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☩ D E S P E R A D O - APOCALISSE ☩ II Ancora non l'hai persa?
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La notte a Desperado fa paura.
C'è sempre un velo quasi impercettibile di nebbia, si adagia sui prati, sfoca appena il colore dei lampioni, non fa scorgere alcun orizzonte; solo la notte e la nebbia, quel leggero strato che serve a impedire che il mondo possa scorgere attraverso quella patina la città senza anima: i led sono soffusi, scie nere vagano e si perdono in quello strato di nebbia, solo delle statue e dei grattacieli, imponenti e alti, riescono a imporsi tangibili e oscuri in quello spazio sinistro, in quella città vuota. Due figure, verso la periferia della città, sono appostate vicino ad un lampione, solo asfalto ed erba sotto i loro piedi; poco distante c'è un locale, sembra un night club – ma le insegne sono spente, la notte andrà via presto per lasciare spazio a un nuovo giorno, senza alcuna spiegazione. Le due figure indossano dei tacchi vertiginosi, li picchiettano sul marciapiede mentre si infossano nei loro cappottoni, morendo di freddo. Ci si potrebbe chiedere perché due figure così infreddolite restino ancora su quel marciapiede senza tornare a casa; il motivo è semplice: non c'è.
La figura più bassa spegne la sigaretta con il pestone dei suoi tacchi, avvolgendosi ancora di più nel cappotto largo e nero, pensierosa. La testa le fa male, le fa male forse tutto e nemmeno lo sa: sa solo che l'immagine del suo essere la tortura, quella sensazione di distorsione e di dissociazione quando si guarda allo specchietto per sistemarsi il trucco le fanno sentire le vertigini, e non può cadere su quegli spilli che ha ai piedi.
-Ancora non l'hai persa? – l'amica la guarda, intanto che lei è assorta sulle crepe dell'asfalto, in attesa che qualcosa cambi, anche solo la composizione dell'aria. Si è sempre interrogata su cosa davvero componga tutta quell'essenza, perché alla fine i nomi sono solo invenzioni umane: eppure lei vuole sempre qualcosa di più, qualcosa che le faccia trovare un senso, reale, tangibile, raggiungibile. La cenere sparsa della sigaretta, prima di rosso acceso, si confonde ormai tra le crepe dell'asfalto; Lei scuote la testa, raccogliendo il mozzicone e mettendolo nel suo posacenere: perché non l'ho buttata come sempre qui? L'amica aggrotta le sopracciglia per poi schioccarle le dita davanti gli occhi, con il mascara un po' colato per quel leggero strato di nebbia che a quell'ora della notte infastidisce tutte e due.
-Ti ho fatto una domanda. -No. -No cosa? -Non l'ho ancora persa. -Si vede, continui ad attaccarti a qualsiasi cosa. – la prima reazione della figura più bassa è volerle sputare in faccia: poi si ricorda che è la sua migliore amica, che qui funziona così, ed è strano non sia ancora successo. Trattiene un conato di vomito e cerca di guardare qualunque cosa non sia la donna accanto a lei, mentre le guance le si arrossano. -È strano. -Tu dici? Pensavo che dopo aver preso il lavoro l'avresti persa subito. – lo pensavo anch'io, mormora tra sé e sé, tra le pieghe della mente. Vorrebbe strapparsi la pelle, ma è una delle poche cose che la copre dal freddo, la notte è buia e minacciosa, il lampione che le illumina a malapena riesce a trasmetterle quel piccolo barlume di speranza di cui ha bisogno. Le due restano in silenzio per molto, sotto quel lampione: lei con voglia di fumare ancora, e la sua amica con voglia di capire perché quella donna non l'abbia ancora persa, perché per lei sia stato così semplice e per l'altra no. -Non si può controllare, okay? È inutile che mi guardi così. – il tono di velato disprezzo si sente, perché sentirsi così giudicata per qualcosa su cui non ha controllo la manda in bestia: lei vuole tutto sotto controllo, chiunque sotto controllo, anche sé stessa, la sua essenza, la sua anima, tutto. E lo sguardo dell'altra su di lei in quel modo le monta solo la rabbia in petto, che se potesse la perderebbe con le sue stesse mani, si porterebbe al punto di ritorno con indosso quei tacchi: eppure tutto è statico, nulla si muove, solo lei muta nella sua percezione ma nulla la lascia davvero, nulla le toglie via sé stessa. L'altra ricomincia a parlare, picchiettando di nuovo i tacchi sull'asfalto, il lampione fioco fa risplendere appena la mezzaluna del suo volto, pelle nera ed occhi scuri come quella notte inquieta.
-Ero solo pensierosa. C'è un forestiero in città, è arrivato stasera. Tu lo sapevi? – si accende nervosa un'altra sigaretta, il corpo che reagisce ad un lungo brivido di freddo, le occhiaie che le pesano sugli occhi nascoste dal fondotinta, il caschetto nero e liscio le ricade davanti gli occhi azzurri. -No, non ne sapevo niente, ho finito il turno prima che chiudessimo. -Me l'ha detto Maggie, l'ha visto fuori dalla discoteca. Era in macchina, cercava un posto per dormire. – un altro brivido di freddo la assale: nessuno arriva a Desperado per caso – lei lo sa bene. -Dove lo hanno mandato? -All'Apocalypse, dicevano fosse a pezzi, stava guidando da molto. -Cosa gli ha detto la testa di fermarsi qui? – si ritrova a ridacchiare, amara, mentre dà un altro tiro alla sigaretta. Il fumo esce lento dalle labbra, si tende al cielo oscuro, si perde in mezzo a qualche nuvola rossa d'umidità. Batte il tacco per terra dal freddo, avvolgendo le braccia attorno al cappotto – un sorriso sghembo le compare ancora sulla faccia stanca: pensa al forestiero che stranamente è entrato proprio a Desperado, un forestiero folle, un forestiero che forse non sa nulla di nulla, nemmeno di sé stesso.
-Chi viene da fuori non se ne accorge, lo sai. -Chi glielo dice? – domanda, guardandola con occhi di sfida, quasi divertita. L'amica le rivolge uno sguardo complice, quasi a volerle leggere nel profondo. -Magari tu, che ne dici, eh? Magari tu hai bisogno di qualcuno che ti spinga a perderla. – il suo corpo è gelo a quelle parole: abbassa lo sguardo, nascondendo la faccia sconvolta in una di menefreghismo, mentre infila la sigaretta tra le labbra, ispirando – è così che si respira, vero? -Non ho bisogno di nessuno, io. -Non puoi saperlo. Forse nemmeno tu conosci te stessa così in fondo. Chissà cosa perderai, ne sono davvero curiosa: chissà cosa sarai dopo. -Di certo non una rompicoglioni come te, questo è sicuro. – l'altra si ritrova a ridere, sinceramente divertita dalla frecciatina velenosa della sua amica, che ora arrossisce. -Spiritosa, davvero. Be', comunque, forestiero o no, in questo momento non è una nostra preoccupazione: pensiamo prima a te. Poi ci occuperemo del resto. – le stringe la mano, incontrando i suoi occhi: si chiede perché quella donna sia così dannatamente bella e sbagliata in quel quadro di fumo e perdizione, e forse il motivo è perché non ha ancora oltrepassato il punto di non ritorno. -Sono qui, okay? Non sarai sola. Non avere paura, vedrai che sarà meglio di quanto immagini. – Lei le sorride, grata di averle calmato un po' il cuore. Si prendono a braccetto, dirigendosi verso casa, nel buio silenzioso e oscuro di quella città. -Mi hai lasciato dei noodles nello scaffale, vero? -Fottiti. -Sei la solita.
Nella foschia di Desperado che va infittendosi, quelle due figure si perdono silenziose nella notte, come qualsiasi speranza.