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☩ D E S P E R A D O - CITTÀ D'OMBRE☩ XVI I Flagelli dell'Uomo
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I giorni seguenti si trascinano in troppi silenzi: Desperado dorme, avvolta nella nebbia fitta, nuvole si addensano fin sull'asfalto, copre da sguardi ignari le ombre che camminano tra quelle strade, ristabilendo un apparente ordine. Trevor mette a conca i palmi delle mani, raccoglie l'acqua gelida di quel mattino e si lava la faccia per svegliarsi; sta dormendo quanto basta, ma non si sente affatto riposato, ogni fatica gli costa sempre di più, ogni dolore inizia a saperlo nascondere meno. Ripete come una preghiera le ultime parole che ha sentito pronunciare da Michelle, segue un sospiro, e poi esce nelle luci dell'alba di Desperado – l'ennesimo giorno senza luce. Arriva alla palestra che la giornata si apre bene per chiunque tranne lui: Terence lo chiama a gran voce, sotto l'ammonimento di Michael – che sono le cinque del mattino! – e gli corre in contro.
-Mi è cresciuta la barba, bastardo! – gli salta addosso e quello lo prende, stupito da quel gesto e soprattutto felice della notizia: tiene saldo Terence nell'abbraccio, dandogli qualche colpetto sulla schiena, sorridendogli e notando subito la sua barba, facendo i complimenti. -Ti sta molto bene. -Ispida al punto giusto: sempre perfetto. – si complimenta con sé stesso, facendosi mettere giù dal suo amico ed esibendo i suoi muscoli, sotto il sorriso del pugile più alto. -Tu invece sei sempre così glabro. – si lamenta l'altro, sotto la tenue risata dell'uomo. -Me ne cresce poca, ci tengo a radermela sempre. – i due si avvicinano a Michael, che guarda attento Trevor: ma quello non gli dà nessun'altra impressione, sono mura alte e invalicabili le sue apparenze, e i suoi sentimenti gli sono preclusi - teme più di qualunque altra cosa il prossimo incontro. -Terence, vai con Trevor per la corsa stamattina, e batti con lui sugli pneumatici che ho lasciato sul Golgota. Coraggio, che non c'è tempo da perdere! Ti ho già procurato i cd del tuo avversario, così potrai studiarlo meglio. – quello annuisce e i due iniziano a correre nell'alba di quella città senz'anima: si ferma ogni tanto, simulano i saltelli e i pugni, le schivate, e poi continuano; Trevor tiene eccellente il ritmo, e Terence dopo un po' fatica a stargli accanto, e piano piano si fa lasciare indietro, raggiungendolo con i suoi tempi. Arrivano sul Golgota già affaticati, e prendono i martelli per iniziare lo sledge hammer: Terence fa più fatica, non ancora abituato a condizionare il movimento del martello e mantenere il ritmo stabile, mentre Trevor prosegue silenzioso, accaldato e sudato, non si ferma, ogni respiro si fa più affannoso ma non rallenta mai: il ritmo è stabile, il suo corpo si tende a ogni colpo, rialza il martello in una ripetizione precisa di intervalli, e batte ancora, con forza, senza sentire alcuna fatica, nessun bisogno di fermarsi, solo il desiderio di dimenticarsi. Dopo una mezz'ora Terence ha già dato bandiera bianca e Trevor si riposa, stendendosi con lui sull'erba di quella collinetta.