capitolo ventidue

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Alice.

Erano le 04:10 e non riuscivo a dormire.
Mi giravo e rigiravo nel letto, ma nulla.
Stufa, mi alzai sbuffando e me ne andai in cucina.
Michael mi stava torturando la mente anche nel sonno, non sapevo che fare.

Presi un bicchiere d'acqua e me lo sgolai in un sorso, poi mi sedetti sulla sedia e appoggiai il gomito al tavolo.

Michael è stata la mia più grande delusione.
Era troppo innamorata. Era stato il ragazzo che mi ha accompagnata per tutta l'adolescenza.
Colui con cui ho avuto la mia prima volta, in tutto.
Anche del primo bacio.
Mi ha aiutata nei miei momenti più difficili, quando piangevo, mi asciugava le lacrime e quando ridevo, rideva con me...

Quindi?
Cosa è successo tra di noi?

Il mal di testa si era nuovamente infuocato, così mi andai a prendere un'aspirina.
Aprii il mobiletto del primo soccorso e la cercai.

Che fine ha fatto?

Svuotai tutto, ma nulla, non c'era.

Sussultai spaventata quando sentii un tonfo provenire dalla porta di ingresso.

I ladri!? No eh!

Mi paralizzai sul posto e cercai di fare meno rumore possibile.
Ci fu silenzio per un po' fino a quando non si risentì, questa volta era più forte.

«Cristo, che dolore», un' imprecazione maschile mi fece sbiancare.

Ho il terrore dei ladri!

Con le gambe tremanti andai in cucina; cercai di fare meno rumore possibile e la prima cosa che mi capitò sotto alle mani, la presi.
Un coltello da cucina.

Niente male.

Feci spallucce osservandolo.
Lo impugnai per bene e in punta di piedi mi diressi verso l'ingresso.
Il buio non mi permetteva di vedere, quindi andai alla cieca.
Il cuore me lo sentivo in gola e le ginocchia mi tremavano

Ma perché proprio a me?

Strinsi gli occhi in due fessure e cercai di vederci qualcosa.
Intravidi una sagoma nera, accasciata a terra.
Dio era una montagna non un uomo; non riuscivo a capire di chi si trattasse.

«C-chi è?» balbettai terrorizzata .
Aumentai la presa sul coltello e ingoiai un groppo di saliva che mi si era formata in gola.
Dovetti asciugarmi il palmo della mano sul pantaloncino del pigiama a causa del sudore.

«Posa quell'affare. Sono io».
Sbarrai gli occhi nel sentire la sua voce.

Che diavolo ci fa lì per terra!?

Mi preoccupai nel sentire il suo respiro accelerato

«Mason!?», quasi urlai e lasciai istintivamente la presa sul coltello, che nel cadere emise un rumore metallico.

«Che hai combinato?» lo raggiunsi e mi accasciai alla sua altezza.

Lo afferrai per il braccio e cercai di tirarlo su.
Era troppo pesante.
Un forte profumo di liquore mi arrivò dritto al cervello, tanto che arricciai il naso disgustata.

«Ma quanto hai bevuto?». Il mio aiuto sembrò infastidirlo, perché per poco non mi buttò all'aria

«Levati», mi ordinò scorbutico e si alzò.
Ci mise un po' per riacquistare l'equilibrio.
Non si reggeva neanche in piedi.

«Perdonami se ti volevo aiutare, datosi le tue pessime condizioni!», sputai offesa

«Non mi servi. Vattene»

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