Odio le pareti della mia camera da letto, odio la mia immagine che si riflette allo specchio dell'anta centrale del mio armadio, odio il mio letto ma, più di tutto, odio il fatto che da un mese e mezzo sono rinchiusa in casa costretta a letto per evitare che il mio bambino nasca prematuro. Una mattina, pochi giorni dopo il matrimonio di Mia e Brian, un lancinante dolore al basso ventre mi costrinse a raggiungere con urgenza il pronto soccorso e, fortuna volle che Dom, che doveva recarsi in officina prima rispetto al solito orario, non fosse ancora uscito. Troppo stress, fu il verdetto del mio ginecologo che m'impose, senza altre soluzioni, il riposo assoluto se non avessi voluto rischiare la mia vita e quella del mio bambino. Non potrò mai dimenticare lo sguardo furioso ma al contempo preoccupato di Dom, che non evitò di rimproverarmi ulteriormente, una volta ritornati a casa. Mio cugino mi riservò lo stesso trattamento quando lo avvisai dell'impossibilità di recarmi in officina, non solo quella mattina, ma per il resto della gravidanza, quasi giunta al termine. Ma ciò non mi ha impedito di continuare a lavorare, seppure da casa. Sarei sinceramente impazzita senza nulla da fare, considerando anche l'assenza delle mie due amiche. Considerando che ogni progetto deve essere approvato anche da me, Ryan mi spedisce via mail qualsiasi appunto o disegno in modo tale che anche io possa prendere parte ai lavori nonostante la mia assenza. Sono le due del pomeriggio e Dom non rientrerà prima delle sei, considerando anche l'assenza di due dei suoi uomini, anche se per le sette dovremmo essere allo studio del mio ginecologo per il controllo in vista della partenza per il Giappone, oggetto di una ulteriore discussione con mio marito. Scordati di raggiungere Tokio! fu la risposta di Dom quando cominciai a cercare i biglietti aerei. Riuscii, però, a convincerlo, non so come, a cambiare idea e oggi, il mio ginecologo, spero mi conceda il via libera per partire. Il nostro appuntamento è alle sette, quindi ho tutto il tempo per mangiare qualcosa e sistemarmi, tutto senza troppa fretta, ovviamente. Solo scendere e salire le scale mi porta via quasi mezza giornata, ci metto dieci minuti per scendere ed il doppio per risalire, ammetto di essere diventata estremamente prudente. Giunta in cucina, dopo quella che mi è sembrata un'eternità, mi preparo un panino che decido di mangiare in camera anche perché non ho con me il cellulare, lasciato di sopra. E, nemmeno a farla a posta, comincia a squillare, mentre sono ancora indaffarata nel preparare il mio pranzo. Istintivamente, alzo gli occhi al cielo, costatando quanto qualcuno ce l'abbia con me, ignorando, alla fine, l'aggeggio che, a intervalli di due secondi, riprende convulsivamente a squillare. Dopo aver preso anche dell'acqua, ritorno con tutta calma al piano superiore, dove scoprirò chi mi cerca così insistentemente. Rialzo, di nuovo, gli occhi al cielo, quando, a pochi metri dalla meta, il telefono riprende a suonare. Una volta in camera, afferro furiosamente l'oggetto pronta a scaraventarlo al muro tanto il fastidio che mi reca sentirlo suonare. Ma mi fermo quando vedo le dodici chiamate perse da parte di Dom. Sospirando, rassegnata, faccio partire la chiamata pronta a subire un terzo grado per non aver risposto prontamente alle sue.
"Dove diavolo eri finita?" sbotta, facendomi, per l'ennesima volta, alzare gli occhi.
"Ciao anche a te." sbuffo.
"Sam." Richiama la mia finta ironia, invitandomi a rispondere.
"In cucina, Dom! Tranquillo, sono a casa. Avevo fame e sono scesa a prepararmi un panino. Sei estenuante." Sedendomi sul letto. Questo suo essere iperprotettivo mi da ai nervi.
"Mi sono semplicemente preoccupato. Scusa se vado nel panico, considerando che non sono sempre con te per sapere cosa fai." Alludendo, ovviamente, alla fortuna che quel giorno lui fosse ancora in casa. Sbuffo, di nuovo, appoggiandomi alla testiera del letto aspettando di sentirlo continuare. "Rientro prima, così che non facciamo tardi per la visita, ok?"
"Va bene. A più tardi, allora." Mettendo fine alla "bella" chiacchierata con mio marito. Mangio, rimettendomi poi a visionare l'ultimo progetto inviatomi da Ryan, quando ricevo una videochiamata proprio da lui. Perché, poi, la videochiamata? Perché è peggio di Dom, deve costatare che sono realmente a letto. La mia parola non basta più.
"Sono a letto, anche oggi." Introduco.
"Vedo. Ciao cugina!" sogghignando. Gli faccio una smorfia, che provoca solo una sua risata.
"Cosa vuoi?" rispondo acidamente. Non mi piace essere tenuta sotto controllo.
"Vedere coma stavi. E dove, soprattutto."
"Immaginavo. Ora che te ne sei accertato, posso fare altro per te?" sempre con lo stesso tono acido di prima.
"Si, sapere quando partite." Accasciandosi sulla sua poltrona di pelle nera.
"Se oggi il mio medico mi da l'ok, penso domani. Perché?" chiedo.
"Mi servirebbe il progetto a cui stai lavorando. Lo hai finito?"
"Si, te lo mando via mail, non'appena la persona odiosa con cui sto parlando chiude la videochiamata." Facendogli la linguaccia. Risponde allo stesso modo, prima che il suo volto scompaia dallo schermo, facendomi istintivamente sorridere per l'ilarità del momento. Ogni tanto ritorniamo ad essere i bambini spensierati che giocavano nel cortile di nonno Marcus. Invio a mio cugino la mail con allegato il progetto finito, sperando che non abbia, come al solito, da ridire. Spengo il computer e mi concedo qualche minuto per chiudere gli occhi. Nonostante stia perennemente seduta o sdraiata, mi sento comunque abbastanza stanca. Mi rilasso così tanto che, quando riapro gli occhi, constato di aver profondamente dormito per tre ore, considerando che Dom mi sta guardando leggermente divertito.
"Dormito bene?" chiede accarezzandomi una guancia. Annuisco con un leggero movimento del capo, sorridendo a mia volta. "Se sei pronta, direi di andare, no?" chiede, prima che possa mettermi in piedi e andare a darmi una rinfrescata. Speriamo che ciò che ascolterò dal medico, non siano altre prediche.
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Si riguardi, eviti di strapazzarsi troppo. Non mangi pesce crudo. Stia lontana da fonti di stress e ritorni prima della data del parto. Sembrava di star parlando con mio padre, non con un medico. Dom, dal canto suo, se la rideva mentre il mio ginecologo continuava la lista delle cose che non avrei assolutamente potuto fare prima, durante e dopo il viaggio verso Tokyo. Almeno mi ha dato il consenso per partire. E, nonostante non sappia quanto tempo io abbia dormito, l'hostess ci avvisa che stiamo per atterrare sul suolo giapponese. Io, Dom, Roman e Tej stiamo per rivedere, finalmente, non solo Han e Gisel, ma anche Mia, Brian e il mio piccolo nipotino. Loro sono partiti direttamente dall'Italia due settimane fa, con il consenso di Dom, ovviamente. Se l'officina fosse stata carica di lavoro, Brian non ci starebbe abbracciando fuori dall'aeroporto di Tokyo. Saliamo in auto, diretti verso l'appartamento dei nostri amici da cui l'aeroporto non dista tanto. Il matrimonio si terrà fra quattro giorni e fra sei dovremmo riessere a Los Angeles. Mi correggo, non dovremmo, proprio dobbiamo. La data del parto si sta avvicinando e non so se sono più ansiosa io o il mio medico di veder nascere mio figlio. Per non parlare di Dom, poi. Giunti a destinazione, tutti ci stringiamo in un caloroso abbraccio prima di invitarci ad entrare e tartassarmi di prediche. No, anche loro no.
"Vi prego, basta. Sono stata irresponsabile, lo so. Ma adesso sto bene, altrimenti il medico non mi avrebbe lasciata partire, lo sapete." Quasi pregandoli di lasciarmi respirare. E io che credevo fossero solo Dom e Ryan ad essere estenuanti. Finalmente, cambiamo discorso, iniziando a parlare del tema della cerimonia. Il Giappone, ovvio. Tutto in stile giapponese, dal rito al ricevimento. Anche gli abiti. Non indosserò un kimono, non ci entro. La mia faccia rispecchia i miei pensieri facendo ridere tutti a pieni polmoni e permettendomi di nuovo di vivere la bellissima sensazione di spensieratezza che solo in compagnia delle persone più importanti della mia vita posso provare. La mia famiglia, la nostra.
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Un amore a 200 all'ora.
FanficNon si vede spesso una ragazza andare in giro con le unghie sporche di grasso motore e chiavi inglesi nelle tasche posteriori degli shorts. Bhe, a casa mia non è una novità, anche se in famiglia, oltre a me, nessuno è interessato alle auto. E puntua...