Fourty Third Shade [R]

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La felicità di Agathe per quell'inaspettato viaggio-lampo a Roma fu spazzata via meno di ventiquattro ore più tardi.

Quando il giorno seguente, all'ora di pranzo, la ragazza tornò a casa dalla St. Margaret, si trovò davanti una delle pochissime cose in grado di gettarla in preda alla disperazione: e cioè Gisèle che, seduta in salotto, stava limando gli ultimissimi dettagli della festa per i suoi diciotto anni prevista quel sabato.

«Agathe!» esclamò secca sua madre non appena scorse la sua ombra. «Vieni qui, dobbiamo parlare!»

Agathe serrò i denti e si trattenne a stento dallo sbuffare: l'euforia per la sorpresa che Richard le aveva fatto il giorno prima era ancora viva e lei era decisa a tenersela ben stretta... cosa che una lite con sua madre le avrebbe certo impedito di fare.

La ragazza si liberò di borsa e cappotto con gesti lenti, poi andò ad accomodarsi su una poltrona libera a distanza di sicurezza da Séline, che si era abbandonata sul divano in una posa languida e canticchiava tra sé mentre si arrotolava intorno alle dita una ciocca di capelli setosi.

«Che c'è, Gisèle?» chiese in tono paziente.

La donna si accigliò. «Dobbiamo discutere della tua festa...»

«Credi?» la interruppe Agathe. «Perché io trovo che meno se ne parla, meglio è».

Gisèle le rivolse uno sguardo arcigno.

«Gli invitati inizieranno ad arrivare per le diciotto e trenta» annunciò, come se sua figlia non avesse mai parlato. «Quarantacinque minuti più tardi serviranno l'aperitivo e inizierà la musica; questa fase durerà un'ora e un quarto, poi i camerieri sparecchieranno e chiederanno agli invitati di prendere posto a tavola per servire la cena, prevista per le venti e quarantacinque. Terminata la cena, riprenderà la musica e il resto della serata verrà dedicata alla socializzazione».

La diciottenne sbuffò.

«E a me questo interessa perché...?»

«Non essere impertinente» cantilenò sua zia dal divano.

«Séline, sono rughe quelle che vedo intorno ai tuoi occhi?» replicò mordace Agathe.

La modella si mise a sedere di scatto e le lanciò uno sguardo oltraggiato.

«Rughe? Io?». Séline si voltò a guardare sua sorella. «Di' qualcosa a questa maleducata di tua figlia!»

«Di' a tua sorella di pensare ai fatti suoi» replicò all'istante Agathe, anche lei rivolta a Gisèle.

Gisèle riservò a sua figlia un'occhiata inacidita.

«Séline, tesoro, sai bene che la tua pelle è perfetta e non reca alcuna traccia di rughe» disse in tono conciliante la padrona di casa. «Non dare ascolto ad Agathe, sai bene che carattere impossibile abbia e che parla solo per dare fastidio».

Séline tornò a sdraiarsi, imbronciata.

«Arriviamo al punto, Gisèle» sbottò Agathe. «Che vuoi da me?»

Sua madre strinse le labbra per qualche istante.

«Devi trovarti nel salone dell'hotel per le diciotto» la informò. «Così da essere pronta a ricevere gli ospiti quando arriveranno».

La diciottenne si sporse in avanti, gli avambracci posati sulle cosce e le sopracciglia inarcate in un'espressione incredula.

«Gisèle, sappiamo entrambe che, nonostante sia questa la versione ufficiale, la festa di sabato non è per me e che i miei invitati sono quindici in tutto, forse venti, non di più... su quanti? Duecento? Duecentocinquanta?». Agathe prese un breve respiro. «Per quale motivo dovrei sottopormi allo strazio di dare il benvenuto a gente che io non ho invitato?»

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