Chapter 5: Seoul, again

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Soobin odiava gli ospedali.

Le mura bianche e asettiche, il viavai costante di medici e infermieri, l'odore forte dei disinfettanti.

Nella sua mente riapparivano le immagini di sua nonna nel letto d'ospedale, qualche ora prima che morisse. Soobin non aveva nemmeno potuto darle l'ultimo saluto, dal momento che il padre lo aveva costretto a recarsi al suo posto ad un incontro finanziario. Ovviamente Soobin non aveva né la preparazione per gestire un meeting simile, né l'umore adatto. Come conseguenza, l'affare di suo padre era sfumato e lui non era riuscito ad abbracciare un'ultima volta sua nonna, l'unica persona che lo aveva sempre capito e amato in ogni sua sfumatura.

Forse era proprio a causa di quel dolore che Soobin aveva attraversato una profonda crisi, diventando progressivamente più insofferente agli ordini dei genitori e lasciando l'università, senza alcuno scopo nella vita. Non era più rientrato in un ospedale da quel giorno, nemmeno quando sua sorella aveva partorito.

E invece, ora si ritrovava seduto sulle scomode sedie in legno di un corridoio bianco e infinito. Come se non bastasse, era il secondo ospedale che visitava in poche ore. Infatti, Beomgyu dopo essere stato stabilizzato a Damyang era stato trasportato d'urgenza a Seoul. Ovviamente, tutti loro lo avevano seguito. Non era nemmeno contemplabile lasciare Beomgyu solo in un momento simile.

Soobin sospirò, appoggiando la testa sul muro dietro di lui. Chiuse gli occhi, imponendosi di rimanere calmo. Era da ore che cercava di dimostrarsi una roccia salda per consolare gli altri ragazzi, ma la sua stabilità stava iniziando a vacillare. Se fosse rimasto ancora qualche minuto in quel corridoio d'ospedale probabilmente sarebbe impazzito.

Accanto a lui era seduto Yeonjun, le ginocchia portate al petto e il volto nascosto in mezzo a esse. Non aveva smesso di piangere da quando Beomgyu si era accasciato nel prato di Damyang, con una vistosa macchia di sangue sugli abiti. Soobin si sentiva totalmente impotente, dal momento che nessuno dei suoi tentativi di calmare Yeonjun era risultato efficace. L'archeologo continuava a piangere disperato e appariva inconsolabile, tanto da spingere Soobin a preoccuparsi seriamente delle sue condizioni.

"Hyung, vado a prenderti una bottiglia d'acqua" sussurrò Kai, accarezzando la schiena di Yeonjun e alzandosi. Soobin osservò il ragazzo passargli davanti, senza dire nulla. Kai avanzava lentamente, quasi trascinando i piedi. Il suo volto era più pallido del solito, gli occhi spenti e le labbra ridotte ad una linea sottile. Sembrava il fantasma di sé stesso, come se qualcuno avesse soffiato via ogni scintilla di felicità dal suo corpo. Soobin era consapevole che probabilmente Kai avesse deciso di allontanarsi prevalentemente per non sentire più Yeonjun piangere in modo così devastante. Kai era sconvolto, ma cercava di non dimostrarlo eccessivamente, provando a prendersi cura degli altri come meglio riusciva. Soobin gli era profondamente grato per questo.

Yeonjun uscì dalla sua posizione di difesa, appoggiando la testa contro la spalla del fidanzato. Sul suo volto, rigato dalle lacrime, era visibile tutta la sofferenza che provava. Soobin sentì stringersi il cuore nel vederlo ridotto in quelle condizioni, consapevole che nessuna delle sue parole o delle sue azioni avrebbero potuto aiutare il ragazzo a sentirsi meglio.

"Gyu..." sussurrò Yeonjun, continuando a singhiozzare. Soobin sospirò, accarezzando i capelli scuri del fidanzato. Dall'ospedale di Damyang non avevano lasciato trapelare alcuna informazione sulle condizioni del loro amico e anche ora che si trovavano a Seoul, l'unica indicazione che avevano ricevuto era quella di aspettare notizie seduti in un corridoio. L'attesa era ovviamente devastante e li aveva lanciati in un turbine di disperazione, ognuno perso nei propri pensieri negativi.

"Li voglio uccidere tutti" mormorò ancora Yeonjun, stringendo il fazzoletto di carta nella mano, chiusa a pugno. Soobin non aveva nemmeno bisogno di chiedere a chi si riferisse, sapeva benissimo di chi stesse parlando il suo fidanzato. "Sei consapevole che non scopriremo mai chi è il responsabile della sparatoria, vero?- sussurrò con dolcezza, accarezzandogli una guancia- potrebbe essere uno solo il mandante, magari il CEO del grattacielo di New York, oppure tutti i suoi alleati in accordo tra loro. È impossibile capire chi ha dato l'ordine di sparare e chi ha effettivamente premuto il grilletto".

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