capitolo ventinove

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Alice.

Una forte luce mi fece strizzare gli occhi, allungai la mano al mio fianco, afferrai un cuscino e me lo stampai in faccia.

«Ehi! Quello è il mio», si lamentò Perla con la voce impastata dal sonno e se lo riprese.
Cercai di aprire gli occhi, ma la luce accesa che penetrava dalle tende, puntava direttamente sulla mia faccia.

Mugolai di chiudere le persiane, ma nessuno lo fece.
Mi ruotai dando le spalle alla finestra.
Aprii un occhio e trovai Perla stesa accanto a me, con la guancia spiaccicata sul cuscino che mi guardava.

«Come stai?»

Chiese inclinando leggermente leggermente l'angolo delle labbra in un sorriso.

«Mai stata peggio»

ricambiai il sorriso e richiusi gli occhi.
Avevo lo stomaco in subbuglio e la testa mi scoppiava

«Tu?»
«Meglio di te, sicuro»

però, confortevole

Mi feci forza e mi alzai a sedere e appoggiai la schiena alla testiera e lei mi seguii.

Ieri sera, è stata la serata peggiore della mia vita.

«Swami?» chiesi, stropicciandomi gli occhi stordita

«Stamattina ha avuto anche la faccia di portarmi un cornetto al cioccolato»

accennò con il capo, in direzione del comodino; dove vi erano; un piattino con sopra delle briciole e intorno dei fazzoletti sporchi di nutella.

Annuii e mi alzai per andare in bagno, e lei mi seguii.
Ci lavammo la faccia e i denti e ci riandammo a risedere sul letto.

«Oggi non mi muovo da qua»

Dissi accoccolandomi al cuscino.

Al sol pensiero che quel bastardo, prima mi ha toccata e poi drogata, nauseavo.
Riuscivo ancora a sentire le sue luride mani sul mio corpo e la sua lingua strusciarsi sulla mia.
Guardai il nostro abbigliamento; indossavamo ancora i vestiti della sera precedente.

«Mi dispiace tanto...» la sentii sussurrare.
Posai lo sguardo su di lei, che aveva il suo basso e giocava con il codino che aveva costantemente al posto.

A me dispiace per lei, l'ho obbligata io ad entrare in quella casa.

«È colpa mia Perla. Non dovevamo entrarci, ed io ho insistito»

Il senso di colpa mi stava logorando dentro.
Nella mia mente, ricomparivano ancora le immagini di lei svenuta e distrutta.

«Io ho insistito a cercare Swami, convinta fosse la dentro»

Ci stavamo incolpando, ma ormai il danno era stato fatto.

«Hai avvertito tu Mason?», chiesi, ricordando il loro miracoloso intervento.

«Quando Mike mi teneva ferma, sono riuscita, senza farmi sgamare, a inviare la posizione a Liam. Che secondo me ha capito che qualcosa non andava.»

«Posso?» La voce di Swami riempii la stanza e la sta testa riccia, sbucò dalla porta.
Quando vide che stavamo chiacchierando, ci raggiunse, chiudendo la porta alle sue spalle.
Si venne a sedere sul letto, facendosi spazio tra me e Perla.

«Dove eri finita?»

Il mio tono duro, la soprese

«Io e Jason, abbiamo lasciato la festa prima del vostro arrivo»

«E il cellulare? Potevi almeno risponderci»

Con tutto il bene che le volevo, ma una striata di testa ci voleva.
Il suoi occhioni, ci guardavano colpevoli.

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