrimediabilmente affascinante.
Non gli avrebbe mai detto che il suo intento era andato a buon fine: l'aveva soggiogata.
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(Pubblicità a "The Hunter" di 2Xplus3Y)
Il Tristan fisico-chimico vi piace?
Noto che ha un certo fascino.
E per quanto riguarda Elena? Sicuramente sapeva già dell'incidente in auto della sorella di quello studente.
Vi ricordo, come sempre, di passare dalla pagina Facebook dedicata alla storia: "Alexandra-writes on Wattpad" e di votare e commentare. Fatemi sapere che ne pensate.
Grazie!






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