Capitolo Trentaquattro

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Chiunque sia appena entrato non ha alcuna intenzione di andarsene. Il rumore dei suoi passi riecheggia nel silenzio del bagno e martella nelle mie orecchie come un tamburo. Il mio cuore invece viaggia ad una velocità inspiegabile, sembra voler risalire dalla mia gola per scappare dal mio corpo e darsi alla fuga. 

L'individuo si arresta esattamente di fronte alla mia cabina, lo percepisco perchè sento il suo respiro pesante dall'altra parte della lastra di legno. Si tratta sicuramente di un uomo, e deve aver fatto un significativo sforzo fisico per essere così affannato.

Non ho idea di cosa fare per tirarmi fuori da questa situazione, non credo che ci sia effettivamente qualche via d'uscita. Lui aprirà questa porta e mi troverà, verrò rinchiusa in prigione e probabilmente condannata. Ma non posso prendermela con nessuno, sono io l'artefice del mio sfortunato destino. 

Le scintille fra le mie mani continuano a scoppiettare, forse complicheranno ancor di più la situazione, mi faranno diventare una cavia da laboratorio o una minaccia da annientare. La mia esistenza si limiterà ad essere un mistero inconcluso...

«Daphne?»

Un'allucinazione? Una conseguenza del probabile attacco di panico che sto per avere...

Non dico nulla, rimango in silenzio cercando di dominare l'allucinazione uditiva che si sta prendendo gioco del mio cervello terrorizzato.

«Daphne, sei qui dentro?» ripete la voce, una voce che ho imparato a conoscere abbastanza bene. Non sono sicura che quello che sento sia reale, ma sono talmente disperata da aprire la porta pregando di non sbagliarmi.

Quando accendo la torcia puntandola verso il viso della persona di fronte a me, per poco non scoppio a piangere. «Blake...» Le scintille fra le mie mani, per fortuna, hanno cessato la loro attività, probabilmente per via del sollievo che sto provando in questo momento. Sono tentata di saltargli addosso, di ringraziarlo, di toccarlo per accertarmi che sia reale, ma decido di non complicare ulteriormente la situazione in cui mi trovo.

«Spegni quella dannata torcia o ci troveranno!» mi rimprovera mentre io spengo immediatamente l'oggetto fra le mie mani. «Fammi entrare che ti spiego il piano per uscire da qui...» mi passa accanto chiudendo la porta dietro di sé.

Mi sposto verso la parete cercando di non stargli troppo vicina, sono già abbastanza scossa e vulnerabile... ma lo spazio a nostra disposizione è davvero limitato e le nostre spalle si sfiorano. Riesco ancora a percepire il suo respiro affannoso, probabilmente per la corsa, e il suo delicato profumo al bergamotto. Un brivido percorre la mia spina dorsale.

«Non so cosa diavolo ti sia passato per la testa ma hai fatto una grandissima cazzata!» inizia nervoso «Menomale sono passato da queste parti... volevo acquisire qualche nuova informazione per il tuo piano. Poi ho visto una pattuglia che entrava di corsa e ho capito tutto...»

«Io-»

«Non dire nulla ti prego» sospira profondamente cercando di non urlarmi contro. «Depisterò le guardie verso l'altra ala della struttura ma tu devi fare esattamente tutto quello che ti dico. Io uscirò da questo bagno e posizionerò un dispositivo che creerà un bel frastuono nell'anticamera degli archivi, tu aspetta che tutte le guardie vadano a controllare e poi dirigiti verso lo stanzino da dove sei entrata. Poi corri, corri più che puoi!» annuisco alle sue parole sentendomi tremendamente in colpa per averci messi in questa situazione. «Una volta uscita dalla recinzione nasconditi nel vicolo dietro all'emporio di spezie, hai capito?» 

«Sì...»

«Bene...»

Sembra semplice, ma... «Tu come farai ad uscire?» non riesco a trattenermi dal chiedere. Non vorrei che venisse catturato per colpa mia.

Oromasis | Il fuoco interioreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora