Twelfth Shade [R]

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La sera di Halloween, quando Richard arrivò a casa di Damon e fu costretto a porgere il proprio invito al buttafuori sulla porta, ricordò uno dei motivi per cui aveva smesso di partecipare a quelle feste.

La villa del suo migliore amico era invasa da un'orda di persone irriconoscibili: a quanto pareva, la regola ferrea posta da Damon ventidue anni prima sul fatto che le maschere non dovessero essere leziose o banali, ma realmente spaventose e, soprattutto, in grado di impedire agli invitati di riconoscersi l'un l'altro, era ancora in vigore. Richard non ne fu affatto entusiasta: nel corso degli anni, quella regola – soprattutto quando erano molto giovani – aveva dato vita a una serie di malintesi più o meno esilaranti: confidenze fatte alla persona sbagliata, segreti o malevolenze sussurrate all'orecchio del diretto interessato, inconsapevolmente o no, e qualcuno aveva addirittura finito per appartarsi con una persona diversa da quella che immaginava ci fosse sotto la maschera. Dopo un episodio che – almeno dal suo punto di vista – aveva sfiorato la tragedia, Richard aveva deciso di evitare quelle feste, nonostante le proteste di Damon.

E ora, dopo anni di assenza, si ritrovava di nuovo a trascorrere Halloween in casa Zimmermann, mascherato come se avesse avuto vent'anni e quel che era peggio, sinceramente divertito dalla situazione.

Al suo ingresso in parecchi si voltarono a scrutarlo allarmati e Richard sorrise, al sicuro sotto il cappuccio. Aveva scelto quel costume semplice ma d'effetto proprio per incutere timore negli altri ospiti – come voleva la regola della casa – e il risultato lo riempiva di un certo orgoglio.

«Era ora che ti facessi vivo! Sono diciannove anni che aspetto!» sussurrò uno zombie accanto a lui.

Richard si trattenne dal sobbalzare in onore al proprio costume, ma soprattutto perché aveva riconosciuto la voce di Damon. Anche perché a guardarlo non avrebbe mai detto che fosse lui: aveva i capelli spettinati e del colore sbagliato, le iridi biancastre e nebulose, la pelle di una strana sfumatura grigia e in alcuni punti addirittura cianotica, gli abiti strappati e sporchi e ferite aperte e incancrenite ovunque.

«Fai spavento» disse Richard a mo' di saluto.

«Grazie» rispose Damon. «Sai che hai quasi fatto venire un attacco di cuore a parecchia gente, conciato così? E a proposito, è affilata, quella?» aggiunse, indicando la falce alta due metri che il suo migliore amico si portava dietro.

«Certo che no» sbuffò l'interpellato.

Sebbene Richard non gli avesse confermato che avrebbe partecipato alla festa – come non aveva fatto per ogni invito che gli aveva spedito nelle ultime due decadi – per Damon era stato facile riconoscerlo: chi altri poteva presentarsi abbigliato con un incrocio tra un mantello e una tunica dal cappuccio altissimo e rigido, che gli copriva completamente il volto e lo faceva sembrare alto più di due metri, stivali di pelle nera e una falce, e dunque con un costume talmente semplice da essere quasi banale ma comunque in grado di terrorizzare tutti con la sua sola comparsa grazie al portamento regale di chi lo indossava?

«Non so neanche perché ci sono venuto» aggiunse Richard, e la bocca sfigurata di Damon-zombie si torse in un sorriso.

«Non lo so neanch'io, come mai tu abbia finalmente cambiato idea, ma se può consolarti da quando ci sono Lara e i suoi amici non ci si può più appartare, durante le mie feste. Quindi sei al sicuro, amico mio» ridacchiò Damon.

«Una decisione saggia, una volta tanto» rispose l'altro. Alzò gli occhi al cielo per un momento. «Allora, sono sempre tutti costretti a non sapere chi sia chi?»

«Ovviamente» rispose Damon, indignato. «Altrimenti dove sarebbe il divertimento?»

Richard scosse appena la testa e batté la falce sul pavimento: un gruppetto di persone lì accanto – alcuni sembravano adolescenti – gli scoccò delle occhiate nervose. L'uomo puntò la falce verso di loro.

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