Evan era teso.
Nascosto in un angolo buio del corridoio, a tarda sera, aspettava; voleva risposte e, in un modo o nell'altro, le avrebbe ottenute.
Agathe lo impensieriva; la sua secondogenita non era mai stata la personificazione della calma e dell'equilibrio, certo, ma in quelle ultime ventiquattro ore il suo umore sembrava aver preso una piega allarmante.
La sera precedente l'avvocato, tornato a casa e parcheggiata l'auto nell'ampio garage, aveva trovato Agathe rannicchiata sul sedile dell'automobile che le aveva regalato quando aveva preso la patente, addormentata e ghiacciata fino al midollo. Confuso da quel comportamento, ma abbastanza furbo da intuire che doveva esserci qualcosa che non andava se sua figlia aveva deciso di rifugiarsi in auto, Evan l'aveva presa tra le braccia e l'aveva portata fino alla sua camera da letto stando attento a non svegliarla; lì aveva chiesto sottovoce a Mrs. Jules di spogliarla, metterla a letto e aggiungere una coperta perché si riscaldasse.
Evan era più che furbo: trent'anni di matrimonio con Gisèle gli avevano insegnato l'arte della sopravvivenza quando hai una donna arrabbiata sotto il tuo stesso tetto e avevano affinato il suo istinto. Dunque si era guardato bene dal fare ad Agathe qualsiasi domanda o dal citare il fatto di averla trovata addormentata in macchina.
Ma non porre ad alta voce le domande non significava non esserne assillati.
Tra un'udienza e l'altra, quel giorno, aveva chiamato casa svariate volte per sapere da Stevens e Mrs. Jules quale fosse la situazione.
Le risposte erano state sconfortanti.
Agathe sembrava essere diventata un fantasma. Non aveva pronunciato una sola parola né toccato cibo; appena rientrata dalla St. Margaret si era chiusa in camera sua e non ne era più uscita... se non si contavano le tre ore abbondanti che aveva trascorso piazzata sul balcone, intenta a scrutare l'otto.
E Agathe – Evan lo sapeva bene – era tutt'altro che un'eremita.
Un leggerissimo rumore lo riscosse: dei tonfi lievi e ritmici risuonavano nella casa immersa nel silenzio.
Qualcuno stava scendendo le scale.
Evan si ritrasse ancor più nell'ombra, ben deciso a non essere visto.
Pochi istanti più tardi, i piedi nudi di Agathe si posarono sul pavimento del piano terra; nonostante non ci fossero luci accese, la ragazza si diresse rapida e sicura nella biblioteca-studio di Evan. L'uomo vide un tenue chiarore filtrare attraverso la porta; un paio di minuti più tardi, la luce si spense e Agathe riattraversò il corridoio con una bracciata di libri stretti al petto e i lunghi capelli neri che le ondeggiavano sulla schiena.
Evan si accigliò. Sebbene il buio inghiottisse quasi del tutto la casa era riuscito a scorgere, anche se solo in modo vago, l'espressione di sua figlia, e non gli era piaciuta per niente. L'aveva trovata curiosamente bianca, come se ogni traccia d'emozione ne fosse stata lavata via; soltanto la bocca stretta in una linea quasi invisibile aveva tradito, agli occhi di Evan, l'inquietudine della diciassettenne.
L'avvocato scosse la testa tra sé. Quello che aveva visto gli confermava ciò che aveva già intuito la sera precedente: qualcosa turbava Agathe... ma in cosa consistesse quel qualcosa era una domanda senza risposta.
Sconsolato, l'uomo decise di andarsene a letto: forse il mattino avrebbe portato consiglio.
******
Il mattino seguente non portò consiglio a nessuno.
Evan, che aveva dormito poco e male, quando scese in cucina alle sei meno un quarto del mattino fu sconcertato nel trovarsi nuovamente davanti Agathe, con una tazza di caffè fumante in mano e un libro aperto di fronte a sé.
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99 Shades of...
Romance[STORIA REVISIONATA] In un mondo come quello moderno, in cui l'unicità di ogni persona rappresenta un Universo a sé, le cose non sono mai o bianche o nere. Eppure, è così che appaiono Richard e Agathe: lui, ormai un uomo fatto, algido, composto, più...