Capitolo 9

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Nel buio imminente del tramonto, Tristan fissava il vuoto, mentre un'indomita tempesta scuoteva le viscere del cielo.
La sua sagoma allungata su una poltrona scardinata in un angolo della camera era imponente. Pareva un dio inchiodato al suo nobile trono che vagava con lo sguardo a scegliere la prossima vittima da immolare dinanzi al proprio altare.
I suoi occhi erano una galera.
Da quelle inferriate non si poteva fuggire.
Allungava di tanto in tanto una mano verso il bicchiere di ambrosia posato sulla scrivania, per poi portarlo alle labbra e sorseggiare il liquido con foga rabbiosa. Ne ingollò l'ultimo sorso ed espirò appagato: era così piacevole avvertire quel bruciore piccante e pungolante che scivolava a raschiare le pareti della sua gola!
Ombre scure si protendevano truculente a coprire il suo volto, il suo petto, il dorato dei suoi capelli e i contorni disegnati della sua mascella, lasciando solo ai suoi occhi oceano l'onore di spiccare come sfere di fuoco.
Ringhiò sommessamente.
La sua guancia lampeggiava ancora di un porpora superbo, bruciava, pulsava, doleva.
Quella dannata sirena!
Insolente creatura!
Quale sacrilegio colpire il figlio di un dio, un sovrano!
Tristan sbatté con furia il bicchiere sopra la scrivania e lasciò scivolare le mani verso gli appoggi della poltrona, ghermendoli tra le dita e stringendoli con forza. Alcune schegge di legno piovettero sul pavimento, ma il suo sguardo era fermo: una tempesta più vorticosa di quella che stava imperversando vi tuonava dentro.
Si era aspettato di trovare dinanzi a lui un'indifesa e spaurita sirenetta che si sarebbe profusa in un inchino quando egli avrebbe rivelato il proprio nome. Ma no. Quella maledetta sirena dal volto di gemma aveva sfilato gli artigli. Nessuno mai aveva osato infangare il nome del figlio di Poseidone. E nessuno, oltretutto, aveva mai alzato un dito contro di lui. Lei lo aveva fatto. E la guancia arrossata e bollente del giovane era il marchio dell'oltraggio. Ora, Tritone, avrebbe avuto la sua vendetta, più sanguinosa della guerra di Troia e più persistente della tempesta. Tristan sorrise al pensiero.
Riusciva a immaginare quella fanciulla contorcersi, divincolarsi dalla stretta della disperazione e urlare al cielo lontano un aiuto che non sarebbe mai arrivato.
Già la immaginava piangere, stesa a terra, ricoperta di fanghiglia e alghe, mentre implorava il buon nome di Tritone per il perdono. Già l'immaginava con un cipiglio compunto, serio, addolorato. Già l'immaginava con il corpo sinuoso di sirena avvolto dal velo gelido della paura, e il cuore schiacciato dalla morsa del terrore. Ma, soprattutto, la immaginava tra le sue braccia, sottomessa a lui, con le gambe nude e bianche agganciate alla sua vita, mentre lui avrebbe fatto di lei la sua proprietà. Questo riusciva ad immaginarlo bene. Riusciva a delineare minuziosamente la scena nel suo immaginario perverso: l'avrebbe afferrata, ghermita con le sue braccia di uomo, rapita. Poi l'avrebbe spogliata dei suoi indumenti con la forza, mentre lei gridava al vuoto. A quel punto, avrebbe messo a tacere le sue urla stringendo le labbra sulle sue, soffocandole il respiro, assaporando quell'essenza di mare e mordendo con bramosia la bocca gonfia e rossa dei suoi baci. L'avrebbe fatta stendere sul letto di fuoco e fatta sua, mentre lei avrebbe inarcato la schiena e spinto il petto delizioso contro il suo. Ella avrebbe ansimato senza forze, stramazzato sotto la sua stretta energumena, fino a spingersi alla rassegnazione. A quel punto, avrebbe reclinato il capo all'indietro, affondando la massa focosa di capelli sul cuscino e avrebbe chiuso gli occhi, comprendendo di essere oramai una delle infinite sottoposte e schiave di Tritone. Lui avrebbe respirato il dolce profumo della ragazza, quel dannato sentore di cristallo che si levava in spire dalla sua pelle lattea.
Ecco, la sua vendetta aveva due facce della stessa medaglia.
"Amico, dove hai preso quella roba?" Byron interruppe bruscamente i suoi ragionamenti, indicando il bicchiere di ambrosia che Tristan aveva posato sulla scrivania. Tritone mosse lo sguardo caparbio e i suoi lineamenti ferini adombrati dall'occhio scuro della sera si stesero in un'espressione infastidita. "Non sono affari che ti riguardano." La voce dura.
Byron si alzò dal letto e si avvicinò curioso. "Ma -diamine!- quella sembra una bottiglia di rum ed è severamente proibito agli studenti di entrare nella cucina dell'istitu..."
"Ho detto che sono fatti che non ti riguardano!" Tristan urlò e strinse le mani attorno agli appoggi sdruciti della poltrona. Un felino pronto a scattare in una corsa selvaggia. Gli occhi lampeggianti d'ira.
Byron si acquattò in un angolo con un balzo. Il suo volto divenne smunto. "Va bene... scusami... io... " balbettò. "Insomma... siamo compagni di stanza e la condivisione dei beni comuni dovrebbe essere... una regola da seguire come pane quotidiano... quindi..." La sua voce sibilò sotto lo sguardo duro di Tristan. "Potrei assaggiarne un sorso... insomma, un po'... non... molto, ecco. Un po'." Byron alzò una mano tremante e avvicinò l'indice al pollice per indicare una piccola quantità.
Tristan sogghignò nel constatare come la sua presenza risvegliasse una paura recondita anche negli animi di promessi gagliardi. "Non puoi. Non è per te. Moriresti."
Byron rise nervosamente e allungò una mano verso la nuca, soppesando le sue parole. "Su, amico, non essere avido, versamene un po'." Avvicinandosi alla scrivania, afferrò il bicchiere vuoto e lo allungò verso Tristan, ammiccando con un cenno del capo alla bottiglia.
Tritone alzò lo sguardo e sospirò. Inarcò un sopracciglio e il suo sorriso si fece beffardo, sadico. "Hai avuto le avvertenze necessarie, ma... se proprio desideri sfidare il destino, ecco." Afferrò la bottiglia di ambrosia e ne verso un'ingente quantità dentro il bicchiere di Byron. Quest'ultimo fece per portarlo alle labbra. "Ottimo, Waves. Un sorso di rum è un buon modo per saldare un'amicizia..."
"Fermo, stupido!" Kristiàn, prima impegnato a lasciar scorrere lo sguardo dietro un libro di astronomia, scivolò giù dal letto e agganciò la presa attorno ai capelli di Byron. Poi allontanò il bicchiere dalle labbra del suo amico. Guardò Tristan. "Tu sei forte, davvero. Un attimo sei taciturno, l'attimo dopo hai lo sguardo di chi pianifica omicidi. La seducente vulnerabilità che ogni ragazzo desidererebbe avere, lo riconosco. Sembri saltato fuori da un romanzo di Kathleen Woodiwiss. E le ragazze impazziscono per quei libri." Avanzò di un passo e, posando una mano sulla spalla di Byron, lo fece scivolare dietro di sé. "Ma se c'è un pensiero di cui sono sicuro, è che non possiamo fidarci di te."
Tristan si alzò e i pantaloni dell'uniforme scivolarono titubanti sul bacino stretto di uomo. Prese a girare meditabondo attorno alle due figure. "Astuto, Vaclàv. Molto astuto. Sai leggere tra le righe. Sei un buon osservatore. Forse esaminare le stelle ti ha aiutato ad esaminare anche l'uomo. E hai ragione," tuonò, sporgendosi verso la figura di Kristiàn, "nessuno dovrebbe fidarsi di me."
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Nessuno dovrebbe fidarsi di me...
Dianna in prima persona!
Che ne pensate di questo capitolo focalizzato su Tritone? Volevo concentrare un po' di attenzione sulla sua indole e i suoi pensieri, cosicché sia tutto più chiaro quando, nel prossimo capitolo, ne avverranno delle belle!
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