Capitolo 84 (✔️)

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Ora più che mai, posso affermare di odiare il mio lavoro a Los Angeles. Restare perennemente chiusa in un ufficio a progettare cose su cui non metterai mai le mani, è snervante. Quando, invece, torno a San Juan, ritorno ad essere il meccanico che sono sempre stata. Sporcarsi le mani non è mai stato così bello e, quando lo fai insieme ai tuoi migliori amici, l'euforia sale alle stelle. Stiamo lavorando ad una Mustang Shelby GT500. È un'auto bellissima ed ha fatto la storia della Ford e, solo il fatto che sia una Mustang, mi sprona a dare il meglio di me e far dare il meglio ai ragazzi. È una sorta di venerazione che ho ed è per questo che i ragazzi non discutono mai sulle scelte che faccio riguardo ad una di queste macchine. Sanno quanto le adori e che le conosco abbastanza per valorizzarle al massimo. Dopo il lavoro, quasi tutte le sere, prendiamo parte a corse in tutti i distretti di San Juan e, nonostante mi dispiaccia lasciare Amanda a casa con i bambini, sento che sono rinata. Avevo bisogno di scrollarmi di dosso gli ultimi quattro mesi passati chiusa in casa, senza poter uscire ne tanto meno guidare. L'arrivo di Ray, infine, mi ha destabilizzata ulteriormente. Inutile dire che ormai sono diventata una specie di santa, avendo rinunciato del tutto ad affiancare Dom durante le uscite con il resto del gruppo. Ed è questo uno dei motivi per il quale, Dom, mi sta lasciando divertire il più possibile in vista del nostro rientro. So benissimo quello che mi aspetta ritornata a Los Angeles e non mi attira per niente, soprattutto dopo aver riassaporato il brivido e l'adrenalina scaturite dalle corse. Ma so anche che mio figlio viene prima di tutto, anche di me e di quello che voglio. Mancano due giorni prima della fine delle nostre vacanze e la malinconia comincia a farsi sentire. Oggi, sono riuscita a ritagliarmi un po' di tempo solo per me stessa dirigendomi alla spiaggia. Siamo ormai quasi a fine settembre e, non si direbbe, ma anche a Porto Rico l'estate sta finendo. Nonostante sia distesa sulla sabbia sotto un sole abbastanza caldo per questo periodo, la quiete regna sovrana. Sono poche le persone che ancora si concedono la possibilità di rilassarsi e restare tutto il giorno ad oziare in spiaggia. Non so quanto tempo sia rimasta distesa sulla sabbia a fissare il cielo azzurro che, di tanto intanto, si lasciava attraversare da qualche nuvola bianca. Ma non ho pensato a nulla, solo a rilassarmi e spegnere il cervello considerando che il rientro mi catapulterà in quel caos che è l'officina di Ryan. Sorrido all'idea di mio cugino, solo ad occuparsi di un azienda che stiamo cercando di allargare anche oltre oceano, ma le sue aspirazioni lo porteranno ad impazzire. Decido di raggiungere il nonno e di passare un po' di tempo con lui. Prima, però, di poterlo raggiungere, il suono del mio telefono mi avvisa di una chiamata da parte di mia madre. Rispondo senza esitare e senza togliere lo sguardo dalla strada.

"Mamma?"

"Ciao tesoro. Scusa ma ho bisogno di un favore." Da quando mia madre ha bisogno del mio aiuto per fare qualcosa? Non che mi dispiaccia aiutarla, ma non si rivolge mai a nessuno per qualsiasi cosa, nemmeno a mio padre. Se è stata costretta a chiamarmi, vuol dire che non sa davvero come fare.

"Certo, dimmi." Continuando a mantenere quel cipiglio di stupore che mi si è formato sul viso.

"Ho la macchina fuori uso e devo raggiungere lo studio medico per un'ecografia. Tuo padre è a lavoro e i tuoi fratelli irreperibili. Non è che mi daresti un passaggio?" all'inizio della frase pensavo mi stesse chiedendo di aggiustarle la macchina e lo stupore si stava trasformando in incredulità. Ma la sua richiesta ha solo fatto nascere un sorriso spontaneo. Le dico che sono per strada e che a breve sarò li da lei. Immagino la sua faccia quando è stata costretta a rivolgersi a me e non posso fare altro che ridere per l'assurdità della situazione. Poco dopo aver riattaccato la chiamata, mi trovo all'interno del viale dei miei e, con un colpo di clacson, avviso mia madre del mio arrivo. Esce quasi correndo e, agitata, mi comunica che è in ritardo per la visita. Mi dice dove devo accompagnarla e, senza perdere altro tempo, ci mettiamo in marcia. Evito di premere troppo sull'acceleratore, nonostante siamo in ritardo perché so che potrebbe anche lanciarsi dalla macchina se osassi fare una cosa del genere. Parliamo un po' di tutto durante il viaggio in auto e, una volta davanti alla clinica, mi offro di accompagnarla e di aspettarla. Non sono poi così senza cuore per lasciarla a piedi. Tanto so che mi avrebbe richiamata. Entriamo raggiungendo l'accettazione, prima di avviarci verso lo studio medico. Purtroppo la sua visita è stata fatta slittare considerando il ritardo ma dovrebbe essere la prossima a raggiungere il medico. Ricordo di non averle chiesto a che tipo di ecografia si sottoporrà oggi, ne il motivo.

"Perché fai un'ecografia?" chiedo, rompendo il silenzio.

"Quindi, un po' t'importa." Sogghigna. Alzo gli occhi al cielo, riportando poi lo sguardo su di lei, aspettando una sua risposta. "Visita semestrale. Mi sottopongo ogni sei mesi ad una mammografia." Spiega.

"E il motivo?" ancora confusa. Da quando mia madre è diventata così attenta alla sua salute? Ammetto di non conoscere abbastanza la donna che mi ha messa al mondo.

"Non so se ricordi che mia madre, tua nonna Maria, ha scoperto di avere il cancro quasi allo stadio finale della malattia e, considerando che potrebbe essere una cosa genetica, preferisco avere la situazione sotto controllo ed evitare spiacevoli inconvenienti." Punzecchiandomi. Io e la nonna materna non abbiamo mai avuto un gran bel tipo di rapporto e ricordo di non averci più parlato quando andai via di casa. Mi venne riferito, anni dopo, che era morta e ne rimasi un po' incredula visto che non fui invitata ai funerali. "Dovresti farne una anche tu." Tirandomi via dai miei pensieri.

"Non ce n'è bisogno, sul serio." Cominciando ad odiarmi per essere rimasta in questo posto.

"Aspettami qui, torno subito." Alzandosi e camminando verso l'uscita.

"Mamma, dove vai? Fra poco tocca a te. Mamma!" Perché? Perché capitano tutte a me? Dovevo raggiungere il nonno, non scortare questa donna isterica, che sta facendo diventare isterica anche me. Spero solo che torni prima che arrivi il suo turno, non resterò ancora per molto qui dentro. Agitata, comincio ad picchiettare il piede atterra e minuti dopo, vedo ritornare mia madre con qualcosa tra le mani. Si risiede accanto a me a mi porge un foglio di carta dove il mio nome, affiancato a mammografia, mi fa perdere la testa. "Ma che diavolo hai fatto? Dio, sei sempre la solita. Sono abbastanza grande da poter scegliere se farmi visitare o meno, non credi?"

"Non vedo quale sia il problema! Mi sto solo preoccupando per mia figlia. Posso essere sicura che nemmeno tu abbia il gene di tua nonna o non mi è permesso?" guardandomi truce. Ho già detto che la odio? Odio quando fa così perché mi fa sentire in colpa. Aspettiamo in silenzio il nostro turno e dopo ancora alcuni minuti, lei è la prima ad entrare. Dopo quelle che mi sono sembrate ore, è il mio turno. È assurdo che nemmeno a trent'anni possa essere padrona della mia vita. È proprio in questi casi che ammetto di essere entusiasta di vivere a migliaia di miglia da lei. Dopo l'ecografia, il medico mi comunica che i risultati mi saranno inviati direttamente a casa. Ringrazio il medico ed esco pronta a riportare, il più velocemente possibile, mia madre a casa. Non possiamo più passare altro tempo insieme, altrimenti finirà che commetterò un omicidio e non posso permettermi di finire in galera perché ho un figlio da crescere. Parla per tutto il tragitto fino a casa ma, il suo, è un discorso a senso unico, perché non mi scompongo nemmeno a risponderla. Sono sicura che se lo facessi la manderei al diavolo. Arriviamo a destinazione e, dopo avermi almeno ringraziato, sparisce. Per oggi, non ho più la forza di reggere un altro confronto, quindi decido di ritornare a casa dai miei uomini. È snervante e faticoso reggere mia madre per più di qualche minuto e mi prometto di non finire più nella sua trappola. Quando raggiungo casa di Amanda, il mio sorriso ritorna quando vedo Dom e Ray giocare con la piccola Sophia. Tutto lo stress causatomi da mia madre, sparisce nell'esatto momento in cui vedo mio figlio ridere e giocare tra le braccia di suo padre. Mi avvicino e subito i miei occhi incontrano quelli di Dom. Quando li raggiungo, sento solo la necessita di un suo bacio e di stringere mio figlio tra le braccia.

"Dove sei stata?" mi chiede mettendomi un braccio intorno alle spalle e attirandomi a se.

"Con mia madre dal medico. La odio, sul serio." Facendolo sorridere.

"Perché? Ad entrambe le tue affermazioni."

"Lasciamo perdere, sta perdendo la testa." Non avendo assolutamente nessuna voglia di irritarmi di nuovo. Sophia continua a fare facce buffe a Ray, facendolo ridere e sbattere le manine, mentre mi godo lo sguardo fiero di mio marito e gli ultimi attimi in questo posto. Mi mancherà tutto, mia madre no. Mi mancheranno i ragazzi e Amanda. Ma mi mancherà soprattutto non riuscire più a fare tutto ciò che ho fatto in queste settimane. Ritornare a Los Angeles significa soprattutto rinunciare al quel poco di libertà che qui mi è stata concessa è che vorrei poter portare con me. Significa ritornare alla normalità, quella stessa normalità che ho paura possa distruggermi.

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