capitolo ottantanove

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Alice.

Era finita.
Me ne resi conto quando lo vidi mentre l'aereo decollava.
Gli dedicai l'ultimo «Ti amo» non so neanche se era arrivato a capirlo.

Passai tutte le nove ore a guardare un punto non preciso dell'aereo e ogni tanto alzavo lo sguardo sull'orario.
Quando arrivai finalmente a San Diego mi diressi nel condominio che avevo affittato tramite online.

Feci amicizia con la proprietaria, una donna di mezz'età, molto carina e cortese tra l'altro.

L'appartamento si presentava su un piano, ed era piccolo, aveva solo una cucina, salottino, bagno e camera da letto.
Perfetto per una persona.

L'arredamento era centrato sul classico moderno, molto accogliente.

Mi rinchiusi in camera e iniziai a disfare le valigie.

Non potevo fermarmi, dovevo sempre trovare qualcosa per distrarmi.

Se mi soffermavo a pensare, era finita.

Finii di posare gli ultimi capi nell'armadio e quando sollevai l'ultimo pantalone, mi accorsi che sotto di esso c'era il bracciale della mamma di Mason, con accanto un biglietto.

Lo presi e lo lessi.

Voglio che sia tuo.
Accettalo e basta.

Mi sentivo terribilmente in colpa per averlo lasciato così. Ma io avevo bisogno di stare del tempo con me stessa.

Mike e Jason non ne volevano proprio sapere di me.
Mamma ormai non sapevo neanche se potevo continuare a chiamarla così.
Mi faceva strano chiamarla Dana.

E pensare che una volta, da piccola, ero arrabbiata con lei e stavamo litigando.
Per dispetto la chiamai Dana e mi beccai un ceffone uno di quelli belli e potenti.

Mi lasciai sfuggire uno sbuffo, mi infilai il bracciale con la speranza di sentirlo più vicino.

Pensai a cosa avrei potuto mangiare per cena, ma alla fine optai per il fast food e così mi vestii e mi misi a vagare per le strade di quella cittadina, con la speranza di trovarne uno aperto.

Erano quasi le 23:00 e ormai tutti stavano chiudendo, ma io stavo morendo di fame.

Riuscì ad adocchiare uno e mi ci infilai dentro.
Il cameriere prese la mia ordinazione e nel frattempo chattai con Arianne e le ragazze.

Ari era molto rattristita per la mia partenza e io mi sentii ancora più in colpa.

I suoi genitori si erano appena separati e io l'avevo lasciata da sola.

Cristo, mai una volta che mi vada tutto liscio.

Riposai il cellulare in tasca nel momento che il cameriere ritornò con il mio hot dog.

Ci misi sopra una quantità estrema di salse e lo addentai con l'acquolina in bocca.

Al primo boccone iniziai a sentire la fame appianarsi e trovai sollievo.

Sentii una mano poggiarci sulla mia spalla.
Mi ripulì con ancora la bocca piena, mi voltai sorpresa.

Quando lo vidi, per poco non soffocai.
Ingoiai a fatica il boccone mentre sentivo il mio cuore martellare contro la cassa toracica.

Sentii la terra mancarmi sotto i piedi e smisi anche di sbattere le palpebre

«Michael», ansimai a corto di fiato.
Lui mi dedicò un sorriso e senza chiedermi il permesso si venne a sedere difronte a me.

La fame mi era passata e abbandonai il panino sul piatto.
Afferrai la borsa e feci per andarmene, ma la sua presa brusca sul mio polso mi fece raggelare

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