Capitolo 30

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La mensa del Massbury Insitute era silenziosa come di consueto. Non una sola parola si alzava dalla sala, come se una folata di vento gelido avesse sigillato ed ibernato le bocche degli studenti. Essi, infatti, si limitavano ad attendere con rigore e disciplina il loro pasto, gli sguardi stralunati e le membra molli, forse per la presenza inquietante di Mandy sulla soglia o forse per il torpore malinconico di gennaio.
Dianna, Jana, Elena, Byron e Kristiàn avevano da poco occupato le postazioni di un piccolo tavolo circolare, lanciando ai piedi di questo le borse scolastiche e lasciandosi andare a sospiri spossati.
Non trascorse neppure una manciata di minuti perché Tristan si affacciasse alla mensa e camminasse nella loro direzione, la giacca di rigore stretta in una mano e lo sguardo totalmente indifferente davanti alla riprensione di Mandy in sottofondo.
Jana si contorse sulla sedia. "Complimenti, Tristone, per la tua precedente dimostrazione di elettricità qualcosa in aula."
"Elettricità statica," la corresse il gemello.
Jana lo ignorò. "Sono certa che se Mandy vi avesse assistito ti avrebbe garantito il biglietto d'uscita da questo tugurio."
Tristan non rispose.
Byron, intanto, al fianco di Jana, chinò lo sguardo -sconsolato oramai da giorni-, disegnando immaginarie forme sulla tovaglia sporca e incrostata di chiazze di salse, e ben presto Jana intercettò il suo sguardo e captò la sua rinnovata tristezza. Allarmata, dunque, si sporse verso di lui per chiedergli cos'avesse, con un tono che sarebbe apparso insistente, se Dianna non avesse saputo che, a spingerla, era un sentimento di puro amore.
Intanto Kristiàn, seduto dinanzi a Dianna, alzò lo sguardo su Tristan: "Ti rinnovo anche io i miei complimenti. Dianna non è tipa da apprezzare le passioni altrui, ma sono certo che è rimasta strabiliata dalla tua presentazione, prima."
Cercando inizialmente di comprendere da dove potesse derivare quell'astio nella voce, Dianna sollevò lo sguardo su Kristiàn, confusa e perplessa, ma non impiegò molto tempo per dedurre che, spesso, il risentimento occupa il cuore degli uomini per un lungo lasso di tempo.
Dunque sospirò.
"Ne sono lieto." La voce di Tristan apparve ferma, mentre scostava la sedia accanto a Dianna per sedervisi.
La sirena seguì i suoi movimenti e lo notò gonfiare il petto, mantenere uno sguardo serio e composto, posare i gomiti sul tavolo e intrecciare le mani dinanzi al volto, una riflessione silenziosa che sciava nei suoi occhi.
Quella vicinanza sembrò farla intirizzire e, per mantenere le distanze, Dianna si arrovesciò contro lo schienale della sedia, continuando tuttavia a sostenere uno sguardo indagatore verso Tritone.
Pensò anche che il loro rapporto era cambiato: non era più aspro come nei primi momenti, non si basava più sulla vendetta e sulla crudeltà, non si fondava più sulla violenza. Non seppe definirlo, ma nutrì la certezza che il tutto fosse progredito, sviluppandosi e raggiungendo equilibri più sani.
Ma non riuscì a comprendere quale base avesse il legame che, ora, li univa.
Non era odio. Non era risentimento.
Era qualcos'altro.
Attesa, forse?
Ma di cosa?
Nel frattempo Ashley, più bionda che mai, entrò in mensa con sei vassoi, trattenuti con un'abilità indicibile tra le mani e, raggiungendo il loro tavolo -dopo aver sguazzato tra greggi di studenti che si apprestavano a lasciar la sala, non più decisi a soddisfare la loro fame- posò i vassoi rispettivamente sotto gli occhi di Kristiàn, Elena, Jana, Dianna e Byron, per poi ricevere una negazione quando fece per posare l'ultimo sotto lo sguardo di Tristan.
"Non ho fame."
La figlia del preside serrò le labbra e annuì silenziosamente, rassegnata, guardandosi successivamente intorno alla ricerca di qualche studente privato del pasto al quale potesse lasciare il vassoio che le era rimasto in mano. Dopodiché, quando tornò a rivolgere lo sguardo sul tavolo circondato dai sei commensali, intravide Byron e la sua espressione angosciata. Si sporse leggermente. "Non hai fame? Va tutto bene? Posso... fare qualcosa per te?"
Prima che Byron potesse rispondere o alzare lo sguardo, Jana si intromise, precedendolo: "Sì, carissima, va tutto bene, e se proprio sei in vena di essere d'aiuto... potresti andare via." Un sorriso crudele le errò sulle labbra truccate.
Ashley sembrò indecisa, sul punto di aprire il becco e di controbattere, ma si ritrovò poi ad imboccare la strada del silenzio, ritirandosi.
Elena appuntò qualcosa sul suo taccuino e Tristan soffocò una risata, dicendo: "La gelosia acceca più del sole al tramonto, lo sai, Jana?"
Quest'ultima gli rivolse un'occhiata assassina, pregandolo tacitamente di rimanere in silenzio, desiderosa di non essere spogliata e messa in luce nei suoi difetti.
Elena, invece, posò la forchetta sul piatto, si tamponò le labbra e alzò timidamente lo sguardo. Poi prese il respiro e disse: "La g-gelosia non è un bel... sentimen-to."
Annuendo e increspando le labbra -mostrando una debole considerazione e una fiacca concordanza a quelle parole- Tristan rispose dicendo: "Hai ragione. Ma senza gelosia non c'è amore."
Jana mugolò, portò una mano al viso per nascondere il rossore, probabilmente tentando di placare un istinto furibondo.
"Ma... " Elena bisbigliò, la voce che raggiunse debolmente le orecchie, "l'amore è fatto... di... fiducia..."
"Un'eccessiva quantità di fiducia crea un muro tra le persone -o amanti che siano. Ognuno è certo della genuinità delle azioni altrui, non le controlla, e finisce ben presto per esserne deluso. Troppa fiducia allontana. L'amore è fatto anche di accertamenti."
Elena aggrottò la fronte. "Questa è... possessività."
"L'amore lega due identità distinte e ne crea una. Se nessuno svolge la sua parte di possedente, il legame si scioglie," spiegò Tristan, sotto lo sguardo di Dianna che spostava convulsamente l'attenzione da lui ad Elena, da Elena a lui.
"La gelosia lo...gora."
"Ma unisce."
"No, d-divide."
Tristan portò per un istante le dita sulle tempie, le massaggiò un poco, e poi disse, impaziente: "La gelosia divide solamente se uno dei due amanti non ha la consapevolezza di essere visto come qualcosa di talmente speciale da essere custodito segretamente. La gelosia è un difetto che nasce solamente da un affetto profondo, e se non si riconosce e accetta questo, non c'è amore."
"Ma... la gelosia distrugge le... le persone."
"È vero. Ma nasce in seguito alla consapevolezza che, nel mondo -e oltre-, nessuno è fedele. Tutti tradiscono. E spesso per conquistare un affetto lo devi cercare e tenerlo legato a te. Altrimenti tutto sfugge e si dissolve."
Elena scosse il capo. "Un vero... un vero amore non si cerca... non si p-pretende con la forza. Arriva e... e basta."
"Come sogni, Elena!"
La ragazza chinò il capo per un secondo e, come in concomitanza, l'intera mensa diminuì il cicaleccio che da poco si era venuto a creare. Si fece coraggio e disse: "Sarò anche una sognatrice, ma ora -e... ricorda le mie parole." Si sporse verso il tavolo. "Ti dico che... che ci sarà un momento in cui tu -proprio t-tu- capirai che hai avuto davanti a te l'amore della tua v-vita e in cui dedurrai che... che tutti i tuoi tenta-tivi di rafforzare questo con forza e gelosia sono stati vani, perché... quell'amore era tacitamente ricambiato e sboc-cerà grazie alle... ai piccoli gesti." Dopodiché sospiro, conscia oramai di aver irretito lo sguardo di Tritone. "Perché l'amore si fonda su altro... Tristan. Sei troppo duro con te... con te stesso. E con gli altri."
Tritone rimase in silenzio, lo sguardo che delineava e smascherava la minaccia e la proclamazione di qualcosa che sarebbe inevitabilmente accaduto.
Per la prima volta, sembrò non sapere cosa rispondere.
Dianna lo osservò e lo notò chinare il capo.
"Suppongo tu sia una persona gelosa." Kristiàn interferì, guardandolo.
"Risposta esatta."
"Ad alcune ragazze piacciono i ragazzi gelosi. Ne rimangono estremamente colpite, vero?" Guardò poi Dianna, che rispose al suo sguardo con un'espressione carica di domande. Ma lui continuò ad attaccare: "Perché esiste una vasta categoria di ragazze che preferisce privarsi dei diritti e sottomettersi alla presunzione maschile. E ne conosco un esempio..."
Dianna ignorò le sue parole. Non poteva ribattere ad un giovane le cui parole erano dettate da sentimenti accartocciati, da ferite ancora non emarginate. Infatti, la sirena vedeva con tristezza una profonda delusione nei suoi occhi, ed era certa essa derivasse dall'episodio avvenuto in biblioteca.
Tuttavia, non aveva alcuna intenzione di essere per lui fonte di consolazione perché, anche se non vi fosse stato l'intervento diretto e alquanto brusco di Tristan, quel bacio, per lei, non avrebbe avuto apprezzamento.
Quindi si unì al silenzio improvvisamente calato attorno al tavolo e rivolse lo sguardo sul proprio vassoio. Afferrò la forchetta e trapanò un pezzo del solito e oramai ripugnante polpettone del menù fisso e si obbligò a ingurgitarlo, per poi sfoggiare un'espressione che sanciva tutta la stomachevolezza di quel pasto.
Silenzioso al suo fianco, Tristan si mosse solamente per afferrare il bicchiere di Dianna e per portarlo alle proprie labbra, sorseggiando un goccio d'acqua sotto l'occhio stupito della sirena. Dopodiché, si leccò velocemente le labbra per afferrare una goccia d'acqua che stava per scivolare sul suo mento, posò il bicchiere nuovamente sul tavolo e continuò a rivolgere lo sguardo altrove.
Kristiàn consumava il suo pasto con rassegnazione, esaminando talvolta l'andirivieni in mensa e rigirando tra le dita il suo bicchiere ancora vuoto; Jana lanciava occhiate apprensive e amorevoli in direzione di Byron, per accertarsi stesse mangiando e pulendo il piatto, come una madre preoccupata della crescita del figlio; Elena, invece, radiografava il polpettone, ammassando al bordo del piatto bucce scheletriche di pomodori probabilmente fuori stagione.
Dianna, d'altro canto, non si scostava molto dal comportamento altrui, dato che non tardava ad esprimere con smorfie disperate la sua fame oramai affievolita dinanzi ad un pasto ingrigito come quello. Dunque occupò il proprio tempo osservando, al suo fianco, Tristan tendere la mascella e allontanare dalla propria fronte una ciocca dorata che sciava sul suo viso, un dono fresco dei suoi capelli ricresciuti. Si chiedeva a cosa stesse pensando -se stava pensando- o cosa stesse immaginando -se stava lasciando vagare la mente in orbite astratte.
Ma poi lo vide impallidire.
Notò il suo volto prosciugare il colorito sulle guance, sino a che un bianco vacuo non si stese sugli zigomi, sulle gote e sul collo, il quale era solcato dall'impetuoso sobbalzare delle vene che si gonfiavano agitate.
Per un breve istante, Dianna pensò che il ghiaccio del suo viso potesse rivaleggiare con quello dei suoi occhi. Poi seguì lo sguardo di Tristan, influenzata dal suo turbamento: i suoi occhi erano fissi su due figure in lontananza, sulla soglia della mensa.
Erano due giovani, questo Dianna lo dedusse bene, ma non riuscì a considerarne il volto, il colore dello sguardo, i lineamenti del viso.
Sapeva solo, con assoluta certezza, che stavano guardando Tritone.
E lei.
Uno dei due ragazzi incrociò le braccia al petto e s'accostò con disinvoltura allo stipite della porta che si affacciava sulla sala, per poi muovere la mano a grattarsi il mento con fare risoluto; l'altro, invece, coperto dalla figura del primo, faceva capolino di tanto in tanto dalla spalla di questi per assicurare una postazione nella scena anche per sé.
Dianna tornò a guardare Tristan: lo vide deglutire, respirare affannosamente, ricercare qualcosa da stringere tra le dita che d'un tratto parevano non trovar pace. Dopodiché lo notò accasciarsi contro la sedia, poi tornare a busto eretto, e poi accasciarsi di nuovo, agitato, titubante, irrefrenabile.
Per un momento considerò l'ipotesi di posare una mano sul suo braccio per placare il suo animo, ma fu fermata dalla convinzione che l'evidente ira disegnata sul volto di quel dio non poteva essere certamente momentanea.
Tristan schiuse le labbra e ne fece uscire un respiro pesante, mentre i suoi occhi rimanevano circuiti da quelle due figure troppo distanti da loro ma al contempo troppo vicine. Poi chinò il capo, li osservò con lo sguardo più ostile e nemico avesse mai esibito, posò le mani sul tavolo e vi fece leva, alzandosi e rovesciando per poco la sedia sul pavimento.
Indisposta a restar nella sua indifferenza, Dianna fece per prendergli il braccio, ma la sua mira errò e gli afferrò la mano: era bollente. Lo guardò, gli occhi di una giovane disperata che cercava spiegazioni, perché sapeva -oh, come lo sapeva!- che ogni avversità che riguardava Tritone, ora, riguardava anche lei.
"Che sta succedendo? Dove stai andando?" sussurrò lei tra i denti, dopo essersi assicurata che nessuno stesse badando alla loro silenziosa conversazione. La sua voce, tuttavia, tradiva una preoccupazione intensa, che Tristan recepì -forse saggiamente- come un dolce interesse nei suoi confronti.
Lui ricambiò la stretta della sua mano, si sporse verso di lei, sino a che i loro visi non furono vicini, ad un soffio dallo sfiorarsi. La osservò, e i suoi occhi espressero mille parole. Poi disse: "Rimani qui. Non allontanarti per nessuna ragione al mondo."
E poi sparì, diretto verso le due figure.
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Chi sono quelle due figure? Cosa stanno tramando? E quale rapporto le lega a Tristan? Si verrà a scoprire tutto nel prossimo capitolo. Le sorprese stanno arrivando!
Fatemi sapere che ne pensate. E, secondo voi, chi sono le due figure?
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