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☩ D E S P E R A D O - CITTÀ D'OMBRE☩ VI I Cancelli di Desperado
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Trevor Ward guida fino a perdere la consapevolezza di star guidando: i fanali della sua auto fendono l'oscurità che avvolge la strada su cui sta guidando ormai da ore. Ha perso la concezione del tempo e nello spazio, seduto in quell'abitacolo: non riesce nemmeno più a pensare a Michelle, o a dove voglia andare. Sa solo che, quando si guarda nello specchietto retrovisore, quegli occhi neri sono ancora più profondi della notte, e che lo stanno guidando senza accorgersi alla meta. E in mezzo a quel convergere di nulla, di vuoto, pensieri e filosofie, sotto il manto di quelle stelle che accompagnano la sua guida, in mezzo alla volontà dell'uomo di accendere la luce anche quando bisognerebbe vivere in mezzo all'oscurità, imparando ad ascoltarla, ecco che quel pensiero, fulmineo, arriva a trafiggerlo:
E se tu, solo per un attimo, un solo istante, morissi?
Trevor Ward, dimmi,
saresti disposto a sacrificare te stesso, in quel preciso istante?
Accosta in mezzo alla strada, nel buio di quella notte, scuotendo la testa. Non ricorda più cosa abbia pensato, sa solo che quella scena sembra ripetersi, questa volta in modo diverso: una volpe lo guarda al lato della strada, con gli occhi vispi e furbi, manto rosso in mezzo a quella notte nera. Passa tranquilla e senza paura davanti la sua macchina, girando solo per un attimo lo sguardo a Trevor, che la guarda passare, senza parole, una strana sensazione a stringergli lo stomaco. Sente il sudore freddo sulle tempie, le mani strette al volante tremano, ha paura di cosa accadrà dopo, e pensa solo una cosa: una volta alzato lo sguardo, cosa sarà di me?
Alzato lo sguardo, un cartello vecchio e dalle lettere sbiadite, riporta in direzione destra un nome in maiuscolo:
DESPERADO
Trevor guarda per un tempo indefinito quel cartello, silenzioso, nel mezzo della strada, i fanali accesi e le luci rosse che si riflettono sull'asfalto. Attorno a lui non si avverte null'altro che silenzio, è solo una distesa infinita di alberi boschivi, e poi il vuoto. Di quel paesaggio resta solo quel cartello, più silenzioso di quell'atmosfera, che riporta quel nome sbiadito. L'uomo si appoggia sul sedile, un'emicrania a investirlo e fargli mancare il respiro. Deve trattenersi dall'uscire dallo sportello per vomitare, ha paura tutto quello che ha attorno possa sparire in un battito di ciglia, in una mossa falsa.