Capitolo Quindici

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La capacità di ritrovare la calma in momenti di rabbia è una qualità da non sottovalutare. Un prolungato stato di arrabbiatura può portare all'annientamento, all'auto-sabotaggio. Ed io non posso permettermi di perdere la mia lucidità, non ora per lo meno.

I bagni del Palazzo del Consiglio sono decisamente meglio di quello che mi aspettavo, abbastanza puliti e spaziosi. Forse questa nuova attività può aiutarmi a recuperare un po' di pace. Mia madre dice sempre che attraverso le attività ripetitive la mente si acquieta. E sicuramente in questa situazione lo farà.

In più non ho intenzione di darla vinta a Murphy e non mi farò certo mettere i piedi in testa.

Inizio a strofinare le mattonelle della prima cabina con una spugna abbastanza logora quando qualcuno entra. D'istinto chiudo la porta dietro di me, senza un motivo apparente.

«Non ne posso più, Mathilda!» esclama una donna in maniera frettolosa.

«Devi avere pazienza, cara! Mantieni un profilo basso e ricorda, il sole sorgerà sempre!» fa un sospiro «Ora devo andare, cerca di tranquillizzarti...»

La porta sbatte, segno che la prima donna se n'è andata. E dopo qualche minuto se ne va anche la seconda.

L'agitazione mi sta avvolgendo come un cappio alla gola, faccio fatica a respirare e le mie mani stanno bruciando. Non so cosa diamine intendessero con questi messaggi criptici ma un solo nome mi è balenato in testa quando hanno parlato.

Solis, la città del Sole.

Non so se le due cose siano collegate, ma se lo fossero significherebbe che ci sono altre spie, infiltrati che vivono fra noi indisturbati. Non siamo al sicuro nemmeno nel cuore di Gea.

Le dita pizzicano come se stessero prendendo fuoco, più di sempre. Abbasso lo sguardo e per poco le mie gambe non cedono. Piccole scintille sono visibili fra le mie falangi, come minuscole stelle cadenti che danzano intorno ad esse. L'intensità di questa sensazione sembra sopraffarmi e vedo un piccolo campo elettromagnetico che sfarfalla intorno alle mie mani. Sono sconvolta, sto tremando e non so cosa fare. Fino ad oggi questi sfoghi si limitavano a rimanere sensazioni, senza mai essere percettibili alla vista.

La mia testa si riempie di domande. Perché sta accadendo a me? Cosa sta succedendo? È pericoloso? Morirò? Posso dirlo a qualcuno?

Un singhiozzo abbandona la mia bocca. Puro terrore scaturito dal non sapere cosa stia accadendo al mio corpo, cosa stia diventando e se tutto questo mi farà del male o mi annienterà.

Devo andarmene al più presto da qui.

Mi affretto ad andarmene con le mani in tasca e lo sguardo basso.

Non avverto nessuno, tanto sono certa che l'ufficio sia vuoto e che i miei colleghi stiano svolgendo qualche altra mansione. E non appena arrivo a casa mi fiondo verso la mia camera, bisognosa di chiudere il mondo fuori dalla porta.

Ma l'universo sembra non pensarla come me.

«Devi spolverare il salone, signorina!» mia madre entra come una furia in camera mia. Ma io non ho le forze per affrontare una discussione con lei. Nel tragitto di ritorno le scintille si sono affievolite fino a spegnersi, lasciando spazio ad una sensazione di affaticamento e stanchezza senza precedenti.

«Non oggi ma'... non cucinare per me...» le rispondo a malapena.

«Non sei nella posizione per decidere!» ribatte lei infastidita.

Io la guardo solamente, non so cosa dire. Ma lei mi fissa intensamente, come solo una madre può fare, e lo vede. Percepisce la mia stanchezza, vede che non ho più le forze per contrastarla, che sono al limite e che non ho più nemmeno una goccia da versare.

Oromasis | Il fuoco interioreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora