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☩ D E S P E R A D O - CITTÀ D'OMBRE ☩IXGelida come Dolore

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☩ D E S P E R A D O - CITTÀ D'OMBRE 
IX
Gelida come Dolore

La lastra in metallo su cui poggia è fredda, dolorosamente fredda: le ricorda le mani immerse nell'acqua gelida

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La lastra in metallo su cui poggia è fredda, dolorosamente fredda: le ricorda le mani immerse nell'acqua gelida. Lo sguardo è accecato dalle luci bianche riflesse sul suo corpo disteso: attorno a lei è un continuo parlare, sbattere di tasti su computer, lo sfogliare di fogli. Un uomo in camice bianco, mascherina, dai capelli brizzolati e ricci e gli occhi marroni le si avvicina, con una cartelletta in mano, le mani coperte da dei guanti in lattice azzurri.
-Sei agitata? Non preoccuparti, qui sei al sicuro: trattiamo con i guanti le nostre uniche speranze.

Come tutti noi

Michelle trasalisce: apre gli occhi, perde il respiro e si rialza subito, facendo uscire la testa dall'acqua gelida, trattenendo un urlo. L'affanno striscia grave lungo la gola, si tiene con una mano alla vasca e l'altra la preme sul cuore, che batte impazzito, stordendola. Geme tra un respiro e l'altro, affaticata e sola, l'acqua gelida inizia a renderle insensibile il corpo. Quel bagno è circondato dal silenzio, a parte i respiri di lei: la luce è cupa e riflette i toni azzurri delle piastrelle. L'acqua che scorre sul corpo nudo di Michelle cade a gocce di nuovo dentro la vasca, mentre la donna attira le gambe al petto, circondandole con le braccia, la colonna vertebrale si mostra timida sulla schiena di lei, che trema ancora con i capelli davanti agli occhi.

C'è qualcosa che non va. Quel mese era stato tutto perfetto: nessun cedimento, la sua ombra si è distaccata da lei con una facilità disarmante, stupendo chiunque. Ma sentiva, nel profondo, arrivando anche a negarselo, che qualcosa sicuramente non sarebbe andato: e ora lo sente, le afferra lo stomaco, le mette paura, la fa tremare. Trema ancora, nel gelo di quella vasca, cercando di non produrre alcun rumore, perché quelli nella sua testa superano qualunque altro.

Perché? Perché non smetto di pensarci? Si ripete quelle parole in mente, la torturano, ma quella replica sempre le stesse immagini: i suoi occhi lucidi, le sue labbra che tremano, l'incertezza della sua voce, tutto di lui, davanti a lei, dopo averlo distrutto in ogni modo possibile. Un fremito di rabbia pura e cieca la investe: scoppia in lacrime e singhiozzi muti, vorrebbe urlare con tutto il fiato che ha in gola, spaccare lo specchio nel bagno, dare pugni al muro fino a spaccarlo, fino a spaccarsi le mani, tirare con così tanta forza il rubinetto della vasca da far schizzare l'acqua fino al soffitto; invece si limita a sbattere il pugno sulla ceramica fredda e bianca della vasca, rabbiosa e incontrollabile.

-Perché? Perché?! – sussurra, terrorizzata, arrabbiata, disperata -Stupida maledetta troia, perché ci stai ancora pensando?! Non deve importarti, non dovrebbe nemmeno importarti! Smettila di pensarci, smettila di pensarci, smettila di pensarci, smettila, smettila, smettila! Tu non sei più la tua cazzo di ombra! Smettila, smettila, smettila! Non mi importa, non mi importa, non mi importa. – inizia a dondolarsi, tremando e continuando a sussurrare quelle parole, spaventata e sola. -Ti ho persa, smettila, smettila di pensarci, smettila, o giuro mi ucciderò con le mie stesse mani! Smettila, smettila, - trattiene un urlo di rabbia, mentre stringe i capelli tra le mani, tirandoli più forte che può, gemendo di dolore. Alza lo sguardo al soffitto, stringe con forza gli occhi e i denti, l'espressione si tramuta in qualcosa di orribile e sofferto: Michelle sente spaccarsi in due, a lottare per qualcosa contro cui non ha forze. Si accascia, stanca, contro il muro freddo del bagno, freddo come quella lastra di metallo, sospirando e tremando. Si guarda le mani, le cosce, le gambe, il seno, la pancia; si guarda e si sente così nuda, e irreale. Riaffonda solo per un misero secondo in quel ricordo caldo: può ancora sentire le mani di Trevor carezzarla, è l'unico calore che il suo corpo ricorda con sollievo; stringe la ceramica della vasca tra le mani con forza, respirando affannata.

-Non mi farai questo. – mormora, stringendo le gambe. -Ti ho persa, non sei più nulla per me. E io odio Trevor Ward, con ogni fibra del mio essere. Non significa più nulla per me. Trevor Ward, se ti ritrovo sul mio cammino, prega che non ti riduca in cenere. – stringe la mano in un pugno, come se possa averlo davvero davanti a sé, con quello sguardo che la trafigge, che la fa sentire viva, che dovrebbe odiare più di qualunque altra cosa.

Michelle però non ha dimenticato ciò che ha compreso quando era ancora integra: e cioè che per odiare Trevor Ward, ci ha messo un secondo, quel secondo in cui lo ha rivisto; ma l'amore che la trascina a lui l'ha soffocata appena ha lasciato quella camera, dopo averlo distrutto. 

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