Cap 2

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La mamma racconta spesso la storia di quando sono nata. Forse perché le piace arrivare al momento del lieto fine. Di solito, quando inizia questa storia bellissima e struggente che è la mia vita, parte dicendo che nevicava.

 Di solito, quando inizia questa storia bellissima e struggente che è la mia vita, parte dicendo che nevicava

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Un sacco. Varenna sotto la neve è un po' come qualsiasi altro paese sotto la neve, solo che Varenna è Varenna. I lampioni di Varenna sono diversi. I marciapiedi di Varenna sono diversi. Il lago di Como è diverso. I portici, le strade in salita, che con la neve diventano quasi impraticabili. Tutto è diverso. Non potevo nascere che qui. Quando nacqui io, nevicava un sacco, e la mamma iniziò ad avere le contrazioni che erano circa le dieci di sera. E in giro non c'era un'anima. Il papà stava guardando la partita alla televisione, e la mamma ci mise un buon minuto per fargli capire che doveva prendere il telecomando, spegnere tutto, accendere la macchina e portarla in ospedale. La mamma, un mese prima del giorno previsto per la mia nascita, aveva preparato la valigia con le mie cose e i suoi vestiti di ricambio, ma nell'agitazione generale quella valigia rimase a casa. Non ci misi molto a venire al mondo: nacqui a mezzanotte in punto, e la cosa non è che mi stupisca un granché. Il papà rimase fuori, perché la mamma diceva che lui alla vista del sangue sviene e lei non voleva un impiccio, durante quel momento delicato. Si era preparata bene, all'evento. Aveva imparato le giuste respirazioni, era pronta a tutto. Quando mi misero tra le sue braccia, scoppiò a piangere dalla gioia.

E questo è un quadretto di quelli che sicuramente conoscete a memoria, e forse vi ha anche provocato qualche sbadiglio

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E questo è un quadretto di quelli che sicuramente conoscete a memoria, e forse vi ha anche provocato qualche sbadiglio. La nascita di un'altra, ennesima cucciola di uomo. Ma qui viene il bello. Un dottore che nessuno ha mai visto entra nella camera della mamma. Lei, con la bambina ancora in braccio, che poi sarei io, lo guarda per un attimo, distratta, e pensa che lui abbia sbagliato stanza. Mio padre prende in braccio la bambina, che sono sempre io, e la porta fuori dalla stanza. C'è un momento di silenzioso imbarazzo tra il dottore e mia madre. Poi il dottore la guarda dritta negli occhi e dice: «Signora, pare che ci sia un problema con la sua bambina».

Nella mente della mia mamma si attivano scenari patetici e quanto meno surreali: mi ha vista, cullata, respirata. Ho due braccia, due gambe, un bel nasino. E adesso che mi hanno appena allontanata da lei, qualcuno dice che c'è qualcosa che non va.

«Non c'è nessun problema con la bambina», risponde mia madre. E questa è la parte del racconto che mi fa sempre ridere, perché me la vedo, mia mamma, che risponde a tono a quel dottore e cerca di rassicurarlo: guardi che è tutto a posto, con mia figlia.

«Dobbiamo fare qualche analisi in più. Non siamo ancora certi di cosa si tratti»

«Lei chi è, scusi?»

«Sono il neurologo Manfredo Strausi»

La mamma trattiene il respiro. Un neurologo. Ha sempre associato questa figura ai malati di mente. Quelli gravi, che non capiscono quando chiedi loro come stai. Altri scenari riempiono la sua testa.

«La mia bambina ha un problema di mente?»

Il neurologo sembra impacciato. Un neurologo impacciato è un po' come una rara specie di orso delle montagne.

«Abbiamo bisogno di altri esami», ripete, pacato, «ma pare che la bambina non ci veda»

«Abbiamo bisogno di altri esami», ripete, pacato, «ma pare che la bambina non ci veda»

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«Non ci vede?», urla mia madre. Poi pensa che è normale: nessun bambino, all'inizio, ci vede. Allora perché il neurologo è lì?

Una bambina cieca. Che non vedrà mai il volto della persona che l'ha generata. Che non vedrà mai il primo giorno di scuola. Che non scorgerà la labbra di chi la bacerà per la prima volta. Mia mamma non capisce già più niente.

«C'è qualcosa di strano negli occhi di sua figlia. Dobbiamo semplicemente appurare se il problema è a livello cerebrale, del nervo ottico o di retina o...»

La mamma non lo ascolta già più. Si è fermata a "la bambina non ci vede".

Coscienziosa com'è, si sta chiedendo se ha fatto qualcosa di sbagliato, in gravidanza. E' stata colpa di quel prosecco bevuto alla festa di compleanno della sorella? Oppure doveva evitare le ciliegie? Quando mi riportano tra le sue braccia, papà è già stato informato. Nessuno dei due piange. Mi guardano e adesso tutta l'attenzione è concentrata sui miei occhi.

«Come diavolo avranno fatto a capire», si chiede il papà.

La mamma inarca un sopracciglio. «Infatti secondo me non hanno capito ancora nulla»

E in fin dei conti, aveva ragione lei.

E in fin dei conti, aveva ragione lei

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SPAZIO AUTRICE

Il tema che affronto in questo romanzo va oltre la banale storia d'amore. Vi siete mai chiesti cosa si prova a sentirsi diversi? A esserlo da sempre e per tutta la vita? A me piace pensare che Laura abbia qualcosa in più degli altri. Perché i colori li ha dentro. Presto lo scoprirete. Vi abbraccio forte. Aiutatemi a far conoscere questa storia a più lettori possibili <3

Shake my colorsDove le storie prendono vita. Scoprilo ora