☩ TRENTAQUATTRO ☩

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☩ D E S P E R A D O - APOCALISSE ☩XXXIVIo più mi cerco più non trovo nulla

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☩ D E S P E R A D O - APOCALISSE ☩
XXXIV
Io più mi cerco più non trovo nulla

Finisce di pulire la piccola tomba, d'un pallore marmoreo e ingrigito dal tempo, e vi ci poggia sopra i fiori che ha comprato poco prima

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Finisce di pulire la piccola tomba, d'un pallore marmoreo e ingrigito dal tempo, e vi ci poggia sopra i fiori che ha comprato poco prima. È molto più nel cuore del cimitero, circondata da tombe e cipressi: è tutto silenzio e l'agitarsi di un leggero venticello, sono le nuvole sopra di lei, la terra sotto i suoi piedi, i pesi nel suo cuore; accanto a quella tomba su cui è seduta, vi è più grande, l'immagine di un ragazzo, bello e giovane, una colonna spaccata in due: il segno di una vita spezzata. Sta per un po' seduta, in silenzio, a guardare davanti a lei la foto in bianco e nero di quella donna giovane, che nulla le ricorda di quell'anziana signora che le acconciava i capelli. Ha i capelli neri acconciati in uno chignon elegante, occhi scuri e sguardo sorridente e leggero, nulla a pesarle sulla coscienza, nulla che possa renderla una vera peccatrice. Michelle stringe forte tra le dita lo specchietto a forma di cuore rosa, chiuso, l'espressione del volto seria, gli occhi rivolti in modo vacuo a quell'immagine che nella sua mente perde i veri contorni dell'esistenza e si tramuta in liquido nero e informe.

-Abbiamo perso almeno una volta nella vita qualcuno di caro. – mormora, guardando persa la tomba, quell'immagine, quel pensiero che non la lascia. -Perderemo anche noi stessi. Ci ricongiungeremo solo nelle tombe. – la donna sorride ancora in quella foto, e quel sorriso è una triste consapevolezza che Michelle guarda, sognando di poter sorridere con quella stessa leggerezza, un sogno che sa non potrà avverarsi: la leggerezza di quel sorriso ha una sincerità trasparente e volubile, e lei è immersa nella follia e nelle sue bugie.

Cosa c'è però di più sincero della morte stessa? L'abbraccio lento e avviluppante di quella fine, l'esistenza che si strappa dalla carne, lasciando il corpo vuoto. Il momento in cui il cuore cede, singhiozza coi battiti, e poi si abbandona al suo riposo – il momento in cui tutto è nulla ai propri occhi che, sbarrati, sono incapaci di guardarsi attorno, la cecità dopo una vita vissuta troppo. Non ricorda nemmeno più come sia morta quella signora: non ricorda i suoi occhi vitrei, o le sue mani fredde. Sa solo che un giorno è successo, sa che ormai era già cresciuta troppo per farsene una colpa, e che in una parte di sé era ancora troppo bambina per accettarlo. Non una lacrima, né una perdita, non l'incedere sincero di un'emozione: la delusione e il dolore per quella perdita le avevano già trafitto lo stomaco, amareggiandola quanto bastava. Ha solo stretto l'ultima connessione che aveva con lei nel letto per mesi: quel piccolo specchio, il passaggio di un'infanzia felice che in realtà non ha mai avuto, che ritrovava solo nei momenti passati con lei, nel sorriso dolce, nella gentilezza delle mani; le uniche mani che l'avevano toccata con la dolcezza dell'affetto, con la purezza e la sincerità, la carezza di un genitore, l'apprensione di una nonna; le uniche mani tra cui lei si è potuta sentire una bambina, le uniche mani tra cui non si è mai sentita sola o sporca. Si guarda le dita che avvolgono lo specchietto, pensierosa: vorrebbe ricordare ancora il tocco delle mani di lei tra i suoi capelli, sentire la sua risata dolce, mangiare i suoi biscotti. Vorrebbe ancora essere piccola ed esile, alzarsi a indicare i libri sulla mensola, curiosa: farsi spiegare da quella donna la bellezza della lettura, la bellezza della scrittura delle donne che hanno cambiato la storia, farsele ancora leggere, curiosa, avida nel sapere cosa hanno sacrificato quelle donne per far conoscere al mondo la loro scrittura e le loro storie.

𝐃𝐄𝐒𝐏𝐄𝐑𝐀𝐃𝐎Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora