Non mi è stato semplicissimo dormire stanotte, troppi pensieri mi tormentavano. Quando pensavo di essere riuscita ad appisolarmi, ecco che suona la sveglia. Sono le sette del mattino e fra un'ora devo essere in officina, sperando che lavorare possa accantonare per un momento tutto il caos che sta distruggendo la mia sanità mentale. Mi giro sul fianco e vedo Dom dormire girato dalla mia parte. Un velo di malinconia s'impossessa del mio corpo e, con la voglia di correre il più lontano possibile da qui, mi alzo e, dopo essermi vestita, senza nemmeno fare colazione, lascio quella casa che adesso mi sembra tanto una prigione. Raggiungo l'officina in tempo record e prima di tutti, anche dei meccanici. Mi rinchiudo nel mio ufficio per un tempo incalcolabile fino a quando non vedo spuntare dalla porta semi aperta, la testa di mio cugino Ryan. Mi guarda come se già sapesse che cosa sia successo, ma mi conosce abbastanza bene per capire, anche senza che gli dica niente, che c'è davvero qualcosa che non va. Allunga una mano che contiene una tazza di caffè fumante e mi fa cenno di raggiungerlo nella sala dove ci riuniamo per il break. Svogliatamente, sapendo già che sarò costretta a raccontargli qualcosa, mi alzo dal divano ed entro nella piccola stanza dove trovo Ryan già seduto, impaziente di farmi il suo famoso terzo grado. Alzo gli occhi al cielo e mi siedo di fronte a lui, allungando una mano nella scatola dei donuts che non mi sono mai sembrati più invitanti di oggi. Restiamo in silenzio qualche minuto, addentando e finendo la mia ciambella, fino a che Ryan si decide a parlare.
"Che succede?" portandosi entrambe le mai, chiuse in due pugni, a sorreggersi il mento. So troppo bene che non mi porterebbe a niente mentirgli, anche perché lo capirebbe all'istante. È sempre stato così con lui, riusciva ogni volta a capire se gli stavo mentendo. Succedeva rare volte e solo se riguardava qualche discussione con i miei genitori, ma nonostante questo, era sempre in grado di smascherarmi. Quindi non mi rimane che raccontargli la verità.
"Potrei essere incinta." dico come se fosse la cosa meno importante di questo mondo. Gli vedo nascere un sorriso di gioia sul volto e quando sta per alzarsi per venire ad abbracciarmi, lo blocco alzando una mano. Si risiede e i suoi occhi si chiudono in due fessure, quasi come se stesse cercando di leggere dentro la mia testa, e sono sicura che, se pure ne fosse in grado, non ci capirebbe assolutamente nulla. Abbasso la testa come se mi vergognassi di quello che gli sto per dire anche se so che non mi giudicherebbe mai anche se fossi stata io a sbagliare in qualcosa.
"Racconta, sono qui per ascoltarti. Lo sai, vero, che puoi dirmi tutto?"
"Da quando sei diventato uno psicologo?" lo prendo in giro, cercando di rendere l'aria meno pesante, almeno per me. Il suo sguardo, però, mi dice che non ha molta voglia di scherzare, quindi faccio un respiro profondo e comincio a fare chiarezza nella mia mente prima di esporre quello che in realtà non so, perché infondo non so realmente quello che è successo ieri. "Credo che Dom mia abbia tradita, ma non ne sono sicura." Per un attimo lo vedo agitarsi sulla sedia e sbarrare gli occhi per l'incredulità, ma si ricompone subito dopo.
"Cosa ti ha fatto pensare che ti abbia fatto una cosa del genere?" chiede, con tono molto più duro rispetto a qualche minuto fa. So che non è rivolto a me, ma è sempre strano saperlo arrabbiato o in qualche modo turbato. E' sempre stato l'unico, in famiglia, a mantenere la lucidità anche nei momenti più difficili, come ha fatto anche dopo la morte di mia nonna paterna, Rose, a cui eravamo molto legati. Ha sempre affrontato tutto di petto, non come me che cerco rifugio in qualcuno o qualcosa per scappare dai problemi. In quell'occasione, ricordo che avevo 12 anni e sono scappata prima del suo funerale e mi sono rinchiusa in camera sua abbracciando il suo cuscino e piangendo. È stato il nonno a trovarmi e a farmi tornare a casa dopo essersi assicurato che stessi meglio. A volte sento ancora la sua mancanza, tanto che mi metto a ripensare, seduta in spiaggia, ai pomeriggi che passavamo a parlare e a guardare il nonno che armeggiava con una vecchia auto, che dopo è diventata la mia. Le piaceva tanto guardare l'oceano.
Ryan mi riporta alla realtà, staccandomi dai ricordi, con la sua voce, che ancora una volta, mi sprona a parlare.
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Un amore a 200 all'ora.
FanfictionNon si vede spesso una ragazza andare in giro con le unghie sporche di grasso motore e chiavi inglesi nelle tasche posteriori degli shorts. Bhe, a casa mia non è una novità, anche se in famiglia, oltre a me, nessuno è interessato alle auto. E puntua...