capitolo cinquantadue

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Alice.

«Prego, tenete»

L'uomo ci passò le due pistole ad aria compressa e noi le prendemmo.

«Prima le donne»

Mi invitò Mason.

«No, vai pure prima tu»

Non sapevo come si facesse. Mandando lui per primo, lo avrei potuto prendere come esempio.

Vidi un ghigno divertito sul suo volto.

«Va bene. Allora guarda attentamente»

Sapeva che a malapena riuscivo a prendere una pistola tra le mani.
Lo vidi mettersi in posizione. Impiantò i piedi a terra e assunse una posizione dritta.
Con entrambe le mani prese la pistola. In ogni suo movimento strabordava sicurezza, non colsi neanche un minimo di incertezza.
Le dita lunghe avvolgevano l'arma e i muscoli delle braccia pomparono sotto alla sua giacca in pelle nera.

Prese a sparare colpi su colpi, colpendo ogni singola lattina, senza mancarne mezza.
Fu talmente veloce che persi il senso dell'orientamento per un'istante.

Lo sguardo concentrato non si smuoveva dal bersaglio. La mandibola serrata era più evidente.

Mi sentii mancare l'aria dalla bellezza che emanava.
Alcune ciocche corvine gli ricadevano appena sullo sguardo. Non c'era nulla di positivo attorno alla sua immagine, lo circondavano le tenebre e ogni cosa che si potesse anche solo avvicinare alla dannosità.
Ti portava in vita con lo sguardo, lo stesso che però poteva benissimo commettere quanti più omicidi possibili in miglior tempo possibile.
Ti giudicava, ti offendeva, ti umiliava e ti denigrava; il tutto senza emettere un fiato. Questo, era il potere di quelle iridi, che ogni volta mi facevano sprofondare negli abissi, sprofondare fino a quando non mi davano ossigeno.

Negli abissi io ci sopravvivevo da quando avevo cinque anni ormai e avevo imparato a respirarci, seppur io volessi sempre tornare in superficie.

La mia mente si catapultò violentemente al presente, quando Mason mi passò la pistola.
La presi con sicurezza e lui prese il mio posto di qualche istante prima.
Si appoggiò con il fondoschiena al piano di appoggio che ci separava dalle lattine, portò le braccia al petto e mi puntò con lo sguardo.

Cercai di ignorarlo e di concertarmi su quello che dovevo fare.
Assunsi al meglio la postura che aveva visto prendere da lui.

Mirai alla mia lattina.
Mancata.

Seconda lattina.
Mancata.

«Hai bisogno di una mano?»

Chiese divertito, trovandomi in difficoltà.
Strinsi i denti e riprovai.

Terza lattina.
Mancata.

«No.»

Risposi spazientita.

Né colpii altre due.
Mancate entrambe.

Le mie mani vennero circondate dalle sue, paralizzandomi all'istante.
Il suo profumo mi inebriò disconcertarmi.
Fece pressione con il petto contro la mia schiena; mi posizionò le mani alla giusta altezza

«Guarda, così»

La sua guancia sfiorò la mia e il mio stomaco tremò.

Sesta lattina.
Presa in pieno.

Ritornai con lo sguardo sulle nostre mani intrecciate.
Il calore delle sue stavano riscaldando le mie e le teneva ben salde al grilletto.

«Vedi la linea?»

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