Capitolo Venticinque

10 1 0
                                    


Attendiamo circa un'ora o poco più cercando di smaltire l'agitazione e tenendoci occupate in qualsiasi modo possibile, fino a che Edra non sbuca dalla porta con un sorriso smagliante sulle labbra e con una postura decisamente più sciolta di prima.

«Allora? Com'è andata?» domanda Deva entusiasta mentre ci alziamo in uno stato di euforia generale. Sprazzi di frenesia si alternano sui nostri volti.

«Non ora Deva, aspetta fino a che non saremo uscite!» la rimprovera mia madre sapendo quanto siano fiscali le guardie durante il giorno della fabulazione.

L'uomo robusto che ci ha accompagnate fino a questo momento, ci scorta all'esterno della struttura e dopo averci augurato una buona giornata con un tono quasi meccanico, se ne va. Tutti gli addetti che abbiamo incontrato sembrano delle macchine, freddi e composti. Sicuramente un lato di questo luogo che non apprezzo.

«Allora? Com'è andata?» chiede nuovamente Deva ad alta voce quando rimaniamo sole.

Edra sorride a trentadue denti «È andato tutto come desideravo, mi hanno fatto molte domande ma hanno detto che sono idonea a frequentare l'Accademia di Ars per diventare un'ideatrice!» urla in preda alla gioia.

In un impeto di orgoglio mi lancio verso di lei travolgendola con un abbraccio «Cosa? Davvero? Sono così felice per te!»

Una di noi ce l'ha fatta.

Dopo di me, anche Deva e mamma in lacrime di commozione, si aggiungono alla stretta.

«Non ho mai avuto dubbi su di te! Sei sempre stata perfetta per quel lavoro e per quel territorio!» continuo ad elogiarla orgogliosa.

E unite in questo abbraccio percepisco quanto io sia fortunata, sento scorrere in me l'amore della mia famiglia che nonostante tutto quello che abbiamo affrontato è sempre rimasta unita. Mi godo questo momento prezioso e cerco di scolpirlo nel mio cuore, portandolo per sempre con me per ricordarmi che, per anche solo un istante del genere, vale lottare una vita intera.

Edra è chiaramente su di giri, continua a saltellare di qua e di là cercando un modo per rilassarsi. «Abbiamo il treno di ritorno fra circa un'ora, vi va di fare una passeggiata?» 

Mia madre la prende sottobraccio ancora scossa dalle lacrime. «Certo, ma non andiamo troppo lontano dato che è l'unica soluzione che abbiamo per tornare a casa!» 

Camminiamo per le vie moderne che si trovano tra la stazione ed il Palazzo della Ricerca. Qui la vita appare differente da quella del nostro piccolo dipartimento, un via vai di corpi frettolosi si riversa nelle strade creando flusso perpetuo. L'imponenza degli edifici che ci circondano è notevole, colossi d'avorio che si ergono al di sopra delle nostre teste. Ma non vi è il verde a cui sono così abituata, non riesco a intravedere colline né boschi... indubbiamente si tratta di uno spettacolo meraviglioso a cui però manca il cuore, la linfa vitale. Osserviamo i vari negozi di artigianato (di cui la maggior parte della merce proviene da Ars), di abiti ma anche quelli di prodotti tipici locali. Dopo varie preghiere da parte mia, ci fermiamo a mangiare un bantiz, un dolce tipico di Lux composto da cannella, pasta sfoglia e frutta secca.

Amo i bantiz, mi ricordano l'infanzia e ogni volta che ne assaporo uno, sento quel tepore nostalgico che abbraccia il mio corpo. Quando trovavo la bancarella che li vendeva a Gea per le feste del dominio, ne facevo sempre una grande scorta, proprio per questo motivo mentre mia madre e le mie sorelle stanno ancora finendo il primo, io decido di rientrare per acquistarne un altro. Mi rivolgo gentilmente all'uomo anziano che si trova dietro al bancone. «Salve, gradirei un altro bantiz, per favore!» 

«Certo cara, ti piacciono molto?» mi domanda curioso con sorriso paterno ad addolcire quei tratti marchiati dall'età. Nonostante la sua esile corporatura, riesco a percepire la sua vitalità, soprattutto attraverso i suoi occhi celesti che sembrano brillare come un fuoco crepitante.

Afferro il dolce fra le mani. «Sì, sono i miei preferiti!»

«Sono contento, state tornando a casa?» 

«Sì, abbiamo accompagnato mia sorella al giorno della fabulazione...»

«Oh bene, allora buon rientro a Gea!» mi sorride lieto. Lo ringrazio e mi avvio verso la porta non vedendo l'ora di divorare anche il secondo pasticcino. Poi mi fermo riflettendo sulle sue parole. Una consapevolezza pungente come metallo freddo sulla pelle.

Cosa ha appena detto?

Mi volto immediatamente turbata da ciò che ho appena sentito. «Come ha detto?» 

Ma dell'uomo non c'è più traccia... Mi sporgo oltre il bancone per vedere dove sia andato ma mia madre mi richiama in apprensione dicendomi che se non ci mettiamo in marcia in questo momento perderemo il treno per tornare a casa.

«Arrivo tra un attimo, mamma...» continuo cercando di capire cosa sia appena successo. I miei occhi saettano da una parte all'altra come predatori alla ricerca di indizi su dove sia o chi sia quell'uomo.

Ma Gilda non ammette contestazioni e mantiene la sua facciata da comandante. «No Daphne, non possiamo più perdere tempo, andiamo!» 

Così, con uno sbuffo sonoro, abbandono a malincuore il negozio di dolci con più domande di quando sono entrata...

Per tutto il viaggio di ritorno non penso ad altro, cercando di ricordarmi dove possa mai aver visto quel vecchietto o se io abbia immaginato le sue parole. Non avrebbe alcun senso, a meno che non fosse una sorta di stalker, il che sarebbe l'opzione più inquietante.

Non riesco a spiegarmi quello che è appena accaduto e questo mi rende nervosa e ancor più confusa. L'ultima cosa di cui ho bisogno è un altro dannato dubbio nella tela di enigmi che si sta tessendo intorno a me. Ho paura che prima o poi i fili si stringeranno sempre di più, soffocandomi al suo interno. Intrappolata dalla mia stessa curiosità.

Arriviamo a Gea molto tardi,  ormai sera inoltrata... scendiamo dal treno insieme a tutte le altre famiglie che si sono recate a Lux per il giorno della fabulazione, e ci dirigiamo verso casa sfinite da questa giornata.

Oromasis | Il fuoco interioreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora